In questo breve video dimostrativo della ELIDE, compagnia thailandese, viene mostrato all’opera una formidabile arma portatile contro una delle più antiche conoscenze dell’uomo: spesso un amico, qualche volta problematico da controllare, occasionalmente, in casi veramente sfortunati, distruttivo e inarrestabile, persino micidiale. Avevate mai pensato di lanciargli una granata? Il fuoco è una di quelle reazioni chimiche che iniziano con relativa semplicità, specie in condizioni particolarmente favorevoli, ma che poi richiedono interventi complessi al fine di tornare ad una condizione di normalità. Tra i primi diagrammi studiati nella teoria della prevenzione e contrasto di un tale pericolo, c’è quello del cosiddetto triangolo della combustione, in cui ciascun lato rappresenta uno dei diversi elementi necessari affinché sia possibile il verificarsi della situazione: ossigeno, materiale da bruciare, calore. Nella versione più moderna della stessa cosa, ciascuna di tali diciture è invece essa stessa posta su un triangolo completo, a formare nel complesso un tetraedro che poggia sulla dicitura “reazione chimica (a catena)”. Ciò perché l’interruzione, anche soltanto momentanea, della capacità di generare i radicali liberi a sostentamento delle fiamme, come ben sanno i pompieri, porta immancabilmente all’immediato dissolversi del rischio rosseggiante d’ustione, benché tale strada sia ormai percorsa raramente, in quanto richiede l’impiego di un tipo di gas estremamente nocivo per l’ambiente. Ma è proprio per intervenire negli altri ambiti citati, che si rendono generalmente utili gli estintori. Apparecchiature caricate a pressione, con diversi tipi di polvere o schiuma mescolati a un propellente, che espulsi direttamente sul combustibile, lo privano, a seconda dei casi, dell’aria o dell’alta temperatura, portando a termine la loro importante mansione. Ma poiché qualsiasi strumento, per sua implicita natura, non può essere migliore di colui che lo impiega, non esiste un sistema antincendio manuale che possa definirsi, realmente, a prova di bomba. Innanzi tutto perché esistono diversi tipi di emergenza termica incontrollata, classificati secondo uno schema internazionale preciso, che classifica: A – fiamme di tipo convenzionale; B – liquidi infiammabili o sostanze chimiche; C – una combinazione dei primi due, con l’aggiunta di materiale elettrico in corto circuito; D – metalli combustibili, quali il litio, il titanio o il magnesio (si tratta di contesti per lo più industriali); K – incendio in cucina, con sostanze grasse ed oleose; sia dunque chiaro che il tipo di approccio da usare in ciascuna situazione è differente, così come la classe di estintore maggiormente idonea. Ma questo è soltanto l’inizio del problema: metteteci pure che una persona non addestrata, magari colta dal panico, dovrebbe tradizionalmente raccogliere un oggetto cilindrico del peso di diversi Kg, trasportarlo fino alla zona colpita, quindi eseguire la precisa serie di gesti: TIRA, la linguetta di sicurezza; PUNTA, la manichetta di lancio circa 15 cm sopra la base del fuoco; PREMI, la leva di attivazione; SPAZZA, da un lato all’altro, cercando di spegnere quanto di dovuto. E se non dovesse andare come auspicato, a quel punto ci si trova a pochi metri dalla fonte del pericolo, senza altra speranza che voltarsi e correre, sperando nell’arrivo dei soccorsi. Non a caso, all’origine di questo prodotto ELIDE, la compagnia cita la vicenda tragica che colpì particolarmente il fondatore della compagnia Mr. Phanawatnan Kaimart, di un incendio scoppiato nel 1998 presso il Royal Jomtien Hotel di Pattaya, Thailand. Circostanza in cui morirono 94 persone, e nelle quali, si scoprì successivamente, il primo scopritore delle fiamme avrebbe potuto (ipoteticamente) prevenire il diffondersi del disastro. Se soltanto, spaventato e ferito dal calore, non avesse tentato di mettersi in salvo, ritenendo erroneamente che un estintore convenzionale, qualora lanciato nel bel mezzo alle fiamme, sarebbe ad un certo punto esploso, arrestandone in qualche maniera l’avanzata. Un fatto assolutamente non vero.
Ma c’è una scuola di pensiero, nell’ingegneria e nella tecnica applicata, che da lungo tempo afferma: “Se l’impiego di un dispositivo tecnologico non risulta immediatamente comprensibile, anche per un bambino, allora i suoi costruttori hanno fallito.” Questione che diventa tanto più vitale, nelle situazioni d’emergenza in cui il cervello umano finisce per affidarsi alle sue pulsioni più istintive, regredendo allo stato evolutivo del rettile o del procariota primordiale. Perché dunque, se una porta d’emergenza ha una maniglia concepita in maniera tale che basta spingerla, per aprirla, l’impiego di un estintore dovrebbe invece richiedere ben quattro passaggi?
Enters: questa tipologia di sfere, cilindretti o bottiglie esplosive. Un concetto certamente, tutt’altro che nuovo (i primi estintori lanciabili risalgono alla metà del XIX Secolo) ma che in quest’epoca tecnologica può finalmente raggiungere un livello d’efficienza pari, o persino superiore, a quello delle bombole di tipo convenzionale. I vantaggi sono diversi: innanzi tutto, una di queste sfere non pesa più di un chilo e mezzo, risultando facilmente sollevabile anche da parte di bambini, diversamente abili o anziani. Inoltre il suo impiego risulta, per usare un’espressione particolarmente amata dagli anglofoni, fool-proof (“a prova d’idiota”) poiché non è semplicemente possibile compiere il tipico errore delle persone inesperte, che spesso orientano il manicotto dell’estintore verso la cima delle fiamme, incoraggiati da una falsa impressione di efficacia sulle stesse. Perché una palla, trainata dalla gravità, cade sempre verso il basso, prima di esplodere un vortice di schiuma o polvere della salvezza. Il contenuto della sfera propriamente detta può essere, a seconda dei casi, della tipologia adatta per privare di ossigeno gli incendi di tipo A o B (fosfato di mono ammonio) o vari tipi di schiuma di contenimento, maggiormente indicati per le classi di incendio più complesse. La manutenzione di questa tipologia di estintori, inoltre, può risultare maggiormente semplice ed intuitiva, visto che al termine della loro durata funzionale, che si estende generalmente per un periodo di circa cinque anni, non devono essere ricaricati, ma integralmente sostituiti. Facendo quindi riferimento ad una semplice data di scadenza, come il cibo.
C’è poi un ultimo punto di forza, letteralmente sconosciuto, come dicevamo, all’estintore di tipo tradizionale: le sfere antincendio funzionano in ogni caso, anche se non c’è nessuno a lanciarle. Nel caso di un brusco aumento di temperatura, infatti, il loro involucro è concepito per corrodersi spontaneamente, inducendo la reazione chimica che porta all’esplosione (sia chiaro che quest’ultima non priva l’ambiente di prezioso ossigeno, né risulta sufficientemente forte da ferire gli astanti). A quel punto, la schiuma si diffonde per ogni dove, con in più il valore aggiunto che il fragoroso botto prodotto, idealmente, fungerà da avviso del pericolo imminente. Non è certo un caso se simili dispositivi, costruiti con metodologie notevolmente più semplici, erano una visione estremamente comune nelle fabbriche o fonderie di inizio secolo, dove piuttosto che affidarsi alla fallibilità dell’uomo, si preferiva premunirsi in fase di progettazione dell’edificio. Peccato soltanto che le ampolle di quei tempi, il cui involucro era un semplice vetro molto sottile, fossero talvolta più pericolose dell’incendio stesso!
La questione delle granate antincendio è un problema largamente noto ai collezionisti d’antiquariato americani, che come è noto acquistano ogni sorta di memorabilia risalente anche soltanto a un paio di generazioni fà. La prima generazione di questa classe di dispositivi, fortunatamente, non ha nulla di particolare: fino al 1900, le bottiglie antincendio erano delle letterali ampolle di vetro (tra l’altro, molto ornate ed esteticamente appaganti) riempite di una soluzione di acqua e sale, affinché non si congelassero nei climi freddi, con alcuni grammi di bicarbonato di soda e cloruro di ammonio. Tale soluzione, tuttavia, si rivelò insoddisfacente, e nel trentennio successivo ebbe ampia diffusione una classe di prodotti che vedevano l’impiego di un sostanza chimica in grado di generare una sorta di nebbiolina in fase d’impatto, all’interno della quale, semplicemente, non poteva sussistere la creazione dei radicali liberi alla base di qualsiasi incendio. Tale liquido, che si presentava con un colore rossastro quasi trasparente, era il tetracloruro di carbonio, uno strumento d’innegabile efficacia in ogni situazione di prima risposta alle emergenze, in attesa dell’arrivo dei pompieri. C’era, tuttavia, un gravissimo problema: tale composto risultava, si scoprì successivamente, estremamente velenoso per esseri umani ed animali. Bastava infatti respirarlo per alcuni minuti, o persino assumerlo attraverso i pori della pelle, per riportare danni ai reni o al fegato, e in caso di calore molto intenso, trasformandosi spontaneamente in gas fosgene, persino la morte improvvisa per asfissia. L’utilizzatore della formidabile granata avrebbe dunque dovuto, idealmente, lanciarla e scappare via lontano, esattamente come il suo antesignano militare della prima o seconda guerra mondiale. Una soluzione che, è inutile dirlo, tendeva a renderla notevolmente meno utile di un estintore di tipo convenzionale, in cui per lo meno, un eventuale utilizzo improprio non peggiorava la già terribile situazione! Con l’uscita dal commercio di simili oggetti deleteri, tuttavia, il pericolo non è ancora stato risolto: la maggior parte dei collezionisti, infatti, si rifiuta di far svuotare le proprie ampolle (un’operazione che risulta, tra l’altro, pericolosa) e continua a riempirsi la casa di letterali granate vetrose, pronte ad infrangersi con le conseguenze che potrete facilmente immaginare. Al giorno d’oggi, tuttavia, con le moderne soluzioni chimiche a disposizione, il concetto della sfera da lancio antincendio è tornato potenzialmente utilizzabile, nonché innegabilmente funzionale. Resta tuttavia, come spesso capita, la questione del condizionamento pregresso: siamo davvero sicuri, in quest’epoca in cui film, tv e ogni sorta di altro media ci mostrano continuamente il funzionamento del tipico estintore a getto, una semplice palla possa ispirare una maggiore fiducia nei suoi accidentali, importantissimi utilizzatori? Nel caso citato dell’incendio a Pattaya, un simile strumento sarebbe stato assolutamente provvidenziale. Ma ogni situazione è diversa.
Sarebbe bello vedere, in un futuro ipotetico, entrambi gli strumenti a disposizione nello stesso fabbricato. Per soddisfare, al tempo stesso, gli amanti del tiro e segno e quelli della pallacanestro. Non si sa mai quale sport potrebbe giungere a salvarti la vita, un giorno non lontano…