La scienza dell’etologia, che si occupa di studiare il comportamento degli animali nel loro ambiente naturale, sperimenta una profonda problematica, in grado di condizionare l’ampliamento delle sue nozioni: è fin troppo facile dare determinati punti chiave per scontati. Fin dall’epoca del filosofo Aristotele, riconosciuto come remoto fondatore della disciplina, il progresso di un simile scibile è avanzato faticosamente, senza il caratteristico andamento a grandi balzi occasionali che costellano la storia dell’umanità. Osserva un evento in corso di svolgimento, prendi nota, fai comparazioni con quanto si è acquisito fino ad ora; nel giro di pochi giorni di ricerca, avrai trovato la tua utile analogia. “Il corvo del mio giardino si avventa sopra il formicaio, due o tre volte al giorno, perché ha…Fame.” Che c’è di strano? Generazioni di uccelli insettivori da sempre facevano la stessa cosa, divorando le piccole rivali artropodi sulla via per la sopravvivenza. “Pubblicare QUESTA osservazione oggettiva non darebbe luogo ad alcun grado di prestigio, ma piuttosto a una risata collettiva da parte dei miei colleghi all’università.” E così per molti secoli, gli uccelli hanno mantenuto un certo dettaglio della propria vita ben lontano dai nostri libri, benché tale gesto fosse praticato proprio sotto gli occhi di coloro che quivi ponevano le proprie firme. È una questione di latente preconcetto, ma anche una mancanza di spirito d’osservazione. Perché l’ipotetico scienziato di cui sopra, al verificarsi di una scena come questa, avrebbe dovuto avvicinarsi per guardare meglio. Chinarsi per quanto possibile in prossimità al volatile, per notare come quest’ultimo, lungi dal trangugiare subito ciascuna preda, quelle formiche le prendeva e masticava con il becco, per poi apporle, l’una dopo l’altra e spesso ancora vive, nel bel mezzo delle proprie lisce piume!
È così alquanto sorprendente, ma non del tutto inaspettato, trovare la prima notazione scientifica di un simile comportamento soltanto nel relativamente recente 1935, ad opera dello scienziato tedesco Erwin Stresemann, che lo discusse in un articolo per la rivista Ornithologische Monatsberichte. In cui raccontava di aver assistito alla fatidica scena di un gruppo di cornacchie grigie (Corvus cornix, piuttosto comuni anche qui da noi in Italia) che si affollavano attorno a un formicaio di formiche rosse dell’emisfero boreale (F. rufa) che pur non essendo dotate di pericolosi pungiglioni come certe loro cugine tropicali, risultano comunque dotate di un’arma chimica piuttosto fastidiosa: l’acido formico, un liquido incolore ma piuttosto maleodorante, in grado di ustionare la pelle se vi si trova a contatto per un tempo prolungato. Ora, il fatto stesso che i pennuti tormentatori alati mostrassero una simile insistenza nell’infastidirle, a vantaggio delle ben più indifese formiche nere, avrebbe dovuto far insorgere in qualcuno il seme del sospetto. Per non menzionare il fatto che l’incontro non prevedesse affatto un pasto sistematico e efficiente, con i grossi passeriformi che si affrettavano a saziarsi, prima di spostarsi verso lidi più ospitali, ma piuttosto un prolungamento atipico dell’intera faccenda, con i sottili becchi usati per prendere delicatamente ciascun insetto, posizionandoselo addosso, con cura, per un tempo complessivo stimabile sui 20-25 minuti. Sembrava quasi che gli uccelli, inspiegabilmente, da questa attività stessero traendo un misterioso piacere.
Ed è nell’analizzare simili questioni, soprattutto, che l’etologia tradizionale ha sempre dimostrato i propri limiti residui. Ereditati, per così dire: perché se nessuno aveva mai notato quel qualcosa, non sembrava esserci alcun vantaggio nell’approfondire. Non è forse già una descrizione soddisfacente, quella relativa all’alimentazione, senza aprire nuovi vasi di Pandora, validi soltanto ad aumentare il nostro senso d’incertezza!
Considerazioni ragionevoli per molti, ma fortunatamente non per il coraggioso Stresemann, che nelle ultime battute della sua ricerca giunse a proporre al mondo accademico di denominare finalmente l’attività con il neologismo einemsen, poi tradotto nell’inglese anting, ovvero, letteralmente: la formicazione. Benché qui da noi, la locuzione preferita è quella più esplicita del “bagno di formiche”, in un’antonomasia che in effetti, non include né analizza l’interezza del fenomeno, il quale oggi sappiamo coinvolgere ben 200 specie di uccelli, arrivando spesso a prescindere dall’impiego dell’insetto in questione, a cui vengono preferite alternative pratiche come determinate tipologie di millepiedi, anch’esse dotate di sostanze protettive simili all’acido formico, quando non addirittura, negli ambienti urbani, semplici mozziconi di sigaretta, contenenti qualche grammo di preziosa nicotina. Dal che nacque trasversalmente il sospetto, nei primi studiosi che si interessavano al fenomeno, che la formicazione fosse una sorta di bizzarra forma d’intrattenimento, in grado di appassionare uccelli troppo intelligenti per l’ambiente in cui si muovono e quindi annoiati, come per l’appunto, sono spesso i corvi. Ma questo non spiegava perché a praticarlo fossero anche altre creature volatili ben più piccole e meno imprevedibili, come ad esempio riportava Salim Alim nel Giornale Scientifico di Bombay nel 1936, con alcune osservazioni di un suo collega in merito a una coppia di Chloropsis jerdoni o uccelli foglia, fantastici passeriformi dal piumaggio verde brillante di quei luoghi. Per non parlare poi delle ghiandaie, le cince, i picchi e le pispole, i pettirossi, tutte famiglie all’interno delle quali furono ben presto attestate e documentate pratiche associabili a quella dei corvi. Sul perché il comportamento fosse tanto diffuso, in questa prima, fase, vennero proposte varie ipotesi. Ma soltanto una, infine, fu riconfermata dalla sperimentazione.
Tra le fonti citate nell’articolo di Wikipedia sulla formicazione, figura un articolo del 1963 di Leon Kelso e Margaret M. Nice, che lamentava una comprovata ignoranza da parte di molti studiosi occidentali delle ricerche pubblicate negli anni ’50 dal grande patologo russo Vsevolod Borisovich Dubinin (1913-1958) che tra il corpus inesauribile delle sue cognizioni, avrebbe potuto facilmente vantarsi di essere il maggior esperto della sua epoca in merito ai parassiti degli uccelli. Interesse per corroborare il quale, ci viene illustrato, il professore ebbe l’iniziativa nel 1943 di catturare tre pispole delle steppe (Anthus pratensis godlewskii) subito dopo averle osservate intente nella prassi operativa del bagno di formiche, presso l’irrinunciabile colonia di Formica rufa. Ebbene, conducendo osservazioni approfondite sugli uccelli, contestualmente ad altri tre esemplari che invece non avevano praticato la formicazione, proprio lui ebbe modo di notare come i primi sperimentassero un rapido declino della popolazione degli acari succhiasangue tra le proprie piume, con la morte di 54 insetti nel giro di 24 ore. Mentre il secondo gruppo di uccelli, come previsto, restava integralmente infestato. A questo punto e ripetendo a breve l’esperimento con delle upupe, l’apparente ragione principale di questa prassi degli uccelli apparve finalmente dimostrata: ricoprirsi dell’acido formico, per i corvi e tutte le altre bestie, si dimostrava utile nel contrastare il perenne fastidio di simili passeggeri indesiderati. Ma il mistero, come spesso avviene, era destinato a rinnovarsi. Ciò perché la pratica della formicazione è stata a più riprese osservata anche negli uccelli tenuti in cattività, che non presentano quindi alcun tipo di infestazione. Inoltre, gli esemplari giovani delle specie più diverse sembrano tendervi in maniera istintiva, anche senza avere modo di osservare prima dei colleghi all’opera. Si è così ipotizzato che servisse ad alleviare il prurito e l’irritazione dovuta ai periodi di rinnovamento delle piume, sperimentati da una a tre volte l’anno. Ma che dire, allora, delle sigarette? L’altra principale spiegazione, relativa al fatto che determinate pennuti, tra cui le ghiandaie del Nuovo Mondo, strofinassero le formiche soltanto per pulirle dall’acido prima di trangugiarle, appare inconclusiva, per il semplice fatto che non tutti gli uccelli osservati procedano alla seconda fase dell’operazione. È altresì persino dimostrabile, talvolta, che le formiche o i millepiedi vengano rilasciate dopo l’utilizzo, ancora vive e vegete, benché comprensibilmente un po’ provate.
Il che ci riporta al problema delle convenzioni: chi ha mai detto che un qualsiasi comportamento animale, una volta inserito in una logica di studio, debba avere cause esattamente definite? Un cane che si rotola tra cose innominabili, come talvolta avviene, lo fa per l’istinto naturale di nascondere il suo odore. Ma come certamente ricorderà chiunque abbia sperimentato la sgradevole esperienza ad opera del proprio compagno domestico, è innegabile che l’animale provi anche un gran piacere. Il suo sguardo colpevole, a malefatta compiuta, sembra infatti affermare: “Mi dispiace di averti deluso, padrone. Ma wof! Se ne è valsa la pena!” Così forse, il corvo si strofina di formiche perché… Ha voglia di farlo. Il principale compito dello scienziato, a mio parere, è prenderne nota. La vera ragione, dopo tutto, si nasconde in mezzo a quelle piume nere…