Quel senso di stasi delle aspettative sulle circostanze, che sviluppa la tua mente mentre guidi su una strada lungamente conosciuta. Il volante che pare automatico nelle tue mani, le automobili come tronchi nel fiume, che ordinatamente seguono le indicazioni di giornata. Quando a un tratto, un brusco suono; come il grido di un uccello; la sirena dei pompieri. Panico, sbigottimento! Dove sei? S’immetterà da destra sull’incrocio? Si fermerà al semaforo, chissà? Soccorrere la gente non è facile. Richiede forza e abnegazione. E non prescindere da un certo grado d’incertezza, pensi, mentre spegni l’autoradio ed apri il finestrino (5 gradi al sole mamma mia) soltanto per udirlo meglio e poi comprendere da dove viene. Ah, quale futilità. Già l’autotreno rosso sopraggiunge, dal bel mezzo dello specchio sul lunotto, e inizia il suo sorpasso a gran velocità. È semplicemente…Magnifico. Brillante, agile come un levriero. Mentre invade l’altro lato della strada, priva di spartitraffico ma a doppio senso, ben sapendo come farlo senza correre il pericolo di un incidente. Ed è quello, atrocemente, l’attimo di una terribile realizzazione: che poco più innanzi c’è lo spartitraffico. E lo sfortunato camion, nella sua manovra, dovrà riuscire ad evitarlo. Ma se pure la motrice potrà farlo, è letteralmente impossibile, lo si comprende bene, che il rimorchio condivida il suo felice fato. Stiamo per assistere…A un probabile cappottamento! Oh, my! Se non che il pericolo si appresta, si avvicina, si tramuta in un’orribile certezza. E propria quando tutto pare sia perduto, il tempo pare quasi che si fermi. E il gran rimorchio, invece d’impattare il marciapiede ad abbondanti 80 Km/h, si agita come la coda di un serpente. Cambia, sinuosamente, la corsia.
È una questione largamente nota ad ogni bambino che si rispetti, sia stereotipico che in carne ed ossa, il fatto che il tipico veicolo dei vigili del fuoco sia “Ganzo, magico, meraviglioso!” Mentre soltanto con l’età si elabora il pensiero, supportato dall’imprescindibile evidenza, che tale strumento non sia dopo tutto altro, in ultima analisi, che un autoveicolo ricolorato, con dispositivi e attrezzatura ad alta specializzazione. E chi ha ragione alla fine, tra il fanciullo interiore e il grigio adulto? Forse nessuno dei due. Ma il primo forse, da un certo punto di vista, ci era andato più vicino. Guardate qui che roba! Il protagonista della scena, per inciso, è un fire truck (poco più avanti la definizione) del dipartimento dei Vigili del Fuoco di Hillandale nel Maryland, sita sul confine tra le contee di Montgomery e Prince George. Una ridente cittadina di circa 6.000 persone, con molto verde, una chiesa battista, almeno due McDonalds e l’imprescindibile filiale di Walmart. Dove il problema più grande che il dipartimento di polizia debba affrontare, con cadenza reiterata, è qualche furto di trascurabile entità. Mentre i loro cugini con la pesante giacca ignifuga…
Sai com’è. Rosso, linguacciuto, tenebroso eppure caldo della luce dell’inferno e dell’esizio dell’umanità. Il fuoco non conosce remore, né sopratutto, sa cosa significhi dormire. Per questo occorre essere sempre pronti, ed attrezzati, al fine di combatterlo con la speranza di tenere aperta la fondamentale porta del futuro. Ed è un’acuta semplificazione quella, spesso fatta da lontano, senza un motivato interesse d’approfondimento, che fa di tutto un fascio e chiama i loro mezzi: “camion dei pompieri”. Non a caso, nella lingua inglese, esistono per approcciarsi all’argomento ben due termini distinti, entrambi d’uso comune: il fire engine, in dotazione a qualsivoglia reparto di vigili che si rispetti, è quella che noi chiamiamo normalmente l’autopompa. Un camion col cassone, pieno d’acqua, molti metri di tubo e un’equipaggio dalle due alle cinque persone. Sempre il primo sulla scena, perché più piccolo dell’imminente alternativa, e quindi relativamente agile, si suppone che inizi a irrorare liquidi smorzanti non appena riesce a raggiungere l’incendio, per poi essere attaccato ad un idrante, continuando il suo lavoro fino all’ultimo coronamento, PUF – s’è spento. Ma qualora dovesse servire ad aiutarlo, due-tre-quattro minuti dopo (non di più, generalmente) arriverà in determinati casi un vero e proprio fire truck, ovvero quello che noi italiani tendiamo a definire, le poche volte in cui ci preoccupiamo di distinguerlo dall’altro, l’Autoscala. Ed è forse proprio in essa, come ampiamente dimostrato dal presente video, che permane una scintilla misteriosa, per non dire quantica, d’improbabile sapienza ultramondana.
Una mossa segreta. Una tecnica speciale: se questo fosse un videogioco, sarebbe effettuata con una pressione combinata dei comandi. O meglio, se fosse un particolare tipo di gioco. Perché in altri, per analogia col termine usato dai tedeschi nella seconda guerra mondiale per riferirsi a una particolare manovra aeronautica, lo chiamerebbero strafing, ovvero – spostamento laterale. Una semplice pressione del tasto A, se a sinistra, oppure D, a destra, nei tipici sparatutto dei tempi moderni. Ma non è sempre stato così. Era in effetti esistito, sul finire degli anni ’70, una particolare cabinato del tipo “da bar” (ma forse sarebbe più corretto dire, da luna park) prodotto della Atari, all’interno del quale girava un rudimentale gioco dal titolo, assolutamente programmatico, di Fire Truck. La cui grafica schematica, o per meglio dire primordiale, veniva per lo meno compensata da un’affascinante allestimento, con due volanti per altrettanti giocatori, l’uno seduto e l’altro dietro a lui, rigorosamente in piedi. E ciò era del tutto realistico. Perfettamente aderente alla realtà: perché l’autoscala, un vero e proprio autotreno lungo anche 15 metri, ha sempre non uno, bensì due piloti. Il primo nella motrice ed il secondo nella piccola cabina posteriore che gli statunitensi chiamano il tiller (per analogia con la barra del timone delle navi) che si occupa, potrà sembrarvi strano, di far le curve col rimorchio. Proprio così. Era quello l’arduo scopo del videogame, ed anche quello dei reali conducenti di un tale veicolo, altrettanto intento nella vera vita all’arduo compito di muoversi nel traffico urbano. Spesso denso, qualche volta lieve, ma pur sempre intento ai suoi pensieri e guarda caso, pare quasi, intenzionato fermamente a suicidarsi.
E va da se che trovarsi in tale ruolo sia una posizione di grande responsabilità ma anche, come si dicono nel corpo e un po’ dovunque sul web, perché anche i pompieri amano chattare con gli sconosciuti, estremamente “divertente”. Um. Comunque, non facile e intuitivo. Perché finché il conducente guida dritto, ovviamente, tutto quello che dovrà fare il timoniere è mantenere in asse il rimorchio, con minime correzioni effettuate in base ad una barra luminosa, posta innanzi ad esso, con lo specifico scopo di aiutarlo nella sua mansione. Ma è alla prima curva, va da se, che le cose iniziano a farsi davvero complicate. Perché ovviamente, come saprà chiunque abbia mai guidato un autotreno (ivi inclusa l’automobile con la roulotte al seguito) le dinamiche geometriche vogliono che quest’ultimo tenda sempre a muoversi all’opposto della parte col motore. È una sorta di azione e reazione, se vogliamo. Aggiungete un paio di ruote sterzanti sul retro, ed otterrete la seguente possibilità: girare col timone a destra mentre il conducente va a sinistra, migliorerà notevolmente il raggio di sterzata. Mentre fare l’opposto, l’annullerà. Creando il notevole effetto della scivolata “laterale” di cui sopra, ovvero il gesto dello strafing, redivivo, trasferito al campo della guida su strada. Con molte meno mitragliatrici e anzi un intento estremamente nobile: giungere in tempo e fare la differenza.
La cooperazione tra guidatore e timoniere, è inutile dirlo, richiede un certo grado di affiatamento. All’origine di questo metodo di guida, introdotto assieme alle prime autoscale verso la fine del XIX secolo, con il diffondersi delle strutture urbane sopra i cinque piani, i due non potevano assolutamente comunicare. Soltanto successivamente, ci viene dato di comprendere, venne introdotto un sistema che prevedeva l’impiego di un buzzer (cicalino particolarmente sguaiato) controllato dalla cabina anteriore, che poteva essere udito senza falla dal fido secondo: una suonata voleva dire curva, due, ci fermiamo, tre, retromarcia. E sia chiaro che tale sistema è ancora presente nei fire truck moderni, benché trovi ad affiancarlo un ben più utile interfono con cuffie e microfono. Ma nel caos del traffico, guidando a un ritmo sostenuto, non è che ci si possa sempre mettere a spiegare al collega “Ora curvo a destra, attento al palo, sto imboccando la 6th avenue contromano, c’è un pedone sul bordo del marciapiede e…” Occorre quindi, innanzi tutto, che il timoniere abbia ben chiaro il tragitto da compiere fino alla meta. E secondariamente, che conosca approfonditamente lo stile di guida del compare, per anticiparlo ed assisterlo nelle sue manovre maggiormente ardimentose.
Può succedere, dunque: si, non è un glitch di mondi virtuali creati dalle macchine che sfruttano l’umanità… (Neo, sei tu il prescelto etc. etc.) Gli equipaggi dei camion lunghi dei pompieri non rispondono alle leggi della fisica stradale che noi diamo, meramente, per scontate. Essi conoscono la via della salvezza. Propria, dallo spartitraffico incombente, nonché altrui, quando raggiungono il luogo più caldo di tutta la città. Trovando già sul posto, se tutto è andato per il verso giusto, i propri colleghi del fire engine che spruzzano copiosi getti d’acqua dall’esterno. Mentre saranno proprio i guidatori della scala, con via d’accesso aerea ed estensibile, ad avvicinarsi al tetto fiammeggiante, per scardinarlo con gli uncini (tali apparati vengono in effetti anche chiamati, hook & ladder truck) ed areare l’edificio, poco prima di calarsi coraggiosamente dentro. Con l’arduo fine di salvare il mondo ancòra e ancòra. È una lavoro scintillante e assai fuliginoso. Ma lo stemma sul cappello è solamente loro. E il gusto della gloria, chi fa un simile lavoro, lo assapora tutti i giorni a colazione.
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