La pesante minaccia delle àncore impazzite

Anchors lost

La mia pietra, una colonna, il grande, stabile pilastro di sostegno. Mentre soffia il vento e scorre il fiume, se il tempo passa assieme ai presupposti di staticità, quando impazzano le brezze della Tramontana e del Maestrale, se neanche più le fronde sembrano una sicurezza. tanto gli alberi si piegano dinnanzi al vento e alla natura. Proprio allora quella grande nave che è nel porto, tranquillamente, giace. È questa, un’assenza di movimento che difficilmente può essere spiegata, tranne che attraverso una pericolosa presa di coscienza: sono 50.000, 80.000 tonnellate, che non si smuovono soltanto per l’effetto di una lunga e solida catena. Legame il quale dalla prua di un simile natante, correndo in senso perpendicolare, si estende fino ad un arpione dalle dimensioni impressionanti. Quanto pesa, in effetti, un simile dispositivo? Dipende, ma in media, per navi della stazza di questo mercantile che dovrebbe essere greco (la nazionalità è resa palese dalle imprecazioni) stiamo parlando di 20 tonnellate, soltanto per la testa acuminata, e 5 aggiuntive per ciascuno shot di catena, una misura internazionale che corrisponde a 15 fathoms, ovvero 30 metri circa. Considerata la lunghezza di quest’ultima, dunque, è possibile stimare la massa complessiva di quanto siamo qui a vedere, diciamo sulle 100, 120 tonnellate. Ora immaginate una sfera da demolizione, così pesante, fatta oscillare all’indirizzo di un palazzo. Oppure un impossibile titano, alto quanto un grattacielo, che un cosa simile la fa oscillare, avanti e indietro, avanti e indietro, cercando di scacciare via un drago di mare. Simili visioni, assai probabilmente, basterebbero a gettare nello sconforto la quasi totale collettività. Allora perché, pensando all’àncora, il primo sentimento che proviamo è un assoluto senso di tranquillità e sicurezza, quasi come se mai nulla potesse andare storto, nell’impiego di questo particolare attrezzo di marina… È una tipica nota del diario di bordo, la conclusione che esonera dalle responsabilità: “Quindi, giunti nel porto di___ gettammo l’àncora, per poi sbarcare.” Eppure, non c’è forse un singolo momento più pericoloso, nella navigazione priva di imprevisti, che quello in cui si effettua tale operazione, di srotolare la più lunga e solida catena che venga forgiata alla stato attuale delle cose. E per rendersene conto, non occorre fare altro che cercare due semplici parole online: la prima è anchor, la seconda, loss.
Sta facendo parlare di se negli ultimi giorni questo inquietante video, riprodotto in almeno due canali di YouTube a partire dallo scorso 22 novembre, in cui si è chiamati a prendere coscienza di cosa possa succedere, a bordo di una nave, nel caso in cui l’equipaggio non sia pienamente a conoscenza di determinate norme operative. Per un incidente che non sembrerebbe avere, in effetti, altra causa che l’errore umano. Tutto inizia in modo relativamente rilassante. C’è un marinaio, in impermeabile giallo ma del tutto privo di abbigliamento di sicurezza (primo errore) che manovra faticosamente un grande argano, dal quale discende la catena detta rode, al termine della quale trova posto lo shackle o gyve, un’asola di metallo, con la forma di una U. Quest’ultima, fermamente saldata all’asse centrale del grosso pezzo di metallo titolare. Ora, effettuare tale operazione non è particolarmente semplice, visto come tutt’ora, persino in questa epoca di alta informatizzazione, nessun tipo di apparecchiatura automatizzata partecipi di tale responsabilità. Occorre quindi dosare attentamente il freno del dispositivo, attraverso l’uso di un pesante sistema a manovella, che avvicina o allontana in base alla necessità le colossali pastiglie necessarie a far fermare un peso simile, spietatamente attratto dalla gravità. Succede così, per ragioni non eccessivamente chiare, che l’uomo faccia compiere al comando un mezzo giro di troppo, senza poi intervenire subito a correggere l’errore. Così la catena inizia a accelerare, inizialmente in modo impercettibile. Quando i due colleghi, che si trovavano sul fondale, si voltano finalmente per il frastuono, è già troppo tardi per fare qualsiasi cosa…

Caos e cacofonia, il rombo di un possente tuono. La catena oscilla e si agita come un serpente, iniziando visibilmente a surriscaldarsi: dalla parte in cui questa viene a contatto con la nave, presso un apposito punto di raccordo, il metallo butta un fumo nero molto preoccupante, tanto che a un certo punto sembra addirittura andare a fuoco. Tra i testimoni presenti alla scena, il più prudente ne approfitta per volatilizzarsi. La sua scelta, forse, può essere considerata la più saggia. Nel frattempo l’altro, con sprezzo del pericolo, corre verso l’argano per aiutare l’uomo con l’impermeabile giallo. Va infatti anche considerato come, un’àncora navale di tale stazza, completa di catena, rappresenti un asset dal valore monetario niente affatto trascurabile: stiamo parlando di almeno 100.000 dollari di acciaio resistente alla ruggine, più altri 20-30 mila di lavorazione. E questo senza entrare nel merito della spesa di trasporto a partire dall’industria metallurgica di partenza (probabilmente sita in Cina) e la delicata operazione di montaggio sull’imbarcazione. Inoltre, qualsiasi autorità portuale in un caso simile esige il recupero dell’àncora da parte della compagnia di trasporto, poiché questa potrebbe in seguito causare problemi a chi tentasse un simile approdo, aggrovigliandosi con una seconda catena. Il che significa altre considerevoli spese, per l’assunzione di una compagnia specializzata di recupero, che porti a galla il ponderoso quibus tramite l’impiego di sistemi di galleggiamento ad aria. Quindi, per queste ad altre ottime ragioni, l’equipaggio di alcune navi sembrerebbe pronto a fare di tutto, pur di impedire il verificarsi di una tale problematica situazione, persino mettere a rischio la propria incolumità personale. Basti vedere, ad esempio, questo famoso video girato a bordo della nave da assalto anfibio militare statunitense, la USS Taralwa, in cui nel 2011 si verificò una situazione simile a quella del mercantile greco:

Anchors lost 2
“Quando la catena si srotola fino allo shot giallo, inizia a correre. Se vedi rosso, lascia stare. Omae-wa mou shindeiru: Sei già morto.”

L’intera sequenza, in questo caso, appare ancora più apocalittica, complice il fatto che il sistema di manovra e recupero dell’àncora si trova in un compartimento chiuso, adibito esclusivamente a tale funzionalità. Stando a quanto viene riportato nei commenti di YouTube, da un uomo estremamente informato di nome Garry Hall, il quale si presenta come ufficiale a bordo della nave al verificarsi dell’incidente, in questo caso la ragione scatenante (in più di un senso) fu l’imprevisto verificarsi di un blocco momentaneo, dovuto all’impuntarsi di un anello sul bordo del foro verticale di passaggio. A questo punto, la procedura corretta sarebbe stata contattare il ponte, per far muovere la nave di quel tanto necessario a disincastrare le cose. Successe tuttavia, per una mancanza di preparazione, che gli addetti decisero di rilasciare totalmente il freno dell’àncora, causando il verificarsi di una situazione simile a quella del mercantile d’apertura. In breve tempo, le 120 tonnellate di cui sopra erano diventate come un treno in corsa, generando fumo e rabbiose scintille nella sala, oltre al panico tra i presenti. Tutti tranne un paio, che esattamente come nell’altro caso, accorsero nel tentativo di fermare quella folle corsa, girando faticosamente la manopola del freno. E in un primo momento, sembravano persino riuscirci, mentre la catena rallentava visibilmente; se non che, nel giro di pochi secondi, l’intera pastiglia si esaurisce a causa dell’attrito, e tutto quello che resta è correre a perdifiato verso la porta d’ingresso. Ciò perché in passato, il verificarsi di una simile situazione poteva facilmente causare gravi danni all’intera prua di una nave, portandola letteralmente a frantumarsi per l’effetto dell’inerzia accumulata, al momento in cui la catena raggiungeva la sua massima estensione. Questo prima che qualcuno, molto intelligentemente, concepisse l’utile funzione dell’anello debole, quello finale collegato al bit (la struttura di supporto collegata allo scafo) sufficientemente solido da resistere durante tutte le comuni manovre. Ma non abbastanza da farlo follemente, nel caso di imprevisti come questo; da cui l’espressione dialettale, particolarmente celebre in tutti i paesi anglosassoni, di to the bitter end (un doppio senso tra: giunti all’amara fine/giunti all’anello del bit).

Chainmakers
La fabbricazione delle catene navali è un processo molto importante per l’economia globalizzata, che viene generalmente portato avanti da stabilimenti operativi esclusivamente in tale ramo. Questo video di presentazione della Asian Star Anchor Chain di Jiangsu ci spiega come i loro prodotti rispondano al 40% della richiesta mondiale, con un primato che il pone al primo posto tra i loro competitor diretti.

Alla fine, ad ogni modo, gli esiti sono diversi. Nel caso della nave americana, che in quel momento si trovava presso l’affollato porto di Hong Kong, fu necessario calare l’àncora di riserva in attesa dell’arrivo di un rimpiazzo, mentre del fato dei responsabili, purtroppo, non ci è data notizia. Oggi il video è un caposaldo dell’addestramento per chi di dovere, usato per mostrare ai cadetti una delle cose che mai, in nessun caso, si dovrebbe fare mentre ci si trova per mare: deviare dalle procedure comprovate. Per quanto concerne invece il mercantile greco, allo stato attuale dei fatti non ci sono notizie più specifiche, quali il dove, il come e il perché. Forse l’unico accenno di un epilogo all’intera spiacevole vicenda, si può trovare nel grido che si sente sul finale, di un collega che grida con accento indefinibile: “Malakas!” Ovvero: “[per la] masturbazione!” Una parola che potrebbe dirsi forse la più versatile della lingua greca, in grado d’indicare, a seconda dei casi, rabbia, entusiasmo, empatia, un senso di assoluto orrore… In effetti, non c’è niente di più linguisticamente sofisticato che un’imprecazione tale, che soltanto i disinformati potrebbero considerare meramente volgare. Come avviene per determinate parole della lingua italiana, il M. può diventare un appellativo, da riferirsi a una persona particolarmente invìsa per quello che ha fatto oppure sta per fare. Il sociolinguista James D. Fabion descrisse approfonditamente, nelle sue ricerche, il concetto aleatorio di un’ipotetica persona a cui venissero attribuite le specifiche caratteristiche del cosiddetto malakas, tra cui la goffagine, l’impreparazione, l’insicurezza.
Soprattutto l’impossibilità di pronunciare, di rimando, la stessa parola all’indirizzo del suo accusatore. A meno di voler finire a sua volta fuoribordo, in un’improvvisazione della prima fase delle operazioni di recupero dell’àncora, improvvidamente scaricata.

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