Strade nella polvere: lo scheletro della città disabitata

California City 0

I locali la chiamano la second community, ovvero in altri termini, una città oltre gli spazi abitativi ma totalmente conforme alla loro invisibile presenza. Fatta di tragitti attentamente designati, che conducono a perdersi in mezzo alle sabbie del Mojave. Se visualizzati grazie all’occhio della mente, interi quartieri paiono configurati sullo schema del tipico sobborgo americano, con villette a schiera, strade ordinate e una gremita zona per gli acquisti, connotata dalle voci di famiglie in festa poco prima il giorno di Natale. Ma dal punto di vista propriamente detto, in questi luoghi ci sono soltanto polvere, qualche casa rovinata, occulti nidi di scorpioni. Oltre il concetto della proverbiale cattedrale nel deserto: un’intera città, sperduta, lì.
L’aspetto maggiormente trascurato nella concezione Europea degli Stati Uniti è la quantità di spazi vuoti che compongono quel vasto territorio, fatto indubbiamente, delle grandi metropoli più celebrate, come New York, San Francisco, Los Angeles… Ma anche di chilometri e chilometri di un assoluto ed assolato nulla. Per chi vive in quegli ambienti, ciò è un assunto pressoché essenziale della vita stessa: trasferirsi per lavoro non significa il più delle volte, cambiare quartiere, o prendere in affitto una casa a qualche centinaio di chilometri dalla propria dimora nascitura; bensì imbarcarsi su un aereo, per raggiungere un luogo che si trova alla distanza equivalente da Parigi-Mosca, o Berlino e Madrid. Soltanto così può trarre l’origine quel fenomeno tipicamente americano, ma che in questi ultimi tempi sta prendendo piede pure in Cina, di definire uno spazio arbitrario come pietra angolare di un’intera metropoli, poi chiamarla tale, almeno sulla carta, ed aspettare che la gente giunga a costruire case, pompe di benzina, centri commerciali…Una vera e propria trasformazione del territorio, in cui l’investimento di partenza agisce come una scintilla, finalizzata a scatenare l’incendio del mercato immobiliare. Il che descrive per sommi capi, incidentalmente, l’opera compiuta a partire dagli anni ’60 dall’imprenditore cecoslovacco naturalizzato americano Nathan (Nat) K. Mendelsohn, originariamente un sociologo e professore all’università newyorkese di Columbia, poi trasformatosi nel profeta economico di quella che doveva diventare, nella sua visione, ovvero una nuova singola città più grande dello stato.
Si, ma come? Non è esattamente chiara alle cronache, per lo meno quelle internettiane, dove l’uomo avesse trovato i 500.000 dollari necessari per acquistare nel 1958 dal governo 82.000 acri di deserto siti a 100 miglia a nord di Los Angeles, poco più del doppio a sud ovest di Las Vegas, dopo aver notato durante un viaggio d’intrattenimento come il ranch locale di M&R disponesse di nove pozzi artesiani, i quali miracolosamente non esaurivano mai l’acqua. Mentre sappiamo molto bene, ciò che venne immediatamente dopo: una campagna pubblicitaria spietata, a mezzo stampa e radiotelevisivo, mirata a presentare la nascente California City come il segno e il passo del futuro. “Approfonditi studi demografici hanno dimostrato che la popolazione della California è destinata a raddoppiare (quadruplicare, triplicare…) nel corso di un paio di generazioni. Acquistare un terreno qui, adesso, significa mettersi sulla strada del futuro!” Verso il mese di marzo di quello stesso anno, il progetto iniziò a prendere forma. Procuratosi l’aiuto dell’esperto pianificatore urbanistico Wayne R. Williams, Mendelsohn fece tracciare il disegno di una vera e propria città modello, con scuole, biblioteche, musei e ogni altro possibile servizio a vantaggio di un luogo concepito dichiaratamente a misura d’intellettuali. Le strade portavano il nome di scienziati e filosofi, oppure grandi industriali, mentre ampi spazi erano già stati designati per parchi e zone verdi, che sarebbero stati irrigati grazie alle corpose falde acquifere con origine sotto i monti della vicina Sierra Nevada. I primi 876 lotti furono quindi messi in vendita, durante il mese di maggio, venendo esauriti nel giro di pochi giorni. Ma questa non era che una parte minima, del totale territorio acquisito dal sognatore cecoslovacco. Considerando come il valore medio per un appezzamento abitativo si fosse riconfermato sul mercato come pari a circa 1.000 dollari cadauno, potrete facilmente comprendere l’enorme potenziale commerciale della cosa.
A quel punto, il limitatore del marketing fu delicatamente rimosso, per non dire scardinato con furia dal possente desiderio di veder crescere dal nulla il fiore metropolitano: tra giugno e dicembre, con l’apertura alle offerte per altri 427 lotti, seguiti dalla rapida approvazione della contea di Kern per altri 900, interi pullman di potenziali acquirenti furono guidati fino al sito di California City, con tutte le spese coperte dalla compagnia di Mendelsohn, mentre addirittura un grosso aereo DC-3, ospitante al suo interno alcuni tra gli investitori maggiormente fortunati, venne fatto atterrare in mezzo al deserto, presso il sito stesso del futuro centro cittadino. Venne quindi donato un terreno a quella che sarebbe diventata la prima scuola elementare, mentre si stendevano i cavi della luce e sotterravano i tubi dell’acqua sotto il suolo del deserto stesso. Entro la fine dell’estate, prevedibilmente, alcune case iniziarono timidamente ad essere costruite. Pensate a quel momento topico, nella costruzione virtuale di un insediamento all’interno di videogiochi alla Sim City, quando avete già disposto le strade del vostro primo vicinato, collegato i servizi fondamentali e designato zone verdi (residenziali) azzurre (commerciali) e gialle (industriali). Quando, se tutto è stato fatto correttamente, gli edifici inizieranno a sorgere in modo spontaneo, spinti da quell’inarrestabile forza generatrice che è l’edilizia a conduzione privata. Oppure, non succede assolutamente nulla e voi finite in bancarotta per le spese, nel giro di 10 minuti trascorsi a velocità iper-accelerata.

California City Tom Scott
Il divulgatore inglese Tom Scott ha recentemente realizzato un segmento su California City all’interno della sua serie Field Day. Alcune delle brevi riprese via drone si dimostrano davvero utili nel far comprendere la situazione.

Mentre il destino di California City, se possibile, non fu glorioso, né terribile. Bensì semplicemente, mediano. La poderosa spinta pubblicitaria di quel primo anno di successi si dimostrò in effetti sufficiente a vendere la parte maggiore degli originari 82.000 acri, benché molti avessero partecipato soltanto con un’idea vaga di “fare investimento” sotto il segno di quello che pareva un domani migliore. Era questi, dopo tutto, gli anni del boom economico, quando interi razzi partivano verso la Luna e tutto sembrava possibile, persino che la sterminata Los Angeles, d’un tratto, venisse totalmente spodestata. Entro il mese di settembre del 1958, la società di Mendelsohn era in attivo di diversi milioni di dollari, mentre alcune famiglie iniziavano a trasferirsi nel loro nuovo arido luogo di residenza. Parte del denaro guadagnato venne quindi reinvestito, nella costruzione di un centro ricreativo con piscina, ristorante e motel. All’inizio del 1959 la città era abitata in pianta stabile da 36 famiglie, e venne iniziato un ambizioso progetto per “piantare 1.000 alberi” in prossimità del loro vasto e vuoto spazio abitativo. Ben presto, il loro numero aumentò a 100, ma…Non molto più di così. Nonostante quell’immediato e vasto vuoto ospitasse le proprietà di oltre 5.000 investitori, per un totale di 8 milioni di dollari in prestigiosi lotti, dove l’unico movimento era quello dell’erba rotolacampo, sospinta innanzi dai venti incessanti della California. Che avrebbe soffiato ancora indisturbato, nella maggior parte dei casi e per gli innumerevoli anni a venire. Ci sono diverse teorie per così dire meccaniche, ovvero non fondate su una semplice analisi di tipo sociodinamico, sul perché la parte maggiore di California City sia in ultima analisi rimasta disabitata. La più interessante, riportata dal portale di viaggi Atlas Obscura, sarebbe relativa al fatto che le modifiche paesaggistiche apportate per tracciare il layout cittadino avrebbero causato un aumento delle tempeste di polvere, causando un immediato calo dell’interesse collettivo verso la regione. Ciò resta molto difficile da provare, tuttavia, quando si considera come molti dei lotti fossero stati comprati da paesi esteri, ad opera di grandi compagnie senza volto che contavano sull’arcinoto spirito di frontiera statunitense, per costruire tutto intorno a quello che sarebbe stato vuoto, fino all’ultimo momento della verità. Tutti aspettavano il primo sincero passo che nessuno, in ultima analisi, si sarebbe messo a compiere in prima persona.

California City comm
Lo stile dialettico legato alla vendita delle proprietà di California City risulta essere, ancora oggi, enfatico e idealista, con un occhio di riguardo alle presunte meraviglie naturali che circondano il centro abitato. Una frase tipica, ad esempio, è “Abbiamo più stelle di Hollywood” ah, ah! Spaziale.

Verso ottobre del 1958, quando la popolazione cittadina aveva raggiunto le 250 famiglie, venne inaugurato quello che ad oggi rappresenta il singolo elemento metropolitano più ricercato del progetto, un parco verdeggiante con annessa pista da golf a 18 buche, con al suo centro un lago di ben 20 acri “battezzato” con l’acqua del vero Central Park di New York, lanciata da un elicottero e sotto l’occhio ammirato delle telecamere. Chi avrebbe mai immaginato, del resto, una vista simile in un luogo tanto secco e desertificato?
A quei tempi, Mendelsohn era ovunque, a tagliare nastri, inaugurare nuovi luoghi d’interesse, sempre in abito impeccabile, con un caratteristico bastone da passeggio dotato di pomo d’oro zecchino (qui verrebbe quasi in mente l’uomo del Monopoli). Chi ancora lo ricorda, come ad esempio il primo vice-sindaco della città Ted Sutherland intervistato da Tom Scott, ne parla descrivendo un individuo gioviale, affabile e alla mano. Ma potrebbe trattarsi di semplice nostalgia. E la sua città avrebbe continuato a crescere, per circa una decina d’anni, raggiungendo una popolazione relativamente ragguardevole di quasi 1.000 (MILLE!) individui…Ma soltanto entro il 1969. E fu allora, grosso modo, che lui decise di essersi stancato, vendette tutte le sue azioni societarie alla Great Western United Corp. di Denver e si spostò in Texas, per curare un nuovo progetto di sviluppo di proprietà immobiliari, un campo in cui vantava ormai esperienze decennali. Nel 1984 ebbe un infarto e morì, all’età di 69 anni. A quel punto, soltanto un miracolo avrebbe potuto portare all’effettiva realizzazione del suo grande sogno originario.

California City Bikes
Venite a California City: una città giovane, piena di moto ed ATV. Dove l’ululato del coyote incontra il melodioso vibrato dei motori a gran velocità…

Oggi California City è una ridente cittadina in mezzo al deserto, con circa 13.000 abitanti, in lieve calo stando alla stima dei censori. Un gremito centro abitativo, per lo meno, persiste, abbarbicato attorno all’improbabile lago con pista da golf, che comunque negli ultimi anni giace un po’ dismesso e contaminato dalle alghe, mentre l’amministrazione indice periodicamente una campagna di raccolta fondi per “salvarlo”. Tutto attorno a un tale luogo améno, si estendono fra la polvere le piste sterrate delle future strade pianificate nel 1958 da Williams, con tanto di segnaletica e come fossero riproduzioni moderne, ma molto meno artistiche, dei giganteggianti geoglifi della piana di Nazca, in Perù. Tra le più significative attrazioni locali, facilmente individuabili come chiazze verdi sulle foto di Google Earth vanno citati il piccolo resort costruito attorno a Galileo Hill, lo stesso rilievo da cui Mendelsohn potrebbe aver esclamato, tanto tempo fa: “Tutto questo, un giorno sarà mio!” senza poi dimenticare l’altrettanto importante base dell’aviazione militare, una prigione privata con oltre 2.000 detenuti, l’impianto di test automobilistici della Honda e una gigantesca miniera, la maggiore fonte di borace della California. E sono probabilmente molti dei professionisti impiegati in ciascuna di tali importanti istituzioni, a costituire una buona parte della popolazione locale. Disseminata, senza soluzione di continuità fra tali e tante strade senza traccia di edifici. Un tale paesaggio ultramondano, ad ogni modo, non manca di attirare ogni anno un certo tipo di turismo insolito, che mira a prendere atto di quello che può davvero succedere, quando il sogno dell’espansione metropolitana si trova a scontrarsi con la dura e impietosa realtà dei fatti. Periodicamente, i cartelli con i nomi delle strade vengono rubati, sopratutto quello del viale dedicati ad Herny Ford, tanto che il municipio ha deciso, negli ultimi tempi, di smettere di sostituirlo. L’impresa appariva progressivamente più futile, nonché stupidamente dispendiosa.
Nel frattempo, ad ogni modo, la città non è morta. Continuando duramente a resistere, con una parte delle nuove generazioni locali che decidono dopo il liceo, incredibilmente o forse niente affatto, di rinunciare all’esperienza dell’educazione universitaria, come di trovare lavoro in una vera città e ad un certo punto, costruirsi un futuro sotto il segno della convenzione. Ma piuttosto qui rimangono, sognando un possibile domani, che è poi anche il nostro passato, ma potrebbe dopo tutto, essere la fine ultima dell’intero concetto di città: un grande spazio, solamente quello. Tante speranze e una promessa, soffiata via dal vento.

Per approfondire: le foto satellitari di California City offerte da Google Maps

California Erik Estrada
Periodicamente, simili centri sperduti nel deserto ricevono nuove occasioni, ad esempio quando la bolla delle proprietà immobiliari porta ad un brusco calo dei prezzi. Nel 2005, California City fu brevemente pubblicizzata in Tv da Erik Estrada, l’attore che interpretava Poncharello nella serie poliziesca degli anni 70 dei CHiPs. Quel segmento purtroppo non è reperibile su YouTube, ma eccolo a sostegno di un altra venture simile della stessa compagnia.

California City 2

California City

 

Lascia un commento