Potreste averne scorto la sagoma in un notiziario. Oppure, forse no. Del resto, è una creatura semi-leggendaria, persino lì, nel paese dell’hockey e del Super Bowl. Giallo canarino, come si addice a tutti i mezzi da lavoro, con una bocca grande al punto da fare spavento. Ed una lunga proboscide posizionata in verticale, al cui imbocco, invece che due piccoli narici, figurava un grande buco. E tutto quello che mangiava, l’essere su ruote, da lì lo risputava con trasporto, all’interno di un cassone rimorchiato. I passanti con le telecamere ed i cellulari, richiamati dal frastuono, non potevano far altro che voltarsi. E battergli le mani.
Ancora una volta, Mastro Inverno è stato sconfitto dall’opera di un gruppo di campioni, saggi comandanti e alcuni dei migliori stregoni tecnologici sulla piazza, almeno tra quelli che si siano posti al servizio del bene pubblico della Nazione. In un’epica battaglia, che pare sia durata quattro giorni e quattro notti, con spada di fuoco, con benna rotante, con vite infinita, il gelido nemico è stato ricacciato indietro, tra le nubi fosche di perturbazioni climatiche distanti. Ma come per ogni grande vittoria contro l’insofferenza della natura, verso quelle pulci saltellanti che costituiscono la canticchiante umanità, non è davvero il caso di sentirsi sollevati; già i profeti sussurrano tra loro di una tremenda e oscura profezia, che riecheggia nel soffio del vento e l’ulular dei lupi: fra esattamente dieci mesi, col termine della stagione delle piogge, l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al Sole tornerà di nuovo sfavorevole. È noto che ciò porterà ad un accorciamento drastico delle giornate, in una tendenza che si era invertita in occasione dello scorso rituale della grande Festa. E sarà soltanto in occasione della prossima, che Mastro Inverno tornerà. Oh, non è così che sceglieremo di chiamarlo! Noi fantasiosi abitanti degli Stati Uniti, il cui passatempo preferito sono giochi di parole, la creazione di acronimi e di soprannomi. Vedi ad esempio, Snowzilla, Snowpocalipse, Snowcthulhu, Snowmageddon, Snowa-ton… Ecco, un particolare appellativo quest’ultimo, coniato al fine di contenere essenzialmente due parole: il termine di origine anglosassone usato per riferirsi al concetto di neve, e le ultime tre lettere del pre-nome celeberrimo di una città in particolare, la nostra capitale. Washington, District of Columbia (per gli amici, D.C.) Luogo dal clima subtropicale in cui cadono, generalmente, 39 cm di neve in TUTTO l’anno, ma che ne ha avuti 45 in una sola notte, sull’epico finire di questo memorabile gennaio. Una situazione che poteva giungere a paralizzarla per diversi giorni, mentre la popolazione attanagliata soggiaceva nell’attesa di un liberatorio squagliamento. Gente di fondamentale importanza tra cui v’era addirittura il presidente. Se non che…
Si dice che esista un libro, nel Dipartimento della Protezione Civile di ogni amministrazione cittadina, custodito gelosamente all’interno di un ufficio. L’ufficio, naturalmente, del Libro. Ora, non so se la sua copertina sia nera oppure rossa, o rilegata in quale pelle d’animale o d’altra creatura, benché tali considerazioni estetiche siano probabilmente da considerare troppo drammatiche da divulgare. Personalmente, avrei auspicato una colorazione esterna rigorosamente bianca, per meglio simboleggiare la funzione titolare di un simile tomo. Il quale viene definito, non senza un certo grado di responsabilità ed affetto, il grande libro della neve. Ne parlava già nel 1968 la rivista newyorkese Headlight, recentemente citata anche dal portale della ben più celebre Popular Mechanics, definendo in pochi termini il suo contenuto. Ovvero un catalogo di macchinari, sistemi tecnologici e know-how, rigorosamente categorizzato geograficamente, di quanto sia effettivamente disponibile nei vari depositi comunali propri ed altrui, delle città più o meno vicine, per combattere con enfasi, ed imprescindibile alleanza, il feroce ritorno del crudele Mastro Inverno. Perché l’unione fa la forza. Ma il sapersi separare temporaneamente dalle proprie stesse cose, forse, ancor di più!
Il macchinario mostrato in apertura, appartenente alla classe definita per antonomasia degli snow blowers (soffia-neve) veniva per l’appunto dalla città di Boston, sita a circa 700 Km più a nord lungo la costa dell’America settentrionale. Ed era stato generosamente offerto in prestito, con grande risonanza mediatica e d’immagine, dall’attuale sindaco Marty Walsh di quel particolare centro urbano, ove la media della neve annua si attesta attorno ai considerevoli 111 cm. Per non dire anche di più nei quartieri periferici del nord-ovest, inerentemente distanti dall’influenza temperata dell’oceano antistante. E di attrezzature simili, nelle ultime settimane, nella tiepida Washington DC se ne sono viste molte, fornite in prevalenza dai contractors privati dell’intero stato del Massachusetts, frettolosamente reclutati con la speranza di arginare un problema tanto insolito per quella latitudine, eppure immediatamente comprensibile: perché la neve, quando cade veramente, può paralizzare totalmente un centro urbano.
E l’operazione di rimuoverla, soprattutto in luoghi in cui non esistono specifiche procedure note alla popolazione, diventa qualche volta estremamente complicata. A meno di avere sotto mano gli strumenti giusti…
Si tratta di un nome, in effetti, piuttosto impreciso. Questo perché gli snow-blowers non soffiano né aspirano alcunché. Il principio del loro funzionamento risulta essere del tutto differente, basandosi su di una trivella posta perpendicolarmente al senso di marcia, concepita per agire come una vite senza fine, che ruotando vorticosamente riesce letteralmente a lanciare la neve verso l’alto, all’interno di un condotto verticale riorientabile che è poi la già citata proboscide, o braccio, posizionato in corrispondenza della parte superiore del mezzo. Ciò che segue a un tale gesto, dipende dal luogo e l’entità dell’utilizzo specifico. Nel caso in cui si stiano liberando strade di campagna, o magari il settore periferico di un’importante ferrovia, la neve verrà semplicemente gettata via lontano, in mezzo alla campagna e dove non potrà più nuocere ai trasporti collettivi. Per un uso urbano, invece, si utilizza in genere un secondo camion col cassone aperto, di natura assolutamente convenzionale, che si occuperà di trasportare l’enorme massa di acqua solidificata in prossimità di un punto di scarico o di smaltimento. Una soluzione come questa ha molti vantaggi, anche se alcuni problemi di una certa innegabile entità: è ad esempio difficile, per l’autista del mezzo di trivellazione, vedere ciò che ha in basso e davanti a se, a meno che il suo mezzo non sia del nuovo tipo costruito in Nord-Europa, in cui la posizione di guida si trova perpendicolarmente alle fauci dell’attrezzo. Inoltre tutti gli snow blowers hanno la tendenza occasionale a bloccarsi, nel caso in cui si trovino a fagocitare un boccone troppo grande, situazione a seguito della quale gli operatori generalmente fermano il motore, poco prima di andare a liberare manualmente il meccanismo. Ma può allora succedere, e purtroppo è fin troppo frequente, che la vite deformata dalla forza del movimento interrotto riprenda la sua forma originaria in maniera esplosiva ed improvvisa, causando infortuni anche piuttosto gravi.
Per quanto concerne la recente operazione di Washington DC, ad assistere i mezzi-in-visita bostoniani era stato preposto un dispositivo ad induzione termica dal nome alquanto suggestivo di Snow Dragon, sostanzialmente un grande rimorchio stradale con un sistema simile a quello dei condizionatori a pompa di calore, in grado di sciogliere molte tonnellate di neve ogni ora, previa auspicabile verifica dell’effettiva presenza di un chiusino nelle vicinanze. Il sistema era stato posizionato nel parcheggio del Robert F. Kennedy Stadium, da cui i camion trasportatori andavano e venivano più volte, anche nel corso di un singolo pomeriggio. Sia chiaro che ho trovato anche un video del funzionamento di quel possente alleato contro la neve, benché in effetti non sia particolarmente affascinante: tutto quello che vi compare è un cassone che vibra e butta fuori una copiosa quantità di vapore. Eccolo qui (cliccare). Ma sia chiaro che esistono dei metodi ben più catartici per portare a coronamento la stessa missione:
Perché nei casi in cui ci si ritrovi ad operare ben lontani da preziose proprietà private, o autoveicoli soggetti ad incendiarsi, esiste fin dagli anni ’60 un altro metodo per liberare un sentiero dalla presenza indesiderabile del bianco ammasso della neve. Si tratta degli snow blowers con motore a razzo, sostanzialmente nient’altro che l’ibrido, assolutamente non in grado di volare, tra un jet di linea ed un vagone ferroviario. Benché ne esistano anche delle versioni stradali, che montano la prima parte del binomio sopra la cabina del guidatore stesso, mentre un artigliere di bordo di occupa di dirigerne il getto come il vero e proprio lanciafiamme di cui effettivamente si tratta. Si tratta di un metodo estremamente efficiente per liquefare qualsiasi indesiderabile propaggine residua dell’inverno, più diffuso di quanto si potrebbe pensare, e possiamo ad esempio prendere atto, grazie all’articolo citato poco più sopra, del fatto che la stessa città di New York possedeva almeno uno di questi veicoli già nel 1958, quando entrò a far parte delle risorse iscritte nel fondamentale catalogo locale dei mezzi anti-neve. Un mezzo simile, in servizio a Boston, ha acquisito negli anni la nomina di Snowzilla, e viene occasionalmente schierato in tutti i casi in cui cadano almeno 15 cm di neve, per ripulire l’essenziale tratto ferroviario di 4 Km tra i due quartieri Ashmont–Mattapan, una missione che può concludersi in un tempo approssimativo di cinque ore. Purché sia considerato accettabile, naturalmente, un consumo di carburante complessivo che si aggira sui 900 costosissimi galloni. Ma che vuoi che sia, una piccola spesa, rispetto all’ennesima imprescindibile vittoria sulla più inospitale ed ostile delle quattro stagioni?
Dalla sua fortezza solitaria sotto la crosta terrestre, nel punto più sottile del Polo Sud, il barbuto Mastro Inverno si riposa dall’ultima, durissima battaglia. Nonostante sia stato nuovamente ricacciato indietro, grazie al fastidioso impiego di strumenti tecnologici da parte dei suoi piccoli nemici, egli è soddisfatto. Perché comprende molto bene che non c’è forma di venerazione più assoluta, che un costante senso di paura. E già guarda il suo vestito rosso bordato in Vero Pelo d’Animale, usato solamente per le grandi(ssime) occasioni. Lui sa bene che i suoi elfi già lavorano alacremente, preparando i doni per il prossimo Natale.