Quando Kyoto brucia tra la gioia della gente

Hi no Matsuage

Di ritorno dalla grande caccia, il sommo Izanagi fuoriuscì dagli alberi della foresta del Cielo, in sella al sacro cavallo, con l’arco divino stretto in una mano e l’altra a farsi scudo dalla luce dall’astro nascente dell’unica ed infinita alba, in questo mondo ancora privo di una dea del Sole. Dinnanzi a lui, nel mezzo della valle ricoperta dai fiori d’ibisco, sorgeva il magnifico palazzo Yahiro-dono, dai tetti aguzzi ricoperti da maestose tegole, con figure di draghi, fenici e nuvole di terracotta. Egli si voltò brevemente, per osservare il suo ristretto gruppo di servitori, quattro spadaccini ed un lanciere, che s’industriavano nel trasportare la grande carcassa del Qilin, la belva chimerica con corpo scaglioso, testa di drago e zoccoli da cervo, le sue corna ramificate anch’esse simili a quelle di una tale bestia del reame sottostante. Con gesto imperioso, il dio fece cenno agli uomini di proseguire verso la dispensa ultraterrena. Poiché egli, d’improvviso, aveva percepito un grido trasportato dall’aria, come di una donna che gridava la sua rabbia ed impotenza. Assicurato l’arco alla sua sella, galoppò veloce lungo le pendici, verso la grande veranda della sua dimora, da cui tante volte aveva osservato la Luna assieme alla sua consorte, la splendida Izanami-no-Mikoto, Colei che Riceve. Giunto a pochi metri dal tatami rialzato sopra il suolo del giardino, il Dio balzò giù dalla cavalcatura, e in un solo fluido movimento sembrò disgregarsi, per riapparire con incedere maestoso, la veste agitata dal vento, il volto severo e determinato.  Sull’apertura che conduceva alla sala centrale del palazzo, tuttavia, dovette fermarsi poiché lì, con immediato senso d’angoscia, notò la presenza della somma levatrice inginocchiata, con la fronte che toccava terra e le braccia divaricate, poste a sostenere il peso della sua vergogna senza fine. Con la voce stravolta dai singulti, la vecchia faticosamente parlò: “Mio Signore! Come avevate previsto nella Vostra infinita saggezza, la Signora ha dato i natali a un altro essere sovrano… Kagutsuchi, il dio del Fuoco. Tuttavia, si è verificata una terribile tragedia! Adesso lei è, è…” Izanagi resto immobile per tre, quattro secondi. Quindi con un semplice gesto imperioso, chiamò il vento che scaraventò la levatrice in fondo al corridoio, sfoderando la sua luminosa spada in ferro meteoritico, mentre l’infelice servitrice, manifestazione del suo stesso desiderio di creare la vita, già accettava il suo destino. Ma con somma sorpresa di quest’ultima, il dio voltò di lato, per dirigersi verso gli appartamenti di Izanami, dove la disgrazia si era compiuta. Il sollievo lasciò allora il posto allo sgomento, quando apparve chiaro ciò che stava per succedere. La levatrice, i capelli bianchi sciolti dall’impatto subìto, si affacciò zoppicando sulla sala antistante, appena in tempo per assistere alla scena: il sommo dio era di schiena, intento ad osservare questo suo ultimo indesiderato figlio. Kagutsuchi era fuoco puro, la capigliatura di scintille, gli occhi simili a dei pozzi incandescenti. La piccole manine artigliate, simili a quelle di un tanuki mutaforma, protese verso il dio paterno con la ferrea spada in pugno. Il corpo della partoriente Izanami, gravemente ustionata, giaceva in un angolo, momentaneamente dimenticato. D’un tratto, si udì risuonare una singola parola: “No.” Allora Izanagi, colpì. In un solo fluido movimento, fece il neonato in due volte quattro pezzi, che con suono roboante parvero ingrandirsi a dismisura, poi scomparvero precipitando attraverso il pavimento. Ciò perché l’uccisione di un sommo essere, naturalmente, risultava del tutto impossibile. Questo, la levatrice lo sapeva molto bene. Quando il suo signore finalmente si voltò a guardarla, lei comprese ciò che era appena successo: il dio del fuoco era stato suddiviso in otto vulcani, che da quel giorno sarebbero sorti nei territori sottostanti, lungo l’arcipelago che aveva il nome di Giappone. Tale si era dimostrata la sovrana Volontà.
Non c’è davvero da sorprendersi, a ben pensarci, se nella maggior parte delle mitologie l’origine del fuoco ha sempre una storia drammatica e terrificante, tale da condurre a un senso d’angustia i bimbi prima dell’ora di andare a dormire. Tra tutti gli elementi, questo è infatti il più potente, ed al tempo stesso terribile, ustionante, belluino, che tuttavia conduce l’uomo a ciò che egli fondamentalmente, è. Così fu deciso ce le genti di Yamato non avrebbero mai conosciuto la sua somma personificazione, poiché bastavano le sue manifestazioni terrigene, per fare danni senza fine. Ciò perché smembrando Kagutsuchi, il padre aveva in realtà ottenuto l’effetto contrario all’esorcismo desiderato, assicurandosi in realtà che un tale essere si diffondesse fecondo per le quattro direzioni cardinali, dando l’origine remota ad infiniti e orribili disastri. Con il passare delle generazioni, finì l’era degli dei e iniziò quella degli uomini. Attraverso innumerevoli tribolazioni, la gente di Yamato crebbe in saggezza e raffinatezza, fino a stabilire i crismi di quell’epoca che ha il nome di Heian, in cui poetesse nazionali raccontavano le storie di un amore senza tempo, tra gli edifici di una capitale quale il mondo non aveva mai veduto prima. Finché nel 940, le porte di Kyoto non si spalancarono di scatto. Il dio del fuoco era tornato, per esigere vendetta.

Jimmu Tenno

Di quel terremoto spropositato, seguito da tre giorni e tre notti di roghi senza limiti o pietà, non abbiamo che racconti frammentari. Sappiamo soltanto che la sua origine fu nei quartieri prossimi al palazzo dell’Imperatore, e che addirittura questo stesso splendido edificio, costruito interamente in legno, bruciò fino alle fondamenta, mentre il sovrano si trovava fortunatamente altrove. Al suo cospetto, quindi, fu portato il sacro specchio di bronzo della Dea, completamente annerito dal nero della fuliggine e parzialmente fuso, fino a sembrare un ammasso privo di grazia e di beltà. Di fronte a un simile presagio, egli non ebbe alcuna esitazione: “Che i templi dei nostri numi tutelari siano ricostruiti a Nord, tra le montagne che sovrastano Kyoto. Da un tale punto sopraelevato, ci proteggeranno meglio dagli spiriti malvagi.” Così ordinò la Volontà sovrana. E così fu. Ma naturalmente, non tutte le piccole comunità montane circostanti potevano permettersi di mantenere un intero jinja (santuario shintoista) e così alcune dovettero accontentarsi di trovare strade alternative per rispondere alla chiamata, fatte di metafore, ovvero esecuzioni ritualistiche di gesti apotropaici. Come quella mostrata in apertura, della matsuage (festa rurale, distinta dal matsuri, grande riunione popolare) del villaggio di Hirogawara, prossimo alla cima del massiccio dell’Atago. Dalle epoche remote è infatti qui l’usanza che a ogni sopraggiungere del mese di agosto venga segnato sul calendario un giorno sacro, in cui la gente del paese si raduna, sul principiar del vespro, attorno a un pilastro alto all’incirca 20 metri, con del combustibile vegetale sulla sommità. Quindi, collettivamente, si preparano un numero stimato di 1200 torce, collegate a coppia tramite l’impiego di altrettante corde. Gli strani implementi vengono fatti mulinare, poi lanciati all’indirizzo della sommità distante, nel tentativo di accenderla con un colpo fortunato. Facendo seguito a questo clamoroso successo di mira e abilità, i paesani si organizzano a gruppi, conducendo poderose cariche all’indirizzo della torcia monumentale, finché questa non cade rovinosamente a terra. Milioni di scintille volano nell’aria notturna a seguito del contraccolpo, mentre le squadre, armate di lunghi pali, agitano il fuoco, nel tentativo di renderlo ancora più terrificante. Allora questo puntualmente risponde alla chiamata, lasciando ancora una volta libera la città distante. Ma la festa di Hirogawara non è che un singolo esempio poco noto, per quanto affascinante, delle numerose feste dedicate all’elemento del fuoco che circondano l’antica capitale giapponese. Tra le quali spicca certamente, per l’importanza e le molte citazioni letterarie, la cerimonia del monte di Kurama, lo stesso luogo in cui il grande eroe Minamoto no Yoshitsune (1157-1189) aveva studiato il combattimento con la spada, sotto la supervisione del re dei Tengu, spiriti nasoni con ali di corvo.

Kurama Festival

A questo punto sarà importante far notare come nessuna di queste feste sia in effetti dedicata ufficialmente alla figura di Kagutsuchi, un dio non particolarmente amato dal canone shintoista. Ogni manifestazione successiva del fuoco, infatti, sia inteso come calamità che utile strumento, fa capo a figure mitologiche di tipo differente, numi per lo più locali e venerati nei diversi templi di ciascuna regione. Nella zona circostante Kyoto, tra questi risulta particolarmente importante la figura di Atago Gongen, una manifestazione giapponese del bodhisattva (santo) buddhista Ksitigarbha, altrimenti noto come Jizo, il salvatore. Spesso rappresentato come un monaco itinerante racchiuso in un alone di luce, in possesso della verga sovrannaturale in grado di spalancare le porte dell’aldilà, costui compare spesso in forma statuaria, presso i cimiteri e lungo le strade maggiormente trafficate. Generalmente associato alle regioni degli inferi, ove si reca per alleviare la sofferenza dei colpevoli, Jizo vanta numerose associazioni iconografiche con l’elemento del fuoco, risultando essere ad esempio il protettore dei pompieri. Nei racconti dello Zen, ci sono numerosi esempi di miracoli operati da questa entità sovrannaturale, come quella del monaco Saijun, che nel XVI secolo viaggiava per il paese, accompagnato da un divino talismano in grado di curare ogni sorta di afflizione o malattia. Celebre è la storia della servitrice della famiglia dei Mori di Edo, che aveva incautamente ingoiato un ago. Quando Saijun giunse sulla scena, quindi, gli diede il talismano da trangugiare con un generoso sorso d’acqua, gesto a seguito del quale la donna fu subito colta dalle convulsioni. Rigettando quindi il sacro oggetto, fu stupita di trovarlo miracolosamente trafitto dall’ago stesso, che in questo era stato rimosso dalla sua trachea.
Nella celebrazione del fuoco di Kurama le torce, dette kagaribi, sono in numero notevolmente superiore a quelle di Hirogawara, al punto di ricoprire letteralmente la singola strada di cui questo piccolo paese si compone. La loro preparazione richiede un intero mese di lavoro, ricavato con sommo senso del dovere tra gli altri impegni del periodo rilevante. La festa ha luogo il 22 di ottobre, trovando un’atipica collocazione invernale, e consiste nel portare in processione questi oggetti fiammeggianti, che vengono dimensionati in base a chi dovrà trasportarli. Così, i bambini ricevono piccoli bastoni fiammeggianti, mentre i loro genitori, occasionalmente, fiammeggianti attrezzi del peso di fino a 80 Kg per 5 metri di lunghezza, che sollevano faticosamente gridando la frase tradizionale: “saireya sairyo” (auguri, auguri per la festa!) Nel gran finale, le famiglie espongono lungo il sentiero i loro tesori ereditari, mentre dal tempio di Yuki Myojin, un protettore della corte imperiale, vengono portati in processione due mikoshi, i santuari portatili della divinità. In un’apoteosi finale, tutti si congratulano per il lavoro ben fatto, mentre Izanagi stesso, dal suo palazzo nel cielo, annuisce la sua approvazione.

Daimonji

Ma forse il più famoso uso del fuoco in una festa di Kyoto, spesso mostrato nei film di genere o all’interno di manga e cartoni animati, resta l’evento annuale del Gozan no Okuribi, che consiste nell’accensione di un grande numero di falò su cinque montagne circostanti la capitale: Daimonji, Nishiyama, Funayama, Hidaridaimonji e Mandara, posti in configurazioni tali da raffigurare rispettivamente il carattere Dai (grande) la dicitura Myoho che significa “magnifico insegnamento” (del Buddha, ovviamente) la figura di una barca, di nuovo il Dai e infine l’immagine di un torii (portale del tempio). Il rituale si svolge il 16 di agosto, come culmine finale dei tre giorni della festa buddhista di Obon, che ha lo scopo di commemorare ed aiutare nel trapasso le anime dei defunti. L’opera di accensione e mantenimento dei fuochi viene condotta da famiglie tradizionalmente associate a questo compito, che ne tramandano le metodologie fin dall’origine di questa festa millenaria. In questo particolare caso, tuttavia, lo scopo del rituale non appare finalizzato alla protezione cittadina, quanto piuttosto ad onorare la creazione stessa in quanto tale, godendo della sua naturale grazie a bellezza imperitura. Come avrebbe voluto fare, eternamente, il sommo dio Izanagi.
La cui storia, ovviamente, non si esaurisce con la punizione del neonato Kagutsuchi. Perché lungi dal perdersi d’animo, la spada ancora saldamente stretta nel suo pugno, il sovrano decise allora di recarsi nell’adilà, per riprendersi l’anima della sua amata. Se non che incontrandola finalmente nel mondo sotterraneo, non la trovò già mostruosa e decomposta, ricoperta dagli insetti ed altri mostri brulicanti: “Mio amato, portami con te, salvami!” Ma lui, disubbidendo all’usanza, diede fuoco a un dente del suo pettine, che aveva rimosso dall’acconciatura. Così facendo, vide l’orribile realtà, quando la donna magnifica che ricordava fosse stata ormai corrotta dalla morte. Così, si rifiutò. Quindi la dea, ormai disperata e prossima alla follia, lo maledisse: “Da quest’oggi, per punirti, ogni giorno ucciderò mille creature di quel mondo che tu hai tanto faticosamente creato!” Al che lui rispose, fieramente: “Allora vorrà dire che a partire da ogni alba e prima del tramonto, io ne creerò 1.500!” Al ritorno dalla fallimentare spedizione, quindi, Izanagi si lavò tristemente il volto, per purificarsi. Fu allora che dal suo occhio sinistro nacque Amaterasu, la dea del Sole. Da quello destro Tsukiyomi, il dio della Luna. E dal naso scaturì Susanoo, il terribile fanciullo delle tempeste, che avrebbe imperversato per la terra del Giappone con la spada e con la lancia, negli innumerevoli secoli a venire. E così, anno dopo anno, Kyoto bruciava. Ma dalle ceneri, ogni volta, rinasceva. Più grande. Più magnifica di prima…

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