Svegliarsi all’improvviso verso l’alba di un ronzio insistente. Proprio lì agli antipodi, in Nuova Zelanda. Una terra di creature che potrebbero ben dirsi, dai nostri remoti antipodi, diverse. Grandi quando dovrebbero essere piccole, più forti e più veloci. Velenose, qualche volta. Eppure cos’è, persino il pericolo individuale, rispetto alla capacità di primeggiare a lungo termine, in funzione dell’efficienza ecologica di un’intera specie! E non c’è altra insettile colonia, in tutto il mondo degli artropodi, che possa dirsi maggiormente adattabile e potenzialmente deleteria, di una che non vedi neanche, perché si trova incastonata tra le vecchie radici di un arbusto. Che non puoi fumigare. Né bruciare. Dunque, chi chiamerai? Nessuno ricorda, esattamente, quando e come queste Vespula germanica, chiamate dagli americani yellowjacket, mentre da noi semplicemente “vespe” si siano propagate allegramente al Nuovo ed al Nuovissimo tra i continenti, probabilmente per l’attimo di distrazione di un trasportatore di frutta e verdura. Dal punto di vista biologico, del resto, simili creature paiono davvero “fatte apposta”. Quando in autunno, mentre l’ormai vecchia generazione di regine si è inoltrata nella senescenza, le ali deboli, la forza che viene a mancare, ma le uova deposte diventano sempre più rare. Nessun altra operaia potrà nascere, bensì sorelle ben più grandi, a loro volta latrici di un prezioso patrimonio di DNA. Nuove sovrane in-fieri. Che saranno doverosamente fecondate dai maschi della colonia, poco prima di volare via lontane. Ad ibernarsi, in un lungo letargo, fino al distante ritorno della primavera.
Purché si renda veramente necessario, un simile passaggio. Giacché nel continente d’Oceania, presso la zona maggiormente temperata dei grandi oceani del Sud, l’alternarsi del ciclo stagionale porta ad escursioni termiche e climatiche davvero trascurabili. Con il risultato che i nidi di questa particolare specie, che qui neppure dovrebbe esistere, crescono e diventano davvero giganteschi, diventando essenzialmente, perenni. Come le conifere, che non si spogliano mai delle preziose foglie, ma ornano i giardini per dodici mesi l’anno. E tutti apprezzano la duratura bellezza della natura. Un diamante è per… Pensate, che meraviglia: una collana di vespe, un bracciale dalla colorazione gialla e nera con le zampe, o antenne come spille o piccoli orecchini, da indossare sul princìpio di serate memorabili, straordinarie! Giammai. Giacché, si dice molto spesso: “Non c’è creatura più detestabile della vespa. Almeno l’ape, prima di pungerti, ha impollinato i fiori e fatto il miele. Mentre la sua cugina molto, molto più aggressiva, a cosa potrebbe mai SERVIRE?!” Beh, diverse cose. Innanzi tutto, a farti un’insistente compagnia. Non che ci sia stima reciproca, purtroppo, tra le vespe e gli uomini, principalmente perché le prime hanno un comportamento di raccoglitrici d’occasione, come gli orsi essenzialmente, che le porta a spingersi presso le nostre tavolate, i delicati frutteti, talvolta fin dentro amichevoli alveari. Per rubare il nettare dolcissimo e far scempio, senza alcun ritegno, delle sue pelose produttrici. Ma almeno questo, sarebbe certamente difficile negarlo: si tratta di animali estremamente interessanti.
Da studiare ed ammirare, come sembra intento a fare il coraggioso Bob Brown, protagonista del presente video, che troviamo intento nel compito niente affatto accessibile di rimuovere un grosso nido di queste creature, costruito proprio sotto il suolo di quello che potrebbe essere un giardino. Senza l’uso di veleni o pesticidi (i cani del vicinato ringraziano) senza fumo né la pompa dell’acqua (…) ma soltanto grazie all’uso di una paletta, un rastrello ed una tuta. La quale, è importante notarlo, non può dirsi realmente “a prova di vespe” (nulla lo è, a quei livelli d’aggressione) ma soltanto parzialmente “anti”. Al punto che, ci viene spiegato nella descrizione del video, dopo il primo paio di minuti appena già iniziavano a moltiplicarsi le punture subìte…
Il video è un crescendo che si sviluppa per gradi. Dapprima con lui, il vespi-cultore che si appropinqua al luogo segnalato in piena tenuta da epoca spaziale, ed inizia delicatamente a frugare tra l’erba. Ed è una calma davvero invidiabile, quella che costui dimostra nel corso dell’intera tribolazione, mentre lentamente nell’aria si forma uno sciame ringhiante e rabbioso, che inizia a scagliarsi contro l’uomo e le sue possessioni, inclusa l’incolpevole telecamera impiegata per riprendere la scena. Mentre già Mr. Brown inizia a scoprire la parte ad emi-cupola della sua preda, un alveare grosso come un panettone, sull’obiettivo di detto apparato compare una macchia d’umido, che sia ben chiaro: non è acqua, bensì veleno. Si tratta di una situazione assai diversa da quella affrontata dai brav’uomini della questione-ape, cui normalmente basta catturare una regina, perché tutte le altre la seguano tranquillamente nella scatola da trasportare via. Qui non c’è altro che odio, e di natura giustamente reiterata: ciascuna singola vespa, infatti, può pungere parecchie volte prima di stramazzare sfinita a terra. Il rilascio del proprio carico nocivo, inoltre, libera nell’aria un feromone, che induce le compagne nel partecipare al presunto scempio fatto del grande animale distruttore. Non che il risultato ritenuto desiderabile sia mai ottenuto: dopo tutto, per quanto sottile, la tuta è stata adeguatamente isolata dal mondo esterno, giungendo ad impiegare il nastro adesivo per mantenere ben chiuse le maniche. Ma il problema è che quando hai 8/9.000 bestie che ti ronzano attorno, ciascuna fermamente intenzionata a nuocerti, i loro pungiglioni prima o poi una via la trovano. E tutto quello che ti resta, a quel punto, è sperare che la crisi si risolva per il meglio.
A questo punto sarà chiaro che la Vespula germanica, la quale contrariamente a quanto si potrebbe pensare è originaria dell’intero bacino del Mediterraneo, ivi incluso il Nord-Africa e l’Asia Minore, presenta alcune abitudini particolari nella creazione del proprio nido. Al risveglio dal proprio letargo, piuttosto che immediatamente dopo il volo nuziale, come avviene alle alte temperature della Nuova Zelanda, la regina neo-fecondata inizia la costruzione della residenza embrionale, appena alcune cellette di forma esagonale in cui deporre le proprie uova. Le posizioni considerate più vantaggiose, per una simile impresa, sono dei luoghi isolati e dalla terra soffice, attraverso cui la grande madre scava con facilità. Ma altrettanto desiderabili, purtroppo, gli appaiono i controsoffitti o gli spazi interstiziali tra le mura. Alla nascita della prima generazione di operaie, quindi, che sono completamente sterili, quest’ultime iniziano la propria ricerca delle risorse considerate essenziali per sopravvivere: fibre vegetali, proteine e carboidrati. Le prime verranno acquisite direttamente dal legno delle piante vicine, che le vespe masticheranno, nel corso dell’intera fase costruttiva, per costituire una vera e propria colla, da impiegare nel lungo processo di incremento delle celle larvali. Le quali ben presto, raggiunta la massima estensione orizzontale considerata desiderabile, inizieranno a svilupparsi verticalmente, con diversi piani sovrapposti fino all’ottenimento di una forma sferoidale comparabile a quella del nido catturato da Bob Brown. La cui rimozione, essenzialmente, avrebbe potuto richiedere un tempo anche molto minore.
È infatti evidente la cura e l’attenzione con cui questo abitante neozelandese si occupa di districare detto costrutto dalla sua sede occulta, preservandone la forma e l’integrità. La ragione di una tale scelta non sarebbe facile da intuire (come dicevamo, cosa potrebbe mai fare per noi una colonie di vespe?) se non fosse per una breve dichiarazione d’intenti, che motivano il gesto con un generico “mi serve per le mie ricerche”. L’uomo purtroppo non dichiara la propria professione, di natura accademica o d’altro tipo, ma non è difficile notare la dimestichezza, e soprattutto indifferenza, di cui egli fa sfoggio nel bel mezzo di una situazione tanto delicata. Nel corso della loro vita individuale, le vespe operaie si occuperanno a rotazione di ciascuna delle raccolte citate, a turno, attaccando senza distinzione cibo di qualità e carogne, nonché altri artropodi vivi o morti.
Il danno che questi insetti estremamente scaltri ed opportunisti possono arrecare in un sistema ecologico chiuso è difficilmente calcolabile, ma certamente ingente. L’opera di personaggi come il protagonista del video, dunque, appare tanto più importante e significativa in luoghi come la Nuova Zelanda, dove la diversificazione del patrimonio faunistico viene ancora attentamente preservata. Mentre negli Stati Uniti, presso cui le vespe germaniche sono attestate da molti decenni, si tende ormai a soprassedere. In Italia la vespa germanica è endemica e c’è da sempre, benché sia sostanzialmente meno diffusa e conosciuta delle sue cugine Vespulae e Polistinae. Stando ad un paio di video nostrani, la vespa sotterranea viene chiamata ad esempio “espi forràni” in dialetto sardo e “cragnoéti” a Sant’Angelo-Treviso, dove la sua rimozione viene condotta, comprensibilmente, da operatori preferibilmente specializzati.
Personalmente non ho mai condiviso l’odio smisurato che su Internet, specie nei contesti di matrice statunitense ed anglosassone, sembra trovare concentrazione nella figura riconoscibile della sempre temutissima vespa. Che costituisce, indubbiamente, un animale meno utile dell’ape, nonché potenzialmente lesìvo per l’uomo. Questo può dirsi, dopo tutto, di molte altre creature. E non ho mai sentito nessuno mettere in dubbio l’utilità del leone, del lupo o del leopardo. Certo, i grandi mammiferi carnivori, come loro prerogativa, tendono ad essere meno numerosi delle vespe germaniche. Ma perché mai lo spropositato successo all’interno di un sistema, come l’ecologia degli artropodi sociali, dovrebbe essere considerato una colpa?