Un bicchierino sopra il tavolo, due guanti bianchi, quella che sembrerebbe a tutti gli effetti una comune anguilla. Sembrerebbe! Perché in poco tempo, lo scienziato inizia una curiosa procedura che basta a denunciarne la natura fuori dal comune. Sul fianco dell’animale, che ci viene assicurato essere stato solamente addormentato, viene inflitta una leggera scarica elettricità, sufficiente a stimolare alcune ghiandole invisibili da questa angolazione. Quindi, con una piccola spatola di metallo, se ne raccoglie il frutto totalmente trasparente: alcuni grammi di una sostanza perfettamente trasparente, la potente secrezione difensiva di questa creatura. Il cui utilizzo deputato, nel presente caso, diviene presto chiaro. Quando l’attrezzo viene immerso in un bicchiere, sottoponendo la mistura risultante ad un’energica miscelatura. Poco dopo, quello che era liquido, diviene denso, e cola verso il basso, in un modo che potrebbe facilmente lasciarvi basiti…
Ci sono più cose in cielo e in terra…Che camminano, strisciano, battono le ali. Ma se quelle sono infiniti miliardi, allora che dire delle bestie che si spostano tra luci ed ombre, sopra l’onde e dentro i flutti delle acquatiche profondità? Dove il rapporto tra le dimensioni e la capacità d’imporsi è spesso trascurabile, tra le armi evolutive più sofisticate ed efficaci. Perché se dovessimo partire all’interno di uno scafo sommergibile, con apertura panoramica su tutti i lati, per una discesa verso il ripido fondale, ciò che passa innanzi ai nostri stessi occhi basterebbe a comprendere quella marcia senza posa, che dall’uovo primordiale ci ha condotti a…Pesci dalle ali argentee, che rimbalzano leggiadri verso l’orizzonte. Mentre poco sotto, i caranghi carnivori della zona superficiale guizzano nervosi, riorientando i grossi bulbi verso le possibili fonti di cibo. E ancora oltre, dove i raggi della luce iniziano a farsi più radi, meduse a profusione, del tutto immobili e insensibili, essere non-vivi ma certamente neanche morti, le cui cellule tossiche, i nematocisti, bastano a scoraggiare tutti i predatori tranne quelli più determinati. Un delfino tra le ombre, soffiando il suo richiamo, delicatamente si avvicina, apre la bocca e ne risucchia una. Sembra sorridere, come se fosse l’unico a conoscere un segreto. Ma non è tempo di fermarsi ad indagare, mentre già la struttura di metallo sommergibile inizia a scricchiolare, per l’aumento costante della terribile pressione. Ancora più giù, tra gli squali della zona mesopelagica, possenti nuotatori, creature prive di uno scheletro nel senso più comune, perché provenienti da una diversa pagina del nostro grande libro. Questi pesci cartilaginei, dalla doppia fila di denti estremamente acuminati, del tutto indifferenti ai capodogli che percorrono le alterne correnti, e polipi giganti, e colossali calamari… E ancora non ci siamo, perché più giù, più giù dobbiamo andare. Sotto i 1.000 metri, nel buio ormai pressoché totale, dove inizia la zona batipelagica dei pesci granatieri (Macrouridae) la coda lunga e serpeggiante, con chemiorecettori lungo i fianchi, sotto la pelle pallida e malsana, a fare da strumenti per trovare la precisa via risolutiva di giornata. Altre creature, adottano diverse strategie: qui ancora si spingono, talvolta, i grossi tonni obesi (T. obesus), esploratori trasversali degli ambienti circostanti, privi del concetto di un confine tanto arbitrario, limitatamente verticale. Ma persino i loro grandi occhi, qui sotto, servono davvero a poco. D’un tratto, il nostro batiscafo appare stranamente silenzioso. Verso i 2.000 metri, nulla pare muoversi, e anche quelle poche creature che persistono nel vagheggiare, lo fanno in modo estremamente cauto. Se dovessimo trovarci presso una regione davvero profonda dell’oceano, da qui partirebbe la zona abissopelagica, mistico appannaggio delle occulte rane pescatrici, oltre ad organismi la cui logica ci sfugge ancora largamente. Ma ecco che le nostre luci, d’improvviso, incontrano il fondale! Dove nonostante l’opprimente oscurità degli altri giorni, serpeggianti cose hanno il metodo di prosperare. E quelle cose sono i missinoidi, simili ad anguille, spazzini simili alla lampreda, ma con almeno una freccia speciale al proprio arco. Estremamente appiccicosa.
Li chiamano, in inglese, hagfish, dalla parola idiomatica che si usa per riferirsi ad una donna anziana ed esteticamente poco attraente, generalmente dedita alla pratica del maleficio sovrannaturale. Ora, non mi è particolarmente chiara l’origine di questa associazione. Né del resto, la comune classificazione scientifica sa esattamente cosa sia, questo fluttuante slimer del profondo. Sono molti anni ormai, che la letteratura scientifica presenta la famiglia dei Myxiniformes (questo il loro appellativo in latino) in associazione con una problematica diatriba, che li vedrebbe alternativamente come una via di mezzo tra gli invertebrati e gli gnatostomi (creature vertebrate con mandibola) oppure una forma degenerata di animale più complesso, in cui in qualche momento, per ragioni largamente ignote, la colonna vertebrale ha smesso di avere una funzione, atrofizzandosi sul giro delle alterne generazioni. Qualcuno, questo problema l’ha risolto sulla carta in modo drastico: creando un sotto-phylum dei cordati definito craniata o craniota, in cui è presente si un teschio, ma del tutto scollegato dal resto dello scheletro della creatura. L’unico membro di questa categoria, ovviamente, sarebbe proprio il pesce strega.
Una creatura sopratutto nota agli utilizzatori delle reti a strascico, dal Pacifico all’Atlantico, per l’abitudine piuttosto problematica di attaccare il pescato, prima che questo possa essere trascinato in superficie. Non è mai stato insolito, al momento della verità, trovarsi di fronte a un intero carico portato a bordo, in cui ciascun singolo pesce è stato mangiucchiato e reso invendibile durante la lunga risalita, mediante l’impiego insistente delle strane placche dentate di queste anguille del profondo. Alternative al concetto di “denti” che si muovono in maniera trasversale destra-sinistra, invece che chiudersi in sovrapposizione, così come avviene per il già citato parente più prossimo di questo pesce, la lampreda. La quale, dal canto suo, si accontenta di attaccarsi alla pelle di pesci più grandi, per succhiarne lentamente il sangue. Mentre lo strega, più vorace, preferisce percorrere attivamente il territorio, alla ricerca di pranzetti d’occasione. Noto soprattutto come spazzino, divoratore al massimo di vermi policheti, si è in tempi più recenti scoperto essere anche in grado di catturare anche prede dall’alta mobilità, come granchi, cefalopodi, persino piccoli squali. Considerate che la specie più grande di questo pesce, l’Eptatretus goliath della Nuova Zelanda, può raggiungere anche i 127 cm di lunghezza. Ma l’abitudine alimentare a cui resta maggiormente legato, negli studi scientifici come nella cultura popolare, è il consumo delle carcasse di balena. È risaputa in effetti la sua abitudine, raffinata dalla molta pratica pregressa, di perforare la pelle del titano defunto, entrando al suo interno per mangiarne le interiora. Un branco di questi pesci, che può essere composto da innumerevoli esemplari, può sopraggiungere sul luogo dell’evento e fare un pasto completo entrando da un singolo pertugio, lasciando l’esterno della balena totalmente immutato.
La funzione esatta del muco prodotto dall’organismo del pesce strega è rimasto per lungo tempo un mistero. Naturalmente, abbondavano le teorie, tra cui questa finalmente dimostrata nel 2011, da un gruppo di scienziati della University of Massey in Nuova Zelanda, secondo cui doveva necessariamente trattarsi di uno strumento di autodifesa. L’esperimento condotto più volte dal team di studio è consistito nel preparare un’esca collegata ad un veicolo a comando remoto dotato di telecamera, inviata fino a diversi tratti di mare abitati dai pesci strega della specie Eptatretus cirrhatus, tra le più diffuse del territorio d’Oceania. Dopo breve tempo, come previsto, ha iniziato a verificarsi la scena di questi ultimi che si avvicinavano, alla ricerca di un pasto tanto fortunato. Una missione in cui, naturalmente, non erano del tutto soli. In un caso gli strega erano stati seguiti da un grosso Genypterus blacodes (anguilla delle profondità) mentre in altri, da varie specie di squali decisamente più imponenti di loro. E ogni volta, come da copione, il pesce grosso mordeva quello piccolo, così come ogni volta, contrariamente alle aspettative, dopo un secondo lo lasciava, per nuotare verso prede più attraenti. Questo perché la presunta vittima, alla prima pressione dei denti nemici, aveva liberato con un riflesso automatico i suoi pochi grammi di muco filamentoso, in grado di espandersi in acqua creando fino a 20 litri di sostanza gelatinosa, talmente densa da intasare le branchie di qualsiasi predatore. Così, a meno di voler soffocare, nessun pesce può decidere “stasera mangio missinoidi” come invece talvolta fanno i mammiferi marini o i polpi dotati di sistemi alternativi di respirazione, nel cui stomaco queste creature sono state occasionalmente ritrovate. È importante notare come, diversamente da quanto avviene con l’inchiostro della seppia, il rilascio di questo muco venga effettuato senza nessun tipo di intenzione conscia da parte del pesce, che spesso, dopo aver subito l’attacco, continua a nutrirsi in modo totalmente indisturbato. Non ha nemmeno bisogno di guardarsi intorno.
Ma le sorprese, in tale missione di ricerca, non finirono lì: in un secondo video, anch’esso disponibile su YouTube, il pesce strega viene mostrato mentre si impegna in un particolare comportamento di caccia. Alcuni esemplari, in quel caso, ignorando completamente l’esca, decidevano invece di setacciare il fondale, alla ricerca di un particolare foro nella sabbia, abitato dal piccolo pesce Cepola haastii. Una volta trovatolo, quindi, gli strega vi infilavano la testa, iniziando ad agitare la coda ed annodarsi in una caratteristica posizione. Quindi, dopo aver aspettato alcuni minuti, tiravano fuori la vittima, già morta. È stato ipotizzato che in quel caso i pesci stessero inondando di muco la tana, soffocando la propria vittima prima di divorarla. Ciò costituirebbe la dimostrazione che il loro strumento difensivo possa essere impiegato anche nella caccia, rendendolo, se possibile, ancora più inquietante.
Nel frattempo, sono state compiute diverse ricerche in merito alle possibili applicazioni di questo particolare fluido, tra cui quella da cui proveniva il video di apertura, l’opera di Nimrod Levy del Dipartimento di Zoologia dell’Università della British Columbia, in Canada. Il suo team di ricerca, capitanato dal Prof. Douglas S. Fudge, si sta occupando negli ultimi anni nella dimostrazione di come i filamenti che lo compongono potrebbero teoricamente trovare l’impiego per la creazione di un nuovo tipo di tessuti, alla stessa maniera di quelle della tela dei ragni. Le fibre che lo compongono sono infatti lunghe fino a 15 cm, estremamente flessibili e più sottili di un micron, ovvero molto meno di un capello umano. Le possibilità sono letteralmente infinite, e vanno ben oltre la creazione dei classici portafogli in “pelle d’anguilla” che talvolta vengono realizzati anche con quella del pesce strega. E occorrerà citare, in ultima analisi, una particolare funzione commerciale di queste creature che vi apparirà, forse, particolarmente sorprendente: nella cucina coreana e giapponese, il loro muco viene incluso in diversi piatti regionali, con funzioni gastronomiche paragonabili al bianco d’uovo. Il che, dopo tutto, è comprensibile: in condizioni ideali, se il pesce non ha subito un trauma o uno spavento, il prodotto appiccicoso risulta inodore, trasparente e quasi del tutto insapore. In condizioni meno ideali, invece, la povera creatura tende a rigurgitarvi dentro il proprio pranzo marcescente…