Micronesia, terra di occasioni ed opportunità: mille cose da fare, da vedere e da provare! Tra cui, guarda caso, la guerra. Scegliendo un punto d’approdo in prossimità dell’isola di Fefan, dopo essere stati colpiti da un bombardamento americano e un paio di siluri oppure sei, per tentare di effettuare le riparazioni d’emergenza al proprio scafo, consegnando nel frattempo il proprio carico di fondamentale petrolio alla base della laguna di Truk. Esattamente come recita la cronistoria della Shinkoku Maru, una nave da trasporto e assalto giapponese che dopo aver partecipato alle battaglie di Rabaul, Darwin, Java, Columbo e Midway, si ritrovò in questo luogo nell’agosto del 1942, all’apice del grande conflitto che si trovò a sconvolgere l’Oceano Pacifico verso la metà del secolo scorso. Soltanto per ricevere, in modo del tutto non-intenzionale, il dono di una fine rapida e indolore: perdita totale del battello con affondamento immediato, proprio nel centro del punto di approdo della flotta combinata. Distruzione, si. Annientamento, senz’altro. Morte…Soltanto sull’immediato. Perché se c’è una grande realtà sull’Oceano tutto, e in particolare quello sub-tropicale delle terre isolane d’Oceania, è che il propagarsi delle cellule degli organismi non ha mai una fine. E se soltanto dovessimo smetterla, in un giorno futuro, di preoccuparci della sopravvivenza di questa o quella specie in particolare, ci renderemmo conto che l’umanità non è davvero nulla, al confronto della varietà prolifica delle infinite creature, che si moltiplicano senza criterio, né controllo. Giungendo a sovvertire il senso stesso delle nostre presuntuose classificazioni.
Così il rottame grigio giacque, dal quel giorno ormai distante e per un tempo di 75 anni. Abbastanza al fine di lasciar trascorrere tre o quattro delle nostre generazioni, a voler starci strettini, ma che basta per dozzine, oppure centinaia, dal punto di vista di determinati abitanti degli abissi, queste creature biologicamente semplici, che hanno seguito un’altra strada dell’evoluzione. Diventando, sopra ogni altra cosa, straordinariamente ADATTABILI. Ed allora un ponte di prua, trasformato nella sommità di una barriera corallina. Ed alghe, piante e piccoli paguri. E pesci. E fiori. Per non parlare della danza artistica, piuttosto inefficiente e variopinta, del crinoide disturbato da un visitatore, Tyler Phillips l’autore del video, mentre era intento a riposarsi sulle innumerevoli diramazioni semi-solide di una colonia di gorgonie, micropolipi dall’esoscheletro perfettamente condiviso. Nonché parenti stretti della stella piumata stessa, se così vogliamo veramente chiamarla (in fondo, lo fanno tutti) che una volta staccata forzosamente dalla sua elevata residenza, ricade immobile sopra il fondale. Esitando per un paio di secondi, prima che i suoi limitati gangli cerebrali non producano il segnale, probabilmente non del tutto errato, di: “Pericolo! Pericolo! [qualcuno osa toccare!]” Attivando un caratteristico modo scomposto di agitare i suoi molti bracci penta-simmetrici in un gesto che qualcuno ha anche il coraggio di definire “nuoto”, nonostante paia più un galleggiamento a propulsone solo parzialmente prevedibile. Una fuga rotolante e, se non proprio velocissima, di certo drammatica. Comunque sufficiente a lasciare basiti i principali predatori della bestia in questione, gli acuminati ricci di mare. Mentre l’effetto avuto sull’imprevisto spettatore umano, a conti fatti, appare alquanto deleterio: ciò che un simile spettacolo non può che indurre in lui, e noi che lo guardiamo da lontano, è un senso assoluto di stupore e meraviglia. Illuminate dalla luce della torcia, le propaggini tentacolari dell’animale sfolgorano di un rosso brillante. I loro innumerevoli peduncoli, successivi e paralleli, gli donano un aspetto inaspettato, del tutto simile a quello di foglie o di piume. Difficile non porsi, per lo meno nella mente, la questione emblematica del: “COSA-diamine-Sei?”
Tra i commenti al video, c’è un fiorir di critiche all’indirizzo del realizzatore del video, mirate ad evidenziare la gravità del gesto di chi s’immerge presso una riserva naturale de facto, soltanto per manipolare direttamente gli esseri che la popolano, rischiando di compromettere la loro sopravvivenza. Ed è indubbio che una “regola fondamentale” come viene chiamata nei post moralizzatori, sia qui stata non soltanto infranta, bensì temporaneamente calpestata e surclassata, dal bisogno quasi basico dell’umana curiosità. Ma è anche vero che questi animali, nello specifico, sono tutt’altro che delicati, e nonostante le apparenze possono restare indenni anche a seguito di manipolazioni relativamente insistenti. La pelle che ricopre il calice, la struttura centrale con bocca, stomaco ed ano raggruppati tutti assieme nella parte centrale, ha infatti una consistenza rigida e cristallina, mentre sarà probabilmente inutile dire che le singole braccia ricoperte di ciglia, usate per fluttuare o deambulare facendo presa sul fondale, possono essere rigenerate anche a partire da zero. Ciò è in effetti una caratteristica fondamentale dei crinoidi comatulidi (privi di stelo) che questi condividono coi loro distanti cugini echinodermi della classe Asteroidea, le stelle marine.
E le somiglianze tra le due categorie comunque ben distinte di esseri, ad un’osservazione più approfondita, non finiscono qui.
Anche la stella piumata, in effetti, presentava in origine esattamente cinque braccia distintamente simmetriche, che tuttavia attraverso i millenni si sono ramificate in più punti, generando un insieme di propaggini non dissimili dai tentacoli di un polipo alieno. Per quanto concerne l’alimentazione, il crinoide fa invece affidamento esclusivo sulla sua capacità di catturare i micro-organismi tramite l’impiego delle particolari ciglia che si affiancano ai suoi innati pedicelli ambulacrali sui tentacoli, il mezzo di locomozione più semplice che accomuna tutti gli echinodermi, stella marina inclusa. Dette propaggini si dimostrano in grado, quindi, di ricoprirsi di un muco lievemente appiccicoso, che catturata l’invisibile preda (tanto è piccola la sua entità) la conducono senza falla fino al centro esatto dell’animale, che a quel punto può procedere a spietata fagocitazione. L’inserimento di simili creature in un acquario risulta quindi estremamente difficoltoso, perché anche se esse non hanno predatori tra i pesci, si nutrono in natura di uno specifico tipo di plankton, originario unicamente della loro regione di appartenenza. L’acquisto, comunque possibile, è consigliato soltanto ai veri esperti.
I crinoidi sono esseri dioici, ovvero dotati di esemplari maschi e femmine, che per riprodursi devono mescolare il proprio patrimonio genetico. Ciò avviene in modo estremamente semplice: da specifici organi all’interno delle rispettive braccia, le pinnule, i due liberano nelle correnti marine sperma e uova. Quando questi ultimi s’incontrano, e l’evidenza ci dimostra che ciò prima o poi avviene, vengono a formarsi delle piccole larve, in grado di nuotare liberamente in ogni direzione. Vengono chiamate vitellaria. Trascorsi alcuni giorni, quindi, queste sviluppano un peduncolo a ventosa mediante il quale si attaccheranno alla superficie scelta, per trascorre in stato pressoché vegetativo i primi 10-16 mesi della propria vita. Una volta raggiunta l’età adulta, quindi, e la maturità sessuale, i crinoidi acquisiranno nuovamente la capacità di spostarsi, agitando agitando tentacoli e dispiegando altrettante, improbabili ali.
Esistono, ad ogni modo, due tipologie di stelle piumate, distinte sulla base dell’adattamento ad un particolare stile di vita. I comatulidi, quelli che abbiamo preso in analisi fino a questo momento, sono quelle che si sono adattate in modo specifico, si ritiene a partire fin dall’era Paleozoica, a spostarsi regolarmente durante le ore notturne, per andare alla ricerca di zone più ricche di cibo o di occasioni per riprodursi. I cosiddetti veri gigli di mare, invece, non hanno mai sviluppato la particolare ghiandola a ventosa che permette di staccarsi a comando al fondale, dimostrandosi piuttosto tutt’ora dotati di un vero e proprio stelo, che li rende ancora più simili visivamente ad una pianta. Questa sezione dell’animale può essere lunga fino a un metro, un metro e mezzo, e viene vistosamente trascinato dietro alla creatura, come la coda di un serpente, ogni qualvolta essa debba fuggire in caso di emergenza, ad esempio per un attacco imprevisto del suo unico nemico naturale, il riccio di mare. La scena ha un che di surreale, soprattutto quando si considera che in condizioni ideali, simili creature possono raggiungere anche la velocità di 4-5 cm al secondo (150 metri all’ora ca.) La loro “coda”, articolata con degli ossicini endoscheletrici di forma tubolare, ha poi la tendenza a sopravvivere l’esistenza dei defunti proprietari, dando l’origine a particolari fossili definiti perle di San Cutberto, il vescovo inglese proveniente dal monastero di Lindisfarne. Pare infatti che presso l’antico luogo di culto, fin dall’epoca medievale, venissero lasciati dall’alta marea i residui di queste creature ancora sconosciute. E che i religiosi, con innato senso pratico, usassero farne dei rosari da preghiera, che scambiavano coi commercianti in cambio di cibo e rifornimenti. Fossili simili sono attestati anche in Nord-America nelle regioni degli stati centrali, che un tempo furono ricoperti dall’oceano della nostra preistoria.
Del resto, i tempi corrono, le navi affondano, persino le alte e antiche mura, infine, ritornano polvere trasportata dai severi venti della Terra. E quando al sopraggiungere dell’entropia, la danza delle stelle di mare avrà esaurito la sua forza di rinnovamento espressivo, ricongiungendosi in modo figurativo con le corrispondenze cosmiche distanti, anche i nostri scheletri saranno fossili di un grande mare. Pronti da essere raccolti e forse, chi può dirlo, venerati.