Strano video con la storia del Giappone al ritmo di 6 secoli al minuto

Japan History

Tomi ponderosi, manici di scopa e grosse ragnatele, tutto questo arrotolato in un gomitolo di dura concentrazione, noia persistente e dita sporche per l’inchiostro dozzinale delle pagine di appunti che si accalcano nella memoria. Tutto questo, e molto altro: il faticoso studio della Storia. È una vita difficile, questa qui dello studente… Ormai privato della semplice soddisfazione di una volta, l’epoca in cui persino i bimbi lavoravano negli opifici o con la zappa, negli assolati campi della fattoria dei genitori. Mentre sono ormai costretti a chiudersi dentro una stanza, e a non uscire finché abbiano acquisito una cultura. Oh, crudeltà! Oh, sadismo! Dei professori che costruiscono verifiche a risposta aperta, chiusa e semi-chiusa. E degli uomini dei tempi antichi, che per ciascuna singola generazione intavolavano riforme, eventi e guerre da studiare…. Davvero non c’è pace in aula, per i discepoli di buona volontà. Il che diciamolo, è un peccato singolare, quanto estremamente ingiusto. Perché se da una parte “Studiare…” è qualche volta dura, dall’altra c’è da ammettere che “…la Storia” è una delle materie più incredibili ed interessanti al mondo. La quale può corrispondere, con soltanto un minimo d’immaginazione, al vedere 10 film di seguito, o leggere quattro romanzi nello stesso tempo! È tutta una questione di approccio prospettico, applicato agli strumenti d’analisi a disposizione. E qui giunge a dimostrarcelo, se pure ce ne fosse la necessità, l’incredibile YouTuber Bill Wurtz.
Come, chi è Bill? Cosa, chi è Wurtz? L’autore del nonsense che sembra aver trascorso gli ultimi anni pubblicando, talvolta quotidianamente e qualche altra in modo occasionale, buffi video musicali e perle di saggezza su Twitter, quali: “Cameriere, c’è una minestra nella mia mosca” Oppure: “Ogni muro rappresenta l’opportunità di scoprire cosa c’è dietro.” e che giusto l’altro giorno, compiendo un passo estremamente significativo per lui, ha scelto di creare un qualche cosa di più costruttivo. Nove minuti esatti (non può essere un caso) dedicati ad un riassunto umoristico, talvolta caotico ma quasi mai del tutto errato, sulle vicende che si sono succedute presso l’arcipelago per eccellenza dell’Estremo Oriente, forse l’unico paese al mondo che, in forza della sua caratteristica cultura e la capacità di rimanere sempre in linea con i suoi valori, viene oggi visto nell’immaginario collettivo alla stregua di un antagonista dell’Occidente, che talvolta vi si affianca, certe altre ha avuto l’occasione di sfidarlo, sia dal punto di vista culturale che in forza delle armi, purtroppo. Ma che prima di giungere a quel fatidico momento, attraversò quella che si potrebbe definire una lunga, complessa e delicata vicenda.  Si potrebbe…Ma non è necessario. Di certo non per lui, l’uomo che esordisce con l’affermazione estremamente concisa: “Il Giappone è un’isola sul mare (ehm..) piena di vulcani ed è BELLISSIMA.” Sùbito seguita da un’accordo al sintetizzatore, che molto probabilmente non sfigurerebbe all’interno di un album musicale del genere Nu Jazz. Segue un riassunto iper-veloce delle epoche preistoriche, a partire dal 12.000 a.C, con l’antichissima cultura dei cacciatori-raccoglitori Jōmon “Utilizzatori delle ultime tecnologie, come pietre e ciotole di terracotta”. Segue l’epoca del Bronzo e quindi la suddivisione spontanea del territorio nelle città-stato del periodo Yayoi, grosso modo corrispondente agli anni di gloria del nostro primo Impero Romano (300 a.C – 300 d.C.). Mentre qui, per intenderci, eravamo ancora al punto dell’introduzione dell’agricoltura, mutuata dalla Cina continentale. Ma già il più forte e grande dei diversi regni, quello di Yamato, stabiliva uno strumento di legittimazióne estremamente significativo, affermando che il proprio sovrano, guarda caso, discendesse dagli dei del Cielo e della Terra. Un sistema di credenze destinato a mescolarsi non molto tempo dopo assieme, ci viene qui umoristicamente fatto notare, ad una religione straniera, quella del Buddhismo. E questo soprattutto per l’intercessione di un singolo individuo, il principe e reggente imperiale Shōtoku Taishi (572 – 622) che “aveva amici a Baekje” (l’odierna Corea). Ora, questo potrebbe definirsi il primo errore oggettivo del video, visto come in effetti l’introduzione del Buddhismo in Giappone risalga almeno al precedente regno dell’imperatore Kimmei (539-571) che aveva accolto a corte gli esuli Soga dei tre regni di Corea. Ma come per il resto del divertente exploit di Wurtz, ricco di battute e buffi effetti audiovisivi, non si può fare a meno di notare come egli sia tecnicamente assai vicino alla verità, vista l’importanza di Shōtoku nel rifiuto categorico dell’antica religione imperiale (lo shintoismo) valida nel portare alla fondazione di innumerevoli templi e sette destinate a giungere fino ai nostri giorni. E da lì, nello spianare la strada alle riforme Taika dell’imperatore confuciano Kōtoku (645) verso la creazione del primo vero stato centralizzato. Gesto a cui fa seguito il primo incontro diplomatico con la Cina, qui narrato così: “Ciao piccoletti” – Fa la Cina, usando un termine decisamente più offensivo. “Ciao Cina. Ok, potresti non chiamarci piccoletti?” Risponde il Giappone. “E allora come?” Un’attimo di esitazione. “Che ne dite di TERRA DEL SOL LEVANTE” Taa-daah. Fu così che fu scritto un libro (il Kojiki) e poi un’altro libro (Nihon Shoki) dando un senso ed una forma, di tipo e stile prettamente mitologico, a quanto avvenuto fino a questo punto. Ma a quanto pare, il bello doveva ancora venire…

Japan Earthquakes
Il genere video della “mappa animata” si rivela stranamente adatto alla diffusione di norme e nozioni sul web. Osservate ad esempio quest’altra cronistoria giapponese, dei terremoti che hanno attraversato il paese a partire dal gennaio del 2011. E cercate, se possibile, di non spaventarvi in corrispondenza del 11 marzo, data corrispondente a quella che rientra certamente tra le principali catastrofi contemporanee, quella del sisma del Tōhoku.

È indubbio come nella mole di argomenti trattati dall’autore nel corso del suo epico riassunto, al confronto del quale il Bignami medio e come la Treccani, il capitolo sulla religione venga messo un po’ in secondo piano. Egli sceglie, dunque, di spendere appena un paio di parole sull’evoluzione della dottrina buddhista nel corso dell’epoca Nara (710 – 794) affermando soltanto che un “ricco hipster” di nome Kūkai (beh, tecnicamente, siamo di nuovo vicini alla verita) avesse scelto di viaggiare nell’804 fino in Cina, riportando indietro una versione del buddhismo che qui viene definita lo Zen. Ecco, in effetti era tutt’altro, ovvero la sofisticata corrente tendente al misticismo della scuola Shingon o della “Vera Parola”. È tuttavia assolutamente corretto porre tale passaggio alla base dell’ingresso culturale nell’epoca Heian, con lo spostamento della capitale a Kyoto e l’inizio di un periodo di fioritura delle arti e della letteratura senza precedenti nella vicenda storica del paese. Come è pure giusto ricercare attorno a quegli anni, nella tendenza all’istituzione di un sistema di ordine pubblico autoregolamentato, la nascita della figura emergente del samurai. Un guerriero di professione, che offriva i propri servigi ai rappresentanti della nobiltà civile, assistendo nel mantenimento dello status quo. Finché la crescita del potere di questa classe sociale, nel giro di un secolo o due, non portò alla costituzione del Bakufu, una sorta di governo ombra sotto il comando di un supremo capo militare, il generale che pacifica il nord: lo shōgun. Che nello specifico, si trovava a Kamakura, e sarebbe appartenuto fino al 1333 ad una singola famiglia nobiliare, quella del clan dei Minamoto, benché talvolta guidata in modo subdolo dai loro eterni avversari politici, i Fujiwara. Ma, “Fantastico!” Esclama Wurtz “Per lo meno l’imperatore potrà continuare a vestirsi come faceva prima, mantenendo un’illusione di potere…” Seguono due fallimentari invasioni da parte dei mongoli (1274 e 1781) entrambe scongiurate dal caso fortuito di altrettanti “tornado” (ehm…Si. Erano tifoni) e la complessa vicenda politica della restaurazione Kenmu (1333–1336) nel corso della quale l’imperatore Go-Daigo, stanco del potere dei samurai, manovra accuratamente nel tentativo di spodestare il governo dello shōgun, ottenendo nient’altro che la sua immediata sostituzione con un’altro più forte e destinato a durare molti anni (fino al 1573): quello degli Ashikaga. Non che Wurtz si soffermi eccessivamente sull’epoca di questo sistema, inerentemente stabile dal punto di vista politico e dunque privo di svolte dalle conseguenze durature, passando invece subito al suo crollo, avvenuto per una disputa di successione al termine del regno dello shōgun Ashikaga Yoshimasa (1436 – 1490) tra suo fratello e il figlio, che sprofondò irrimediabilmente l’intero paese nel caos. La buffa metafora usata dall’autore è semplicemente geniale: “Chi la sarà il prossimo capo? Votate ora sul vostro cellulare. E i voti pervenuti furono talmente tanti che il palazzo andò a fuoco… Assieme a tutto il resto.”

Japan Dance
Ah, yes. Il Giappone moderno. In cui può capitare che alcuni ufficiali del Jieitai (l’esercito di autodifesa costituito dopo l’esito della seconda guerra mondiale) possano sfidarsi nella breakdance, al ritmo della canzoncina pop Senbonzakura, un’allegra esaltazione del nazionalismo dell’epoca della restaurazione Meiji.

Guerra, è la Guerra! E tale continuerà ad essere, essenzialmente, fino al termine dei nove folli minuti del racconto di Wurtz. Prima tra i diversi clan regionali, che si contesero durante il conflitto Ōnin (1467-1477) il controllo della capitale e dunque ciò che restava dell’istituzione shogunale (a questo punto, ormai, l’imperatore contava molto poco) e viene persino menzionata la figura di Oda Nobunaga, il capo-clan che nella battaglia di Okehazama (maggio-giugno del 1560) sconfisse a sorpresa l’esercito molto più forte degli Imagawa, sostituendosi al loro condottiero come signore della guerra emergente di un paese nel caos – per usare il termine nazionale, tra le ardenti fiamme del Sengoku Jidai. Soltanto per essere infine ucciso dal suo sottoposto Akechi Mitsuhide presso il tempio dell’Honnō-ji, in uno dei più eclatanti ed inspiegabili tradimenti della storia (21 giugno 1582) cui fece seguito l’immediata vendetta del generale di umili origini Hashiba Hideyoshi, destinato a diventare il grande dittatore Toyotomi. Che finì di unificare il paese, tentò di conquistare la Corea e la Cina, e poi morì improvvisamente, nel 1598, lasciandolo in eredità al suo figlioletto, sotto la supervisione di un consiglio di 5 “anziani”, che come da programma iniziarono ben presto a combattersi tra loro. In un conflitto che si sarebbe risolto il 21 ottobre del 1600, con la catartica battaglia di Sekigahara (oltre 100.000 uomini per parte) in cui trionfò notoriamente il più ricco e influente dei reggenti, niente meno che Ieyasu Tokugawa. Appena due parole spese sulla successiva epoca Edo, di una sostanziale chiusura, nuova rinascita delle arti ed aumento della prosperità del paese, clamorosamente interrotta dall’arrivo delle navi americane del commodoro Perry (1853) e la forzata apertura all’Occidente. Cui fece seguito la ribellione dei clan autonominatisi lealisti dell’Imperatore, tra cui quelli di Satsuma e Chōshū, che formarono una coalizione segreta per spodestare il potere dei discendenti di Tokugawa, che nel 1868 con le armi (guerra Boshin) avrebbe riportato il paese in mano all’imperatore Mutsuhito, in quella che viene definita una vera e propria Restaurazione. Destinata a passare alla storia, assieme alla figura posta nel suo centro e l’intera epoca rilevante, con il breve ma fondamentale nome di Meiji.

Sino-Japanese-War
“Stai attento! Arrivano gli squali!”

Il resto…Devo raccontarvelo? Ci fu una guerra con la Cina, per il controllo della Corea (1894-1895) ed una successiva con la Russia (1904-1905) per il controllo della penisola di Liaodong. Il Giappone, tra lo stupore dell’intero mondo politico di allora, le vinse entrambe. Subito dopo, non contento dei successi conseguiti, si alleò con l’Inghilterra e sul concludersi della prima guerra mondiale, aveva già sottratto alla Germania buona parte delle sue proprietà coloniali nel bel mezzo del Pacifico Meridionale. A seguito del’ingresso nella nascente Società delle Nazioni, e nonostante questo, il Giappone continuò ad espandersi territorialmente in Asia, creando una situazione di squilibrio estremamente gravosa per le popolazioni coinvolte. Con la grande depressione, seguita dallo scoppio della seconda guerra mondiale, la situazione precipitò con la costituzione dell’infelice “Asse Roma-Berlino-Tokyo” (27 settembre 1940) perché del resto, nelle parole dello stesso Wurtz, quel signore tedesco era carismatico ed aveva dei baffetti veramente affascinanti. Il  7 dicembre del 1941, con quella che potrebbe definirsi una delle mosse strategiche più avventate della storia, il Giappone attaccò a Pearl Harbor, iniziando la catena di eventi che avrebbe portato, nel giro di quattro anni, al drammatico bombardamento nucleare delle città di Hiroshima e Nagasaki. L’autore, col suo fare irriverente, coglie perfettamente il senso della situazione: “La bomba c’era. Era grande. Era bella. Bisognava dopo tutto, usarla.”
Ed è terribile, quel prolungato momento di silenzio, dopo un tale affastellarsi caotico di eventi e nozioni, che si estingue in un tripudio di loghi dell’elettronica e dell’automobilismo, a rassicurarci che comunque il paese rinacque brillantemente dalle sue ceneri, riuscendo a sopravvivere col ruolo di una forza economica mondiale. Che tutt’ora persiste, nonostante alcuni ostacoli e spiacevoli “bolle” piombate proprio nel bel mezzo della propria strada. Nessuno è perfetto, giusto? Neppure chi narra tanti secoli di storia al ritmo di strani accordi musicali, buffe animazioni e gli effetti sonori di Pac-Man e Space Invaders. Ma sarei pronto a scommettere che, se questo video l’avete guardato con attenzione dall’inizio all’ultimo secondo, qualcosa di nuovo l’avrete appreso. E cosa c’è di più importante, alla fine?

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