Se davvero esiste, in qualche luogo irraggiungibile, la mitica pentola piena di monete d’oro, come auspicato dagli esploratori di ogni nazionalità, la sua funzione potrà essere soltanto una. Costituire, sotto al termine dell’arcobaleno, una prova dell’avvenuto pagamento da parte dell’Iperboreo, a compensare il mondo della Terra per le sue infinite traversie e tribolazioni. Una sorta di ricchezza nascosta, offerta a tutti gli esseri che pensano e respirano. Ma disponibile soltanto per colui che avrà la capacità, e la voglia, di trovarla. Il tutto perché ovviamente, deve persistere una sorta di Equilibrio. Permettendo, per ogni meraviglia, a un corrispondente contrappeso di desolazione di trovare posto, fra gli aridi deserti, le saline inabitabili, le regioni artiche intrappolate nella morsa dei ghiacci senza fine…Per ciascun luogo, un disco di metallo sfavillante, la preziosa base del pensiero e della conoscenza. Con un intero secondo recipiente, a quanto pare, dedicato alla caldera di Ijen nella provincia orientale dell’isola di Giava, terra d’Indonesia. Un luogo così terribile, infernale fino a un tale punto, che se Dante dovesse essere trasportato ai giorni nostri, probabilmente ne uscirebbe a ricercar le sue solite Stelle. Dove l’aria è percorsa da irrespirabili vapori, la pietra intrisa di zolfo maleodorante, e l’acqua stessa della pioggia, raccolta tra le alte pareti rocciose della perdizione, non è più il divino fluido che dona la vita, ma un qualcosa di completamente diverso. Assai…Peggiore. Lo so, è difficile da credere: in questa polla esteticamente non dissimile da ogni altra, se non fosse per la tinta vagamente verdeggiante della superficie, non vive, non cresce e non si abbevera alcunché. I suoi pesci primordiali, se mai vi avevano nuotato, si sono “evoluti” ormai da tempo in lische lievi sul fondale, poi una fine polvere, ed infine neanche quella. Se un uccello particolarmente sciocco, diciamo una rondine ubriaca, dovesse posarsi presso queste rive e decidere di farsi un rapido bagnetto, qui troverebbe invece la ragione di restare. Molto a lungo: quasi per l’eternità.
Ed è qui che viene il bello. Perché quei curiosi, entusiastici esploratori, difficilmente ci fermiamo alle apparenze. Tutto è soggettivo, a questo mondo, tranne la necessità di comprendere quanto prima la maniera in cui, per l’appunto, ogni cosa sia del tutto soggettiva. E alla stessa maniera in cui il personaggio Appleby di Catch-22, il romanzo sulla guerra di Joseph Heller, aveva le “mosche negli occhi” ma non poteva vederle a differenza dei protagonisti, perché appunto subiva di una simile aleatoria condizione (in realtà, un’allegoria) è il fato stesso di George Kourounis, celebre viaggiatore, uomo di mondo e cacciatore di tempeste dalle origini canadesi, di non comprendere il concetto di pericolo, assumendolo alla stessa maniera che impieghiamo noi per l’ossigeno, il cappuccino o il caffè dell’ora di pranzo. Altrimenti, come si potrebbe mai spiegare una simile sequenza? Costui che si reca, con incomprensibile entusiasmo, presso i minatori di questi recessi, uomini che rischiano la vita ogni giorno, estraendo la preziosa sostanza giallastra che da origine alla contaminazione, e si fa aiutare per gonfiare una comune imbarcazione in gomma, di quelle che nei film, lo Squalo ingoia con un singolo boccone. Perché va da se, che non c’era un altro modo a disposizione, per riuscire a misurare finalmente l’effettiva acidità del lago nella sua parte centrale, un mistero che attanaglia da generazioni…Assolutamente nessuno, assai probabilmente. Eppure tutti quanti, da un’altro punto di vista. Non sapere di sapere un qualcosa, è già piuttosto difficile. Ma l’esatto contrario può apparire ancora più terribile, a una mente impreparata…
Così, dopo un rapido pompaggio del battello, viene l’ora delle prove tecniche. Kourounis, come prima cosa, misura il pH delle acque della riva grazie a un qualche strumento che purtroppo non viene mostrato nei dettagli, ottenendo un valore di 0,5. Come probabilmente già saprete, nella scala di misurazione di questo criterio di classificazione delle sostanze, un valore superiore a 7 viene definito basico, mentre al di sotto di quel numero si va verso le tipiche sostanze usate per la lavorazione dei metalli nobili. L’aumento della corrosione è logaritmico, e indica una quantità dieci volte superiore di ioni di idrogeno rimasti liberi nella sostanza. Ogni diminuzione di un punto, quindi, è una differenza estremamente sostanziale, visto come si passi dal 2 di un semplice limone, allo 0 della batteria di un’automobile. Proprio così: stiamo parlando di un’intero lago, più corrosivo di un qualcosa che di certo non tocchereste mai con le mani. Meno che mai, fareste in modo di trovarvi al suo centro su una piccola barchetta, che potrebbe teoricamente ribaltarsi in caso di movimenti bruschi ed improvvisi. Come ampiamente dimostrato grazie alla lattina di alluminio, che l’uomo dispone a nostro beneficio presso il bagnasciuga della pozza infernale, ottenendone la sfrigolante corrosione. “Guardate qui che roba!” Esclama, poco prima di lanciare nelle acque mortifere un cuscino fatto dello stesso materiale del suo canotto, tanto per vedere l’effetto che fa. “Nessuno, perfetto!” Visto che, come saprà molto bene chi ha visto la serie di Breaking Bad, i polimeri a base di plastica dimostrano capacità di resistenza all’acido talvolta imprevedibili, e ciò che può diluire addirittura le sembianze umane, si troverà perfettamente contenuto in una ciotola. Purché sia del giusto materiale.
Viene dunque finalmente, l’attimo del varo. È piuttosto inaspettato, ed al tempo stesso inquietante, vedere questo esperto conoscitore della natura e del pericolo (in patria, Kourounis ha condotto in passato un programma tv intitolato Angry Planet – il pianeta rabbioso) che rema goffamente, al fine di minimizzare la quantità di acido corrosivo fatto sollevare dalla superficie. A distanza della riva, quindi, l’uomo effettua la nuova misurazione, rilevando un valore impressionante di 0,13, pericolosamente prossimo, se non proprio vicinissimo, a quello di concentrazioni immediatamente letali anche soltanto dalle esalazioni, come l’acido idroclorico (-1), nitrico (-1,2) o quello solforico ad uso industriale (-1,3). Non mancano, naturalmente, le critiche alla sua tecnica di locomozione estremamente cauta nei commenti, visto che Internet è al solito piena di esperti, che tuttavia si dimostra, alla fine dei fatti, addirittura insufficiente. Visto come una piccola quantità dell’acqua del lago, nonostante le precauzioni, finisca per riempire il fondo del canotto, iniziando quasi subito a bruciargli le gambe attraverso i pantaloni. Tornato a riva, quindi, il coraggioso navigante procederà a trasformarli prontamente in shorts, grazie all’impiego dell’inseparabile coltello. Una scena dal melodramma hollywoodiano, guarda caso, niente affatto indifferente.
Missione compiuta. Ma cosa sarebbe successo, in effetti, se il protagonista si fosse ribaltato col gommone, trovandosi costretto a nuotare fino a riva? Il tipico gusto macabro dei commentatori del web ha prodotto, in merito all’ipotesi, un’ampia ed ansiogena letteratura. La bassa concentrazione dell’acido nell’acqua piovana del lago, come potrete immaginare, avrebbe contenuto relativamente i danni. La pelle umana, inoltre, è sufficientemente spessa da resistere per un tempo breve all’immersione in un pH di 0/0,5, purché una volta fuoriusciti dall’improbabile lago, si proceda immediatamente a ripulirsi con generosi dosi di acqua limpida e pura. Tutte le mucose esterne, tuttavia, non sarebbero state altrettanto fortunate: labbra, orecchie, naso, parti intime avrebbero subito lesioni… Mentre le conseguenze maggiormente deleterie, ovviamente, le avrebbero riportate gli occhi: persino danni permanenti alla vista, di una gravità variabile in base alla rapidità con cui si fosse riusciti a chiudere le palpebre, non sarebbero stati distanti dall’orribile orizzonte degli eventi. Tutto considerato, un’esperienza decisamente…Evitabile. Soprattutto dal punto di vista degli astanti all’operazione, questi stoici lavoratori che da generazioni traggono sostentamento dalla produzione quotidiana di zolfo del vulcano, condannando loro stessi a una vera Odissea di sofferenze, soltanto per dare sostentamento alle proprie famiglie disagiate. Vendendosi la vita, per pochi euro al giorno di guadagno? Usando semplici pezzi di stoffa arrotolati, al posto di respiratori? Intrattenendo, quando possibile, i turisti di passaggio? E che dovrebbero mai fare, sprofondare?
Mentre resta forse la questione più incredibile, il fatto stesso che per riportare una semplice misurazione dell’acidità di un lago, una persona proveniente da lontano sia disposta a correre un tale pericolo! Eppure, considerate questo: non c’era nessun altro modo di farlo. E a molte generazioni da questo giorno, probabilmente, quando i posteri extra-solari si troveranno a leggere della caldera di Ijen sull’equivalente futuribile del web spaziale, troveranno ancora scritto: “Il primo essere umano a navigare sopra l’acido: George Kourounis.” Potrà forse sembrarvi una questione di poco conto, ma in effetti, dopo tutto, non lo è.