C’è qualcosa, in una massa d’acqua di almeno 300 metri cubi al secondo che precipitano verso il fondo di un burrone, sollevando nubi di vapore e goccioline che possono giungere a oscurare il cielo, mentre oscuri vortici si formano nei vari cul-de-sac tra rocce e picchi ben distinti, che allontana dalla mente il desiderio di trovarsi lassù, in cima. Soltanto per scrutare con ansia verso il grande vuoto sottostante. E che pure superato quel terrore naturale di cadere, certamente vi porterà ad aggiungere: “Beh, non credo proprio che salterò in mezzo a tali acque vorticanti, per fare una foto ricordo a rischio della vita.” Subito seguìto da: “Ok, mi avete convinto. Però adesso non andrò vicino al bordo. Non mi siederò sullo sperone di roccia che i locali, per una ragione fin troppo chiara, chiamano da tempo immemore – la Sedia del Demonio.” Con il capo rivolto verso il cielo, la nuca delicatamente massaggiata dalle minacciose acque d’Africa, che di certo altro non vorrebbero che pace, assieme al diritto di volare libere per un minuto oppure due… “Divino! Adesso però non mi volterò per scrutare verso il basso. Quanto è vero il Sole, se lo facessi, non sarei tanto diverso da un aspirante suicida…”
Chiedete a chiunque quali siano le cascate più alte del mondo, per andare incontro ad un buon 50/60% di possibilità che quello vi risponda, con tono infastidito: “Chiaramente, quelle del Niagara!” A tal punto una tale località di alta rilevanza turistica, situata alla distanza relativamente breve di 640 chilometri dalla colossale città di New York, colpisce la fantasia e l’istinto collettivo di chi se la senta di attribuire “i record” un po’ come fossero la coda dell’asino-pignatta messicano. E se gli farete notare come, in effetti, un tale baratro rombante misuri appena una cinquantina di metri, contro i 979 del sottile e slanciato Salto Angel venezuelano, non sarà impossibile sentire le parole: “Grandi. Volevo dire le più grandi.” Oh, si. Fantastico… Peccato che anche quest’altro primato riesca ad eluderle, appartenendo piuttosto a queste gloriose cascate Vittoria, poste al confine tra Zambia e Zimbabwe, dove il fiume Zambezi, proprio nel bel mezzo di una pianura sconfinata, riesce comunque a precipitare da un dirupo ricavato nella roccia di arenaria, profondo nel punto più alto la cifra considerevole di 108 metri. Ma soprattutto, estremamente esteso, per ben 1,8 Km, distanza surclassata su questo pianeta unicamente dalle cascate di Iguazù, vicino Curitiba (alte però “solo” 70 metri). Il problema è che determinare quale sia la cascata migliore del mondo, a conti fatti, non è poi tanto semplice, poiché i dati da considerare sono plurimi, e incastrati tra di loro. La soggettività diviene, quindi, pressoché essenziale. Quale modo più efficace di sviluppare un opinione, dunque, che mettere alla prova il proprio coraggio personale…
La Piscina del Diavolo, con la sua straordinaria sedia pietrosa creata dall’erosione dei secoli, è una sorta di leggenda tra i locali. Considerate come l’intero straordinario sito idrografico delle Cascate, in effetti, sia piuttosto ben collegato con diversi centri abitanti di entrambi gli stati che se ne contendono la giurisdizione, con per di più alberghi e stabilimenti adatti a tutte le tasche, soprattutto dalla parte dello Zambia. Per questo, a visitare questi luoghi, giungono ogni anno non soltanto i turisti provenienti dal ricco e vasto Nord del mondo, ma anche i membri di popolazioni di estrazione etnica più propriamente africana, che alternandosi con l’altra categoria, vengono qui per sperimentare un catalogo di forme d’intrattenimento notevolmente differenziato. Che varia dal tranquillo (escursioni) allo sportivo (rafting) per giungere all’estremo (bungee jumping) e che trova forse il suo coronamento ultimo nell’esperienza in questione ideata dai furbi operatori turistici, in grado di mettere alla prova i nervi saldi di qualunque aspirante angelo del Paradiso, come quelli che l’esploratore e primo (ri)scopritore occidentale della cascata, David Livingstone, definì nel 1855 “visitatori preferenziali” di una tale meraviglia senza tempo. Possibilmente, ben forniti di biglietto di ritorno, per il resto della vita tra i mortali.
Un rito d’iniziazione, la prova inoppugnabile di essere vivi, proiettata in mezzo alle sinapsi dalla cognizione che in qualsiasi momento, basta un attimo, si può perdere la propria presa sulla cognizione d’esistenza. Un modo come un altro, alla fine, per riacquisire la coscienza della propria mortalità. Accompagnato, se possibile, dall’esperienza di un qualcosa di assolutamente ultramondano, sperimentabile soltanto in questo luogo, per brevi e specifici periodi dell’anno. Tra la fine di agosto e l’inizio di gennaio, quando la fine delle piogge (tenete presente che nell’emisfero meridionale le stagioni sono invertite) porta ad una riduzione del flusso dello Zambezi di molti ordini di grandezza, permettendo di raggiungere in canoa l’isolotto fluviale soprastante al grande balzo, che prende il nome di Livingstone, dal celebre esploratore e missionario scozzese che fu il primo osservatore occidentale di quelle cascate che prima venivano chiamate Mosi-oa-Tunya, “Il Fumo che Tuona” soltanto per essere da lui dedicate, con orgoglio e comprensibile entusiasmo, alla regina d’Inghilterra, Vittoria. Per poi procedere da questo sito storico, lungo un breve tratto a nuoto, fino in prossimità del bordo estremo del precipizio scavato da millenni di erosione, dove una piccola rientranza, per la fortuna dei tour operators locali, si ritrova a formare la versione naturale di quella che gli anglosassoni dei nostri giorni amano chiamare infinity pool, ovvero la piscina con un lato confinante contro il parapetto di una torre o un grattacielo. A questo punto, parte la collaudata procedura. Una delle guide assunte per l’occasione, stando al sito ufficiale delle cascate, offrirà al turista una tradizionale bevanda energetica a base di mais, la Maheu (…) poco prima di lanciarsi nel fiume, possibilmente con spettacolare capriola all’indietro. Il suo collega, quindi, vi prenderà la foto/videocamera, per puntarla su di voi e fare alcuni cenni enfatici, per incitarvi con trasporto a fare l’esperienza. Di seguire l’amico, fin lì, a pochi centimetri dal salto dell’assoluta perdizione. Naturalmente, quanto decidiate effettivamente di avvicinarvi al temuto trono diavolesco, o se vogliate effettivamente appoggiare le vostre gelide natiche alla sua ruvida seduta, resta totalmente a vostra discrezione. Ma come si dice, una volta pagato, tanto vale… Andare fino in fondo…*Ahem! Quasi, s’intende.
La mini-industria della Piscina del Diavolo, come potreste facilmente immaginare, non è del tutto priva di lati oscuri. Wikipedia cita ad esempio un articolo del 2009 del quotidiano New Zimbabwe, che in occasione della morte accidentale di una guida di cui non viene pubblicato il nome, affermava che il ritmo dei decessi in tale precaria circostanza fosse all’incirca di una persona l’anno. La storia in questione, tra l’altro, a quanto pare riportata con scarsi dettagli anche dal Sunday Mail (l’articolo non è disponibile online) si configurava come particolarmente drammatica, con il giovane africano che prendendo al volo la mano di un/una turista, effettuava il salvataggio all’ultimo momento, precipitando al suo posto verso un’improvvida, benché almeno eroica, dipartita.
Un simile rischioso intrattenimento, tra l’altro, va inserito nel contesto di una località che si è trasformata, soprattutto negli ultimi anni, il sinonimo di un tipo di turismo che mira a sperimentare la furia e la grandiosità della natura sulla propria stessa pelle, attraverso esperienze che non possono fare a meno di sembrare alquanto avventate. Altrettanto popolare rispetto alla Piscina, se vogliamo, risulta essere il salto con l’elastico dal Victoria Falls Bridge, un ponte ferroviario e stradale che costituisce di fatto il principale confine tra Zambia e Zimbabwe, sospeso a 111 metri sopra il secondo crepaccio, ad una distanza dalle cascate che il magnate, politico e committente inglese Cecil John Rhodes (1853-1902) volle fosse abbastanza prossima da “riceverne gli schizzi sui finestrini del treno”. Facendo creare inconsapevolmente una struttura che, oltre a costituire un significativo anello del suo progetto per la creazione di un’unica strada ferrata tra Città del Capo e il Cairo, sarebbe diventata la location più incredibile per praticare questo strano sport.
Fin da tempo immemore, l’acqua scorre clamorosa nel suo letto ricavato dalla roccia d’Africa, che negli eoni si ritrae, recalcitrante. Le diverse popolazioni che sono passate in questo luogo remoto, scrutando il balzo che si è faticosamente formato, l’ha chiamato in molti modi differenti: Shungu na mutitima, aManz’ aThunqayo, Mosi-o-Tunya (tutti nomi descrittivi, che fanno riferimento al rumore) e infine, guarda caso, “Cascate [della Regina] Vittoria” non è difficile capire, dopo tutto, dove sia l’intruso. Ma il fiume porta via qualsiasi cosa. Persino la memoria, il senso della sacralità, l’innata reverenza verso la natura che conduce alla prudenza… E poi, le persone…