Molti grandi momenti della storia sono stati segnati dalla messa in funzione di una macchina, che fosse letteralmente in grado di spostarsi lungo un asse precedentemente ritenuto irraggiungibile. Con metodologie che possano essere chiamate, nuova. E parecchi altri risvolti dl domani, ancora, lo saranno: pensate ad esempio all’ipotetico, nonché lungamente vagheggiato, dispositivo personale in grado di muoversi attraverso il tempo. Alle impressionanti implicazioni che una tale cosa avrebbe sulla nostra vita, sullo studio del passato e le possibili prospettive future di ogni gesto che compiamo quotidianamente. Come si trovò ad ipotizzare lo stesso Isaac Asimov, con il suo racconto del 1956, The Dead Past, non sarebbe nemmeno necessario raggiungere fisicamente l’epoca trascorsa. Già il semplice fatto di poter vedere con i propri occhi ciò che stava succedendo, nel tale momento, presso un determinato luogo, basterebbe a cambiare radicalmente la nostra prospettiva sugli eventi in modo totalmente radicale. E se dovessimo mai giungere ad avere il cronoscopio, questa ipotetica macchina d’osservazione “fuori dal tempo”, verso chi la punteremmo? Qualcuno, sfruttandola per un vantaggio personale come ipotizzato dall’autore fantascientifico, farebbe in modo di sapere tutto sul nemico, sul collega, sul vicino… Altri, senza un attimo di esitazione, tenterebbero di giungere a contatto con i grandi. Sarebbe una tentazione pienamente comprensibile, nonché la fine di particolari branche dell’archeologia e filologia. Perché basterebbe regolare qualche manovella, per conoscere l’andamento reale di monumentali avvenimenti, o anche soltanto sperimentare l’esperienza di assistervi coi propri occhi, per comprenderne spiritualmente lo stato d’animo, la personalità e il modus operandi di figure come Giulio Cesare, Napoleone, George Washington e così via… Persino, perché no, Leonardo da Vinci! O uno dei suoi molti successori, uno, essenzialmente, di noi…
Ebbene, viviamo in un’epoca davvero straordinaria. In cui non soltanto le tecnologie informatizzate, ma lo stesso stile d’interpretazione delle cose, ci hanno permesso di perfezionare la raccolta dei dati di ogni tipo, sempre massimamente finalizzata all’elaborazione del presente. Così è successo, per uno strano caso del destino, che un artista e regista olandese, Johannes Hogebrink, sia riuscito a produrre l’approssimazione più prossima del cronoscopio che fosse anche, guarda caso, FISICAMENTE possibile. Un’applicazione specifica di un metodo di elaborazione tutt’altro che innovativo (l’animazione di una serie di foto) ma che così applicato, finisce per offrire un punto di vista privilegiato sull’opera di vita del primo uomo ad aver volato, in modo documentato e ripetuto, con un dispositivo più pesante dell’aria. L’ornitottero per eccellenza, onde essere maggiormente specifici, ovvero la versione ottocentesca, pienamente utilizzabile e fin troppo funzionale, di quella stessa cosa che era stata già progettata tanti secoli prima, senza mai tentarne la messa in opera per quanto ne sappiamo, dall’italiano più famoso del Rinascimento. Un velivolo per una singola persona, che salendovi a bordo avrebbe avuto modo di sperimentare l’esperienza di essere un uccello, spostandosi verso una direzione totalmente nuova. L’importanza delle imprese di Otto Lilienthal, nonostante egli sia spesso soverchiato nelle cronache dai personaggi che famosamente “riuscirono” nell’inventare l’aviazione, i due fratelli Wright, è difficile da essere sopravvalutata. Anzi è persino possibile ipotizzare, come molti fanno, che senza la rilevanza data dai giornali di allora agli spericolati balzi compiuti dal predecessore giù dai colli circostanti la città di Berlino, le cui imprese affascinarono grandemente i due giovani inglesi che avrebbero portato a compimento la sua idea, il primo aereo avrebbe volato in questo mondo solamente molti anni dopo, rallentando in modo palpabile il progresso umano. Giornali, certo. E niente più di questo: resterebbe assai deluso, chiunque dovesse tentare di analizzare l’intera questione con la chiave di lettura dei moderni canali mediatici, spesso interconnessi tra di loro e pienamente efficaci a dare una visione a tutto tondo degli eventi delle imprescindibili giornate. Considerate che la prima versione del cinematografo, brevettata dal francese Léon Bouly, non sarebbe giunta che nel 1892, risultando tutt’altro che diffusa fino alla morte di Lilienthal, sopraggiunta nel 1896. Ed ecco allora che il presente video, come accennato in apertura, assume toni vagamente fantascientifici, persino miracolosi.
Il coraggioso inventore scruta l’orizzonte, dalla cima della sua Fliegeberg, in bilico dal parapetto della la collina artificiale che si era fatto costruire presso la sua casa nel quartiere periferico di Lichterfelde. Dietro di lui, un uomo con bombetta lo osserva in modo interessato. Considerando, in modo particolare, l’astruso marchingegno che si trova appeso alla vita della controparte: una grossa e pesante meraviglia dell’aerodinamica, dall’apertura alare di oltre 4 metri, candida come le ali di cicogna che l’avevano ispirata, la coda verticale bene eretta per seguire il vento. C’è una breve pausa, quindi colui che possiede il potere, la volontà e l’intenzione, compie il fiero passo, lascia il terreno e s’inoltra nell’aere, finalmente libero dai limiti dell’umano, benché per poco, pochissimo tempo. Secondo quanto riportato dalle cronache, Otto Lilienthal poteva lanciarsi col suo aliante dall’altezza di 15 metri, percorrendone quindi a distanza dal suolo, con il vento a favore, fino a 250. Come da programma, nel video fotografico di Hogebrink compaiono le molte persone, abitanti del luogo o provenienti dai paesi vicini, che non mancavano mai di assembrarsi attorno al luogo di partenza dell’ennesimo esperimento dell’uomo-uccello, per poter dire di aver assistito ad un momento tanto importante della scienza tecnologica applicata. Molto spesso, era lui stesso a chiamarli, assieme ai fotografi dei più importanti quotidiani locali, generando quel vasto corpus d’immagini da cui l’autore olandese ha attinto a piene mani, come base per la sua anacronistica realizzazione, portata a termine anche grazie all’assistenza del museo di Anklam (Meclemburgo-Pomerania) intitolato al prototipico aviatore, dove ne vengono custodite ben 145, scattate tra il 1891 e il 1896.
E si trattava di un’impresa, ogni singola volta, totalmente priva di reali precedenti. Lilienthal ebbe modo di costruire, nel corso della propria vita, una pluralità di alianti, con i quali tentò di acquisire l’arte del volo per ben 2.000 volte. Rischiando pericolosamente la sua vita, ogni singola, drammatica volta. Come esemplificato da questo video, pubblicato sul Kanal von solarfahrt di YouTube, l’impresa di mantenre il controllo sui suoi velivoli era terribilmente complicata. Egli infatti era ancora, non soltanto ben lontano dalla principale innovazione attribuibile ai fratelli Wright, l’invenzione delle superfici di controllo e della conseguente procedura di svergolamento alare, ma aveva anche frainteso il metodo migliore di pilotare un aliante con il proprio peso. Invece di posizionarsi, infatti, al di sotto dello stesso, come avviene nei moderni deltaplani, si era posizionato con le gambe al di sotto e il resto del corpo sopra al dispositivo, dotandosi di un baricentro svantaggioso. Ciò che tendeva a succedere, dunque, durante molti dei suoi esperimenti, era che il muso dell’aeromobile tendesse a puntare pericolosamente verso il basso, rendendone difficile il recupero prima di un inevitabile schianto. Ciò nonostante, egli persisteva in un processo di continuo miglioramento e sperimentazione che probabilmente, di lì a poco, l’avrebbe condotto verso la luce della verità. Il 9 agosto del 1896, Lilienthal si recò, come era sua abitudine, presso le colline da cui era solito lanciarsi in occasione di ogni fine settimana. Il clima era limpido e privo di vento, offrendo circostanze totalmente ideali e prive di connotazioni problematiche ulteriori. Il Sole splendeva alto nel cielo. Il mondo lo ammirava. Nel corso dei primi tre salti, l’inventore ottenne dei successi encomiabili, con i consueti 250 metri di distanza percorsa via dal suolo. Giunto al quarto, tuttavia, sopravvenne l’imprevisto: nel corso di una delle sue cabrate, perse il controllo del mezzo, precipitando rovinosamente dall’altezza di 15 metri. Ben presto, sotto gli occhi del suo meccanico Paul Beylich, fu palese la tremenda verità: l’amico e collega aveva riportato una frattura alla colonna vertebrale. La sua sopravvivenza apparve, fin da subito, improbabile.
Successivamente al decesso, avvenuto presso la clinica di Ernst von Bergmann, uno dei dottori più rinomati della sua epoca, l’inventore lasciò la moglie Agnes Fischer e quattro figli: Otto, Anna, Fritz e Frida. Venne inoltre sopravvissuto dal fratello Gustav, che sarebbe vissuto fino al 1933, potendo assistere a tutto quello che sarebbe germogliato, di lì a poco, dal nucleo delle idee del suo compianto familiare. Oggi, presso il luogo del fatale incidente, è stato eretto un monumento simile ad un tempio dalla forma circolare. Il principale aeroporto di Berlino, il Flughafen Tegel “Otto Lilienthal”, è stato inoltre intitolato a questa figura di assoluto primo piano nella storia del volo. Se tuttavia fosse davvero possibile, a tanti anni di distanza, conoscerlo in qualche maniera…Acquisire di prima mano il catalogo delle sue esperienze, del carattere che condizionò l’impresa da lui compiuta… Chi può dire in quale modo saremmo contagiati dalla fiamma ormai perduta, dell’inventore spericolato, che non poteva far altro, per sperimentare le sue idee, che mettere a rischio la sua stessa vita! Perché come lui stesso disse in punto di morte al fratello, secondo la leggenda: “Opfer müssen gebracht werden!” – I sacrifici devono essere fatti. E cosa ancora più importante: devono essere ricordati. Con tutte le macchine che abbiamo a disposizione.