Le moto-sculture di un “Michelangelo” dell’Art déco

Decoson

“Dannato Zardoz, questa volta non mi sfuggirai!” Esclamò Gordon fra se al semaforo, mentre si guardava attorno circospetto, prima di attraversare la trafficatissima Rodeo Drive, la sua micro-astronave sfavillante sotto il caldo sole della California verso l’inizio della primavera. Cromature, dietro al suo sellino, cromature sul manubrio e le fiancate, cerchioni cromati e neanche a dirlo, un casco degno di far parte di un servizio in silverware, con tanto di coda aerodinamica appuntita, per incoraggiare l’aria a far la scia. E in tasca un foglio consegnatogli direttamente dal sovrano direttorio della Federazione dei Pianeti, con sopra l’identikit, la descrizione e l’itinerario del nemico pubblico numero 1, un uomo incauto e disattento, che per l’ultima volta aveva messo i suoi bastoni tra le ruote del club dei potenti della vecchia Terra, John, Jim, Jackson e Lorelene (l’unica donna dell’intera cintura alcolico-asteroidale!). D’improvviso, i pirati della Sesta Luna palesarono il consueto attacco aurale, sul momento della curva delicata per immettersi su Carmelita Avenue per dirigersi verso i territori periferici di Santa Monica, quando un grosso Hummer-tron, veicolo tutt’altro che inusuale in tali luoghi, suona il clacson disturbante all’indirizzo del centauro spaziale. Con la mano destra che già lascia il suo manubrio, per stringersi sul calcio della piccola pistola a raggi in dotazione dal consueto sferoide rosso in punta, come le ray-gun dei vecchi film di fantascienza, Gordon guarda chi c’è a bordo della minacciosa fuoristrada; ah, ok! Di nuovo! È soltanto un giovane che lo saluta, sorridendo. Ah, questi terrestri… Non avete mai neppure visto, un’astro-personal-motorbike-aerodynamic-Decoson? Sollevando momentaneamente gli occhialoni da aviatore, l’eroe galattico si solleva in alto sul sellino, quindi compie un gesto di spontanea simpatia. Ma l’attimo di relax è già trascorso, mentre i letterali metri al secondo scorrono sotto di lui, assieme all’asfalto e a ogni residuo di tranquilla umanità. Le ingiustizie devono essere contrastate. E il fattorino-criminale, questa volta, porterà la pizza al giusto club dei giocatori di ruolo fanta-stellare. La “Federazione”, per l’appunto, dei Pianeti. “Dannato Zardoz!”
Strani veicoli si aggirano per le strade degli Stati Uniti occidentali: non sono molti, ma colpiscono immediatamente l’immaginazione. L’opera complessiva del glitterato garage di Green Pass di Randy Grubb, nel verdeggiante Oregon dei parchi naturali e della Cascade Range, costituisce l’insolita dimostrazione di quello che succede quando il buon gusto (piuttosto raro) incontra la tipica passione statunitense per i mezzi di trasporto personalizzati, costruiti generalmente con finalità meramente utilitaristiche, come le classiche hot-rods prive di cofano, o votate agli eccessi ad ogni costo, vedi tutti quei rombanti monster trucks con ruote giganti, oppure i dragsters, veicoli sottili quanto un freccia, ed altrettanto abili nel curvare. Mentre qui siamo di fronte ad un qualcosa di generalmente utilizzabile, benché non proprio limitato da un design che si possa realmente definire, minimalista. Ed è proprio dalle misurate vie di mezzo, ancora una volta, che nasce un principio totalmente oggettivo di assoluto ed armonia. Le sue creazioni più recenti, coronamento di un progetto nato attorno al 2012-13, meritano poi un paragrafo del tutto dedicato: visto che costituiscono, per la prima e speriamo non ultima volta, l’applicazione del suo metodo al mondo delle due ruote, con tre classi ben distinte di scooter e moto, ciascuna, di per se, degna di guidare sugli anelli di Saturno. In primo luogo abbiamo il deco-bipod, sostanzialmente nient’altro che un motorino Piaggio Fly 150, al quale è stata rimossa interamente la carrozzeria, per sostituirla con…Qualcosa…Di unico. Un vero e proprio guscio aerodinamico in alluminio, del tipo che lo stesso Randy sa creare, un singolo pezzo alla volta, ribattendo il malleabile metallo con i suoi strumenti, tranquillamente degni di trovare posto nell’officina di un fabbro. L’oggetto è organico e flessuoso, con un corpo a forma di goccia che si stringe nella parte posteriore, un singolo faro frontale e due luci di posizione montate su gondole rialzate, simili agli ugelli di un razzo spaziale. Le rivettature delle singole piastre, incastrate tra di loro a formare una serie di linee organiche ed attraenti, non vengono nascoste, ma piuttosto sono messe in evidenza, come previsto da uno stile che enfatizza il ruolo tecnologico dei suoi singoli elementi (chi non ricorda Metropolis del 1927, il film muto capostipite del genere raygun-punk). Ma la storia, chiaramente, non finisce qui. Nei primi mesi del secondo anno, infatti, l’artista si è procurato un altro motociclo della piaggio, nient’altro che il popolare scooter a tre ruote denominato “MP3”. Un mezzo certamente più pesante, e stabile, più che mai adatto a sorreggere una sovrastruttura di alluminio ancor più stravagante. Dotata, questa volta, di ben due sportelli, e persino una griglia da radiatore degna di una Bugatti degli anni ’20 e ’30. E non siamo ancora giunti al non-plus ultra: immaginatevi cosa potrebbe fare un’individuo simile, trovandosi a disporre di una Harley-Davidson Sportster del 1984…

Jay Leno Tank Car
L’opera più famosa di Randy Grubb è sicuramente la folle Tank Car (nome ufficiale: Blastolene Special) acquistata dal presentatore Tv statunitense Jay Leno. Un’automobile lunga 6,40 metri, dotata del motore da 810 cavalli di un vero carro armato Patton M47, per un peso complessivo di 4,3 tonnellate. L’automobile compare nel videogame Gran Turismo 4.

La vera e propria moto della serie, nel frattempo, è un qualcosa di davvero straordinario, in cui il guidatore trova posto all’esterno della struttura in alluminio, invece che dentro ad essa, enfatizzandone ancor maggiormente la forma organica, così trasformata in parte integrante dell’intera due-ruote. Un veicolo curioso, persino misterioso, in cui il manubrio diventa invisibile, sotto a quello che in configurazioni più normali dovrebbe essere il serbatoio della benzina, ma che invece in questo caso ospita due buchi per le braccia, favorendo ulteriormente la forma pseudo inter-planetaria di questa inconsueta meraviglia dell’asfalto. Un mezzo che non è altro che l’ennesima espressione, forse più estrema delle altre, di una passione pluri-decennale che ha portato Randy Grubb, negli anni, a produrre alcuni dei veicoli più notevoli della storia contemporanea.
Tutto ebbe inizio a Glendale, California, come egli racconta orgogliosamente alla rivista online Car Art Spot, all’età di soli 10 anni, quando il padre dentista, grande appassionato di motori, gli insegno a tenere in mano un saldatore. Si potrebbe del resto dire, senza timore di allontanarsi troppo dalla verità, che la benzina egli ce l’avesse nel sangue, visto come suo nonno, anch’egli medico dei denti, possedesse una fiammante 46 Lincoln Continental con una livrea dipinta da George Barris, artista di fama. Raggiunti i 14 anni, il giovane Randy aveva già costruito la sua prima automobile, una replica della Ford Model A. Ricevute le lamentele da parte dei vicini, in merito al ragazzino che correva in giro per il quartiere con un tale mezzo scalcagnato, il genitore lo convinse con le buone a smontarla, per ridipingerla e rimetterla assieme, ancora meglio di prima. Ciò fece cessare immediatamente le sue scorribande, costituendo, in effetti, una vera soluzione salomonica al problema. Ma il suo destino, a quel punto, era segnato. Recatosi presso l’Università della California per studiare tecniche dentistiche, ereditando il mestiere di famiglia, il nostro creativo scoprì invece una passione inaspettata per la lavorazione del vetro, grazie ad un corso frequentato quasi per caso. A quel punto, la sua vita prende una piega inaspettata: aprendo un’officina di settore dedita allo stile Art déco, egli inizia una sua produzione di particolari fermacarte ispirati a quelli della Francia del XIX secolo, sostanzialmente dei globi trasparenti con al loro interno delle variopinte composizioni floreali. Le sue opere diventano ben presto famose, influenzando in modo significativo il mercato statunitense di quegli anni, e molti facoltosi collezionisti d’arte si trasformano in suoi mecenati. Per un lungo periodo, si dedica soprattutto a questo, mentre la sua antica passione per gli hot-rod rimane in fondo ai suoi pensieri, e al centro delle sue domeniche o festivi. Finché un giorno verso l’inizio degli anni 2000 non decide, improvvisamente, di trasformarla in un mestiere.

Blastolene B-702
Alcune delle opere di Randy Grubb incorporano materiali inaspettati, come la curvilinea Blastolene B-702, la cui griglia del radiatore è stata costruita interamente in vetro. “Nessuno può fare a meno di toccarla, la prima volta che la vede” Dichiara orgogliosamente l’artista.

Molta dell’istantanea celebrità, anche internazionale, acquisita dall’eclettico artista in occasione del suo significativo cambio di rotta, fu dovuta in un primo momento a Jay Leno, il famoso presentatore di talk-show, che da enorme appassionato di motori quale era, scelse di invitare Randy più volte presso il suo programma più “di genere”, intitolato per l’appunto Jay Leno’s garage. La ragione era questo favolosa realizzazione costruita in collaborazione dai due, sulla base di un progetto del designer Michael Leeds, per un’auto gigantesca ispirata ai potenti prototipi europei degli anni ’30, che si sfidavano sulle pianure saline statunitensi alla ricerca di un imbattibile record di velocità. La cosiddetta Tank Car, questo il suo nome, fu letteralmente costruita attorno al gigantesco motore di un carro armato Patton M47, eppure nonostante questo, persino omologata. La vista di una tale meraviglia che circola per le strade, con il suo rombo impressionante, deve essere paragonabile alla scena di un avvistamento ufologico e di certo, ancor più strabiliante di qualsiasi Lamborghini.
Da lì, per l’artista poco più che quarantenne si aprì un mondo, che tutt’ora egli percorre con un entusiasmo, ed un’abilità, invidiabili. Tra le produzioni messe in opera negli ultimi anni, oltre alle moto déco di cui sopra, meritano di essere per lo meno citate l’incredibilmente attraente B-702, ma anche veicoli ad alte prestazioni, quali Piss’d off Pete (Pete l’incavolato) un furgoncino Peterbilt 351 degli anni ’60, rivisto con un potente motore Detroit diesel 12v71, il cui rombo raggiunge gli “appena” 130 decibel. E la Indy Special, venduta ad un collezionista privato, una versione pronta per la pista della stessa idea del motore da carro armato, questa volta integrato in un veicolo del tutto privo di compromessi stradali. Ma la sua creazione forse più bizzarra, ed attraente, sarebbe stata di un tipo totalmente differente:

Decoliner
“Praticamente, è il camper di Flash Gordon. Ma di un eroe che ormai ha raggiunto la mezza età, e vuole stare comodo nei suoi viaggi interstellari. Una vera casa su ruote…”

Il Decoliner che costituisce, tra l’altro, ispirazione dichiarata per le motociclistiche Decopod e Decoson: con di nuovo questa forma a goccia, ma stavolta integrata in un vecchio camper della Airstream, costruito secondo la metodologia, oggi desueta in questo campo, della trazione anteriore. Tratto che ha permesso a Randy, grazie all’assenza di un ingombrante albero di trasmissione, di costruire un mezzo estremamente ribassato sul terreno, ergo dotato di una funzione niente meno che eccezionale: la possibilità di agganciare un’asta metallica al mozzo del volante, per portare quest’ultimo sul tetto…E…Udite, udite…Guidare da lì! Una visione fantastica, degna di romanzi speculativi del genere fantascientifico, ma anche storie di marinai, visto il ponte di guida paragonabile a quello di uno schooner della Reale Marina Inglese. Lavorazione fornita da un amico carpentiere, viene raccontato nella seconda parte dell’intervista, di 82 anni, che lo aiutò non tanto per particolari prospettive di guadagno, quanto in cambio di assistenza per un suo personale progetto di autoveicolo appartenente al genere degli hot-rods. Ed è questo, dopo tutto, il nesso dell’intera questione: benché i mezzi, e l’opera di simili artisti, si venda e pure bene, l’intento commerciale non risiede mai al centro dei loro pensieri. Come Randy ha ripetuto più volte, con il suo fare gioviale ed entusiasta, lo scopo principale di chi dedica 4.000/7.000 ore alla realizzazione di un suo sogno di bambino, non è mai trarne un guadagno. Ma lasciare un segno indelebile, e meritevole, nella storia dei settori a lui più cari. Arte, automobilismo, fantasia; tutte e tre le cose assieme, in un’amalgama che poteva provenire soltanto da lì, nella terra di Thomas Jefferson e delle aquile di mare. Mentre noi, automobilisti del vecchio continente, continuiamo ad accontentarci delle nostre Noiosissime Ferrari!

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