Aeroplani come spazi abitativi: l’ultima frontiera del volo

747 Wing house

È strano notare come il senso di responsabilità che dovrebbe condurre ad un pianeta più pulito, e dunque un futuro migliore, tenda a concentrare l’attenzione collettiva verso i dettagli e le minuzie più insignificanti, trascurando ciò che avrebbe un vero impatto sul presente. Sarebbe certamente difficile giustificare il gesto di buttare carte o confezioni di caramelle per la strada, mentre appare molto più logico, persino conveniente, abbattere un edificio pienamente funzionale, per spazio ad un progetto d’espansione urbana. Eppure non c’è nulla che conduca a conseguenze maggiormente durature sull’ambiente, tra i diversi campi operativi della società moderna, che la letterale distruzione di un qualcosa fatto e finito, con lo scopo imperfetto di recuperarne i materiali. Quando in effetti gli utilizzatori umani di una tale cosa, nel futuro prossimo o remoto, non saranno nulla, tranne che adattabili; sopratutto e come loro prerogativa, naturalmente propensi ad apprezzare il gesto non del tutto allineato, assieme a ciò che ne deriva sul finale. Perché non è forse questo, lo scopo dell’architettura, come forma d’arte? Creare un filo ininterrotto, a partire dal mondo degli sterili calcoli matematici e delle ragioni della convenienza, che si estenda con slancio fino al pregio di un qualcosa che sia, innegabilmente, concettualmente significativo.
Un esempio? Si trova nel presente spezzone della CBS, realizzato per cantare le lodi di un particolare punto di riferimento statunitense. Questa è la 747 Wing House, costruita dall’architetto David Randall Hertz sui colli di Ventura County, ad alcuni chilometri da Malibu. Una casa edificata sul terreno che un tempo era stato occupato dalla residenza del famoso scenografo di Hollywood Tony Duquette, finché uno dei molti incendi boschivi dell’arida Costa Ovest non l’aveva incenerita, assieme ai preziosi ricordi cinematografici integrati nella sua struttura. Ma in alcun modo, i suoi sogni e la visione originaria, di una residenza costruita a partire da un qualcosa di recuperato, splendido ed insolito, proprio perché concepito in origine con finalità speciali. C’è una differenza fondamentale, tuttavia, che aleggia in quel nome di chiara provenienza aeronautica, a cui corrisponde una realtà comunque sorprendente: i due piani della nuova struttura, di proprietà di una signora indubbiamente facoltosa dal nome di Francie Rehwald, fanno sfoggio di altrettanti tetti ricavati, rispettivamente, dall’ala sinistra e quella destra di un jet di linea Boeing 747-100, acquistato, fatto a pezzi e trasportato nel suo luogo finale dall’aeroporto di Victorville, uno dei maggiori cimiteri per aeromobili della California, sito a ben 200 Km di distanza. Altri componenti dell’aereo, quindi, sono stati integrati all’interno di varie strutture e dependance. Il problema logistico di far muovere questi complessivi 60 metri di alluminio difficilmente divisibile per un tratto tanto significativo, vi sarà facile immaginarlo, non può essere stato da poco. E le notizie associate al progetto, portato gloriosamente a termine nel 2011, parlano in effetti di una spesa di “appena” 30.000 dollari per l’acquisto dell’aereo al prezzo da rottame, inevitabilmente seguìta dalla necessità di chiudere al traffico intere sezioni delle strade statali conducenti all’obiettivo, per favorire l’impiego di grossi camion e addirittura, per l’ultimo tratto accidentato di avvicinamento al terreno della proprietà, di un elicottero da trasporto, il cui costo operativo stimato dev’esserci aggirato sui 18.000 dollari l’ora. Il senso comune, dunque, farebbe pensare ad un approccio edilizio di assoluta decadenza, in cui il vezzo apparente illogico di avere una casa con le ali ha portato ad una spesa ingente quanto poco significativa. Ed è indubbio che esistano, questo va da se, soluzioni più economiche per proteggere la sommità di un edificio dalla pioggia. Ma farlo con stile, rispondendo all’esigenza architettonica di un ampio spazio, curvilineo e aggraziato come da richiesta della committente, ma che fosse al tempo stesso strutturalmente leggiadro, con la finalità di aprirsi verso i colli e il distante Oceano Pacifico? Il sito di Hertz parla di come la costruzione di un tetto simile, mediante metodi convenzionali, avrebbe richiesto una spesa probabilmente molto superiore. Per non parlare, poi, dell’impatto ambientale di una simile lavorazione realizzata a partire da zero. Ma che dire di chi invece di accontentarsi delle ali, preferirebbe vivere dentro l’intero aereo? Il caso vuole che anche questo caso si sia già verificato, in almeno altri due episodi edilizi, neanche a dirlo, anch’essi americani.


DC-8 house

Il quadrimotore Douglas DC-8, prodotto tra il 1958 e il 1972 in 556 esemplari, è stato un aereo affidabile dalle molte funzioni: impiegato sia come jet di linea che cargo, rappresentò l’ultima generazione delle carlinghe strette e maggiormente aerodinamiche, prima che l’aumento dell’efficienza dei motori rendesse economicamente convenienti soluzioni più capienti, tra cui il celebre 747 della Boeing. Quello che probabilmente non si sospettava all’epoca, era che uno di questi giganti da 56 metri di lunghezza potesse finire in un terreno privato presso Ashland City, nel Tennessee, di proprietà dell’ex-meccanico aeronautico e beneamato cantante country Red Lane, la cui personalità eclettica non mancò mai di stupire i vicini, fino al suo decesso purtroppo avvenuto lo scorso febbraio, all’età di 76 anni. Ispira quindi un senso nostalgico ma stranamente rassicurante, rivederlo adesso in questo video che potrebbe aver costituito una delle ultime interviste, in cui lui mostrava orgogliosamente a un’emittente Tv locale la propria magione, il cui intero spazio principale di residenza fu costituito dalla cabina passeggeri dell’aeromobile, da cui erano stati rimossi i 177 sedili. E il cui approccio costruttivo, lungi dal costituire un reimpiego selettivo come quello della 747 Wing House di Malibu, si era avvalso dell’intero velivolo, piazzato ad arte sopra alcuni sostegni di cemento e un intero spazio costruito mediante metodi convenzionali, con tanto di camino (all’epoca del video, ancora in costruzione) e il singolo arredo più insolito immaginabile: le ruote gigantesche di una parte del carrello d’atterraggio, ancora del tutto integro all’epoca dell’acquisto, avvenuto in un momento imprecisato, ma probabilmente attorno ai suoi primi grandi successi degli anni ’80, presso il vicino aeroporto di Smyrna, Tennessee. Un tragitto di 72 Km, con dietro una storia simile a quella della vicina concettuale (se non geografica) del distante Ovest, con l’aereo tagliato a pezzi e caricato su cinque camion, poi fatto transitare a una velocità massima di 40 Km/h. Il DC-8, fornito di ogni comfort immaginabile e sostanzialmente indistinguibile, per praticità e servizi, da un appartamento costruito secondo metodi convenzionali, ha costituito quindi per anni la residenza dell’artista, che proprio qui ha organizzato incontri con i suoi colleghi all’uscita di ciascun nuovo album ed ha più volte accolto, con duratura ospitalità, gli amici del vicino club di volo e scuola aeronautica di Auburn, assieme ai quali organizzò diversi spettacoli per parenti e vicini.
Va quindi considerato come, nella vita di quest’uomo, la passione per il volo non l’avesse mai abbandonato, portandolo a costruire una casa che era la più perfetta rappresentazione della propria personalità. Il che porta inevitabilmente a chiedersi, è possibile “vivere in aereo” en plein, ovvero lasciandosi dietro ogni orpello strutturale inadatto a staccarsi da terra, portando la propria passione ad ancor più estreme conseguenze? La risposta, che si trova in Oregon, potrebbe soltanto dirsi un enfatico “Yes, sir!”

727 house

Recentemente ha fatto notizia, probabilmente per l’ottimo mini-documentario caricato su YouTube dal canale Great Big Story, la vicenda abitativa di Bruce Campbell, l’ingegnere elettrico in pensione, nonché titolare di un’azienda produttrice di strumentazioni di volo, che ama definirsi “Un vecchio nerd amante dei giocattoli.” E che passa ciascuno dei propri anni per metà in Giappone, per la restante metà presso la decisamente insolita casa forestale sita presso la città di Portland, ricavata neanche a dirlo da un trimotore Boeing 727, con i suoi 46 metri certamente il più piccolo dei tre aerei citati in questa breve rassegna. Gli aspetti maggiormente singolari della sua opera, che indubbiamente la distinguono dagli altri proprietari di aero-case, hanno profonde radici filosofiche. Campbell infatti afferma, nella lunga disanima programmatica pubblicata sul suo sito, di credere nel valore architettonico di un jet di linea, da lui descritto come “Singola struttura più avanzata costruita dalla società moderna.” Un edificio resistente agli agenti atmosferici e all’usura, naturalmente protetto da eventuali tentativi d’intrusione, addirittura naturalmente antisismico, in funzione degli ammortizzatori presenti nel suo carrello. Proprio in funzione del valore dato a simili doti, il suo aereo è costato significativamente di più rispetto agli altri due citati (100.000 dollari) ciò perché gli unici elementi integralmente rimossi dalla società di recupero, sono stati i motori. Per il resto tutti gli strumenti ed apparecchiature di bordo risultano ancora funzionanti, inclusa una rampa di carico sollevabile in caso di bisogno, mentre la struttura fondamentale dell’aereo non è stata in alcun modo scorporata. In merito alla questione logistica, che resta largamente misteriosa, si parla di un ulteriore spesa di circa 120.000 dolalri, per il trasporto dell’intero aeromobile presso il terreno di attuale residenza, in cui sembrerebbe comunque privo di elettricità, gas e allaccio alla rete fognaria. Il suo stesso abitante, del resto, sembrerebbe allineato con il tipico pensiero degli isolazionisti/survivalisti, con un’etica proiettata all’indipendenza dagli stringenti e limitativi crismi della vita urbana.  “Molti mi chiedono se si tratti di un aeromobile precipitato nella foresta, che io ho trovato e rimesso in sesto” Campbell racconta, sorridendo. “Assurdo! Sarebbe decisamente stato poco pratico.” Perché per il resto, invece…
La tecnologia, in quanto valore pratico dell’ingegno applicato, non è un qualcosa di rigido e limitato ad un singolo campo di applicazione. E persino quello che era stato costruito per volare, con un minimo di capacità di adattamento, può tornare utile nei modi più diversi. Come una singola lattina, reimmessa assieme a molte sue sorelle nella filiera dell’edilizia, della costruzione di elettrodomestici, dell’elettronica di consumo. L’unica cosa certa del domani è quella parola d’ordine, che riecheggia nell’aria nebbiosa del mattino: riciclo, riciclo. Come l’acqua che ritorna a terra dalle nubi, che dimostrano la verità.

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