Come sbancare un telequiz degli anni ’80

Michael Larson

Una strana sensazione che sale inesorabile, come fosse una marea. L’impossibile sospetto, via via riconfermato, che ogni giorno pare sempre più terribile, perché una volta giunti fino a quel punto semplicemente, non si può tornare indietro. Possibile che…? Ogni volta…? Si, si. È così. Difficile trovare tali sicurezze, nella vita. Ma se ci riesci! Devi fare, devi rischiare, devi volare, fino a Los Angeles nei patinati e variopinti studi della CBS, per tentare la fortuna, o come si diceva allora negli Stati Uniti, forse ancora più che adesso: Press Your Luck. Il titolo, fra le altre cose, di un rilevante telequiz. In cui commessi, casalinghe, spazzini, assistenti dentistici, insegnanti, idraulici e tutti gli altri membri della variegata umanità lavoratrice, con finalità di rappresentanza, potevano per qualche ripido minuto diventare l’America intera, essenzialmente indissolubile dal fluido e il carburante della situazione umana, il dio Denaro. Reso manifesto tra gli splendidi gettoni e premi lì elargiti ai concorrenti. Tra cui: un autista di furgoni dei gelati, che come si potrà facilmente immaginare, aveva qualche problema a guadagnarsi da vivere, in inverno. Il rinomato Michael Larson, un personaggio spesso citato come il partecipante di maggior successo a quel particolare gioco (nonché di un programma del daytime, un record che secondo Wikipedia, regge ancora) e come diretta conseguenza, resa ricco oltre ogni aspettativa:  110.237 dollari di allora, corrispondenti a circa 251.000 attuali al cambio dell’inflazione. Ma non fu il Fato, niente affatto, a determinare la sua invidiata condizione. Bensì una serie incredibile di errori, primariamente di natura tecnologica, compiuti dalla produzione del programma, uniti alla sagacia del suo metodo, creato nei lunghi mesi a partire dal 19 settembre 1983, data della messa in onda del primo episodio dell’ennesima, costante fissazione collettiva.
Fu quella un’epoca di riscoperta e rinascita, all’interno del particolare format d’intrattenimento. Dopo la serie di gravi scandali della fine degli anni ’50, che durante la presidenza di Dwight D. Eisenhower portarono ad indagini approfondite da parte di una speciale commissione del congresso sui metodi ed i retroscena di alcuni programmi di estremo successo, tra cui Twenty One, Dotto e The $64,000 Questionfu clamorosamente svelato come molti dei partecipanti di allora fossero non soltanto attentamente selezionati dalle produzioni con secondi fini ben precisi, ma recitassero nei fatti uno specifico copione, fornito completo delle risposte alle domande che dovevano fornire, sotto l’occhio attento delle telecamere e del pubblico da casa. L’aspetto più incredibile dell’intera questione, poi, fu il fatto che una simile condotta non fosse effettivamente, all’epoca, illegale per le leggi federali, al punto che l’unico danno ricevuto dalle personalità coinvolte in tale clamoroso ladrocinio, in ultima analisi, fu alla reputazione. Ma una volta rivelata la verità, naturalmente, nulla poteva continuare come prima. Nei mesi immediatamente successivi ad agosto del 1958, quando un concorrente dello show Dotto, non coinvolto nella truffa, rese pubblicamente noto di aver scovato negli studi di registrazione un bloc-notes con le esatte risposte che una sua collega stava dando durante lo show, aprendo un vaso di Pandora letteralmente privo di precedenti, il genere del telequiz sparì letteralmente dai palinsesti statunitensi, ritornando solamente a distanza di un paio d’anni, con premi notevolmente ridotti. Il sogno, all’occhio della collettività, sembrò finito per sempre.
Ma la gente dimentica, e con essa i produttori. Il varo di una nuova serie di leggi, concepite varate nel decennio tra il ’60 e il ’70 con l’enfatico supporto delle principali lobby delle telecomunicazioni, istituì una serie di severe punizioni per chiunque avesse tentato nuovamente di alterare il corso del destino. Ed infine, attraverso un lungo e graduale periodo di re-acclimatamento, si giunse ad una nuova età dell’oro, con telequiz che raggiungevano nuovamente premi di centinaia di migliaia di dollari, con conseguente successo nella fantasia popolare di allora. E uno di questi nuovi trionfi delle onde di trasmissione si stava dimostrando, per l’appunto, Press Your Luck.

Ma prima di analizzare cosa, effettivamente, fu in grado di costruire il gelataio Larson sotto le luci pressanti della ribalta televisiva, sarà opportuno spendere qualche parola sul funzionamento dello show. Il programma, presentato dalla personalità televisiva newyorkese Peter Tomarken, si presentava analogamente all’eterna Ruota della Fortuna (nata nel ’75) come un ibrido di risposta a quesiti enigmistici, e pura fortuna. I primi, qui, assumevano l’aspetto estremamente convenzionale di semplici quesiti enciclopedici, posti nello stile del gioco da tavolo Trivial Pursuit, a cui i concorrenti dovevano rispondere premendo il classico bottone titolare, detto in gergo buzzer. Dall’onomatopea per il suono roboante che da questo derivava, innumerevoli volte, nel corso di una singola puntata. Le domande potevano essere di due tipi:  a risposta multipla, e quindi con il premio di una singola “girata”, oppure aperte e più difficili, dando il diritto a ben tre tentativi di vincere premi o somme di denaro nel determinante round finale. Ed era proprio qui, che si nascondeva la magagna fondamentale dell’intera questione. Perché contrariamente all’ispiratore citato, in Press Your Luck il sistema di determinazione casuale delle vincite non era di natura meccanica, creato per analogia ad un vero meccanismo del gioco d’azzardo come la roulette, bensì un bizzarro ed affascinante tabellone da 18 caselle colorate, con un selettore che si spostava dall’una all’altra in rapida sequenza. Il concorrente doveva, a suo rischio e pericolo, fermarlo tramite la rapida pressione del pulsante, cercando di capitare in quelle più vantaggiose per lui.

Whammy
Quando un concorrente capitava sulla casella sbagliata del tabellone finale, il suo capitale veniva azzerato dalla comparsa di una serie di buffi personaggi, simili a diavoletti, dal nome insensato di Whammy. Le animazioni erano spesso mirate a far sorridere gli spettatori.

Costruisci un sistema metodologico di determinazione, inerentemente fallace, per un singolo utilizzo, e assai probabilmente ti andrà bene. Immaginate il caso di una lotteria, in cui durante l’estrazione il bambino bendato dovesse far cadere fuori, per sbaglio, la metà dei numeri presenti nella boccia. Tra quelli rimanenti quindi ne sceglierà uno soltanto, e chi potrà veramente dire, allora, che l’estrazione non sia stata sufficientemente casuale? È soltanto se una tale situazione dovesse ripetersi, da quella volta e poi per tutte quelle successive, che il sospetto di una manomissione intenzionale si farebbe lecito, così come la ricerca di un sistema per sfruttarla a proprio vantaggio. E un telequiz, nel momento del suo maggior successo di allora, diventava il tema principale dell’ossessione di molti, il momento culmine di molte noiose giornate. Da studiare nei dettagli, molto, troppo a fondo. L’errore principale compiuto dai due produttori del programma Press Your Luck, Bill Carruthers e il coordinatore dei concorrenti Bobby Edwards, fu proprio quello di non considerare l’effetto di una fondamentale invenzione di quegli anni, che stava insistentemente cominciando a guadagnarsi un posto nelle case di molti dei loro spettatori: il videoregistatore in VHS. Strumento assolutamente presente nel salotto di quello che sarebbe diventato il loro più grande avversario di tutti i tempi, per l’appunto, il gelataio trentacinquenne Michael Larson.

Michael Larson 2
Nel 2003 la CBS ha prodotto un documentario, condotto e narrato dallo stesso Tomarken, intitolato Big Bucks: The Press Your Luck Scandal. In esso viene approfonditamente descritto e dimostrato il metodo usato da Larson per portare a casa i premi.

Il fatto, ed è un terribile fatto, è che il tabellone apparentemente casuale usato nel round finale di Press Your Luck, tutto era, tranne che imprevedibile. La determinazione di una serie di movimenti completamente randomizzati (non conseguenti) all’interno di un sistema di caselle digitalizzato, in effetti, richiede una programmazione specifica tutt’altro che trascurabile, ed è facilmente immaginabile come, soprattutto verso la metà degli anni ’80, la capacità di realizzare un simile sistema non fosse davvero alla portata di tutti. Così, il team guidato da Carruthers scelse semplicemente la via più breve, implementando nel sistema un certo numero di sequenze predeterminate, che portavano le caselle ad illuminarsi l’una dopo l’altra a gran velocità (per l’esattezza, ce n’erano sei). Tale quantità di casi, unita al cambio ritmico e alternato del contenuto di ciascuna casella, tra premi e condizioni di default (i Whammy, vedi didascalia) portava ad una quantità di variazioni pressoché infinite sulla carta, che si riteneva sarebbero bastate abbondantemente allo scopo di rendere il risultato del programma, totalmente imprevedibile. E per più di un anno, così fu.
Se non che Larson, tramite quelli che secondo la leggenda furono “diversi televisori e videoregistratori” (non è chiaro quanti) nel frattempo stava studiando approfonditamente il programma, scoprendo non soltanto che esistevano sei sole sequenze di movimento tra caselle, ma che in alcune di esse, tra cui in modo particolare la quarta e l’ottava, non compariva mai il temuto Whammy, ma anzi, sempre la dicitura fondamentale “gira di nuovo”. Così lui faceva pratica, giorno dopo giorno, nel premere stop sul suo telecomando, ottenendo la conferma di quanto già aveva sospettato: se avesse partecipato a Press Your Luck, adesso ne era certo, avrebbe vinto più di chiunque altro prima di allora. A quel punto, cosa avrebbe dovuto fare? Persino nei più celebri e stimati casinò di Las Vegas, contare le carte non costituisce reato. Chi mai potrebbe dire in via oggettivo, all’indirizzo di una persona TROPPO abile a giocare, che le sue vincite non sono lecite? Al massimo, gli si può vietare di tornare. Ma nel caso specifico di un telequiz, questa sarebbe stata una questione assai poco rilevante.
Nel maggio del 1984, così, Larson partecipò alle selezioni del programma, riuscendo subito a fare un’impressione estremamente positiva. Era carismatico, giocava bene, esultava o si disperava in modo enfatico e coinvolgente. In breve tempo, si guadagnò l’opportunità di partecipare alla puntata del venerdì 19 di quel mese, durante la quale avrebbe portato a compimento la sua idea. Le cose, in un primo momento, non andarono benissimo per lui: nella risposta alle domande, infatti, non aveva alcun tipo di vantaggio sugli altri concorrenti, e ne sbagliò alcune. Una volta ottenuto finalmente il controllo del tabellone, quindi, capitò subito su un Whammy, poiché non poteva sapere che c’era un lieve ritardo, di circa mezzo secondo, dalla pressione del pulsante al fermarsi della girata. Una volta compreso questo, tuttavia, le cose cambiarono in maniera radicale. Nel giro di qualche minuto, Larson girà di nuovo, e questa volta mise in atto con successo il suo metodo. La situazione si fece ben presto, totalmente assurda. Lui girava e girava, ed ogni volta il conduttore Tomarkan gli diceva: “Sei sicuro che vuoi andare avanti? Guarda che puoi perdere TUTTO!” Ma il diniego era netto, l’entusiasmo crescente. I superlativi si esaurirono ben presto. Il pubblico, ormai in delirio, esultava ad ogni nuovo successo di questo concorrente impossibile, che ben presto causò la fuoriuscita del simbolo del dollaro dal display con le sue vincite: questo, a conti fatti, non era in grado di contenere sei cifre. Ai premi in denaro si erano aggiunti due viaggi e una barca a vela (!) Quando all’improvviso, lui stesso si rese conto di una cosa stranamente inaspettata: era stato tanto attento nell’apprendere quali fossero le caselle sempre vincenti con in più la dicitura “aggiungi un turno” che semplicemente non aveva un metodo sicuro per finire su una di quelle che gli avrebbero permesso di uscire dal gioco, senza perdere tutto. Alla fine, avrebbe dovuto scegliere una casella in modo casuale, esattamente come un concorrente normale, rischiando di bruciare il suo ingente capitale in un solo catartico, tragico istante istante. Raggiunto il massimo di quanto, riteneva, gli avrebbero concesso di portare a casa, apparve chiaro che doveva tentare la sorte. E lui, clamorosamente, lo fece. E vinse.
La vicenda di Larson ebbe una risonanza estrema nella fantasia americana, e soprattutto il fatto che alla fine il network CBS decise di pagare comunque il suo debito, con un’encomiabile dimostrazione d’onestà (forse condizionata dai trascorsi del problematico genere televisivo dei quiz) ha portato in tempi più recenti all’ipotesi di girare addirittura un film sulla sua vita, con protagonista niente meno che Bill Murray. Un racconto assolutamente vero, che tra l’altro potrebbe giovarsi di un epilogo strano, triste e drammatico. Dopo la spettacolare trasmissione al programma, infatti, il gelataio dell’Ohio attraversò una serie di disgrazie, che culminarono con la sua morte per un tumore alla gola all’età di soli 42 anni. Ma non prima di essere stato implicato in una complicata truffa, che mirava a vendere a concittadini americani false partecipazioni ad una lotteria straniera, e aver perso la metà esatta dei 110.237 dollari in una situazione che definire assurda, a conti fatti, sarebbe addirittura riduttivo. Successe infatti che nel 1984, uno show radiofonico locale offrisse 30.000 dollari a chi avesse dimostrato di possedere una banconota con delle specifiche cifre all’interno del suo numero di serie. Così Larson scelse, incredibilmente, di ritirare dalla banca gli oltre 50.000 dollari che gli rimanevano in BIGLIETTI DA UNO, portarli in casa ed iniziare a controllarli. Ma purtroppo, quello che cercava, non trovò. E cosa ancor peggiore, tra i vicini si venne a sapere della fortuna che si trovava tra le sue mura domestiche, con la conseguenza che la voce iniziò a girare. Il Natale di quell’anno, quindi, mentre si trovava ad una festa, ignoti fecero effrazione, scappando via con l’intero malloppo. È una cosa semplicemente…Tremenda. A quel punto lui decise di scappare, mentre i nodi venivano al pettine col suo processo per truffa e rischiava di essere incarcerato, rifugiandosi in Florida dove, solo e ormai stanco, morì. Fu una vendetta karmica del Fato, che lui aveva pensato di sconfiggere fin troppo facilmente? Il gesto spietato di un diavoletto/Whammy, materializzatosi fuori dalla televisione per far del male, come un ectoplasma del film Poltergeist? Oppure la più forte delle dannazioni sociali, la tremenda invidia della collettività, che batte come grandine di fuoco sul delicato e teorico”diritto alla felicità”. Quando la realtà ci insegna che non c’è nulla di più variabile a questo mondo, che un simile concetto soggettivo… E qualche volta sarebbe meglio restare infelici. Ma nonostante questo, soddisfatti.

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