Un rifugio atomico ricavato da 42 scuolabus

Ark Two

Per qualche ragione, il portone metallico di un verde brillante tra l’erba delle ariose colline, scrostato e arrugginito in buona parte della sua estensione, non ha un aspetto estremamente tranquillizzante. Il suo costruttore, del resto, di problemi con le istituzioni ne ha avuti diversi, nel continuo ripetersi di un ciclo particolarmente fastidioso: i giornali locali, in cerca di una nozione che in qualsivoglia modo possa far notizia, ogni anno pubblicano un breve articolo sulla vasta cattedrale sotterranea. E subito intervengono i pompieri, o la polizia: “È un rischio per tutte le persone coinvolte. Potrebbe andare a fuoco.” Oppure: “L’umidità all’interno del rifugio risulta superiore ai valori consigliati. Ogni volta che fa entrare qualcuno là dentro, le persone potrebbero ammalarsi.” E basta fare un primo passo oltre la soglia, nel buio dal soffitto a botte ricoperto di cemento, perché insorga il primo vago senso di claustrofobia. Queste non sono stanze, é ovvio, dal soffitto particolarmente alto. I sedili sono stati tolti, ma ciascun ambiente appare ancora per ciò che realmente è: un veicolo per trasportare le persone, a cui sono state tolte le ruote, i sedili, la luce del Sole. L’aria è appena sufficiente. Mentre l’aspetto complessivo degli arredi è proprio quello che ti aspetteresti da un luogo costruito almeno 30 anni fa, poi soggetto a occasionali interventi di manutenzione. In un ambiente di 3.000 metri quadri sottoterra, senza i sofisticati impianti di ventilazione e deumidificazione di un vero bunker a uso militare, tutte le cose mobili saranno irrimediabilmente soggette a certe problematiche ambientali di fondo. Sufficienti a corrodere e scrostare, distruggere, ben prima che si giunga all’utilizzo. Sempre fissato per circa due anni da ora, due anni da questo preciso momento…
Si è propensi, pensando alla figura biblica del patriarca Noè, a considerare quell’uomo come illuminato, letteralmente e figurativamente, da uno stato di sapienza superiore. Poiché colui che nella Genesi viene definito in grado di “camminare col Signore” e aveva da Egli ricevuto il compito di trarre in salvo gli animali dal diluvio, a coppie pronte alla riproduzione, era l’unico a conoscere la verità. Non è certo un caso se viene sempre data grande rilevanza, nelle versioni didascaliche del racconto, al difficile periodo di costruzione dell’arca, quando i suoi vicini e conoscenti scrutavano un simile architetto marittimo con diffidenza, riprendendolo più volte per l’assurdità della sua impresa. “Una nave, nel deserto?” Certo. Perché altrove, già ce n’erano abbastanza. Persino, troppe. Ed è questo, in prima ed ultima analisi, il fondamentale paradosso delle ultime generazioni: noi che viviamo in un’era di incertezze su scala globale, in bilico su numerose linee zero di confine ed una complessa rete di equilibri tra superpotenze, diversamente dai viventi di quell’epoca crediamo fermamente nell’imminenza della fine: poiché la tratteggiamo e paventiamo, pressoché, dovunque. Nei nostri romanzi, al cinema, in televisione. Persino, quando ci fa comodo, in pubblicità. Se oggi qualcuno dovesse giungere dinnanzi a noi, con la verità (presunta) rivelata di un’imminente catastrofe o diluvio, non ci sono dubbi: in molti si prenderebbero gioco di lui. Ma prontamente, un numero pari o superiore d’individui correrebbero a offrirgli supporto, ritrovandosi coinvolti in più o meno valide attività improntate alla sopravvivenza della specie. Il che, in coloro che sono dotati di una quella particolare inclinazione personale, crea un terribile senso di responsabilità. Chi potrà mai essere, il prossimo sovrano patriarca? Chi manterrà orientato il rigido timone di un difficile avvenire? Chi penserà alle prossime generazioni, oltre l’egoismo della società cosiddetta civile…Molti sono i candidati, ben pochi i suggerimenti provenienti da Là sopra. Come in fondo, fu anche allora per volere di coLui. L’unica possibilità di salvarsi diventa, quindi, giudicare sull’impronta dell’effettiva produzione pratica, osservare ciò che simili figure hanno saputo costruire, attraverso gli anni, per offrire una remota via di scampo all’impreparata collettività. Vedi ad esempio Bruce Beach della cittadina di Horning’s Mills, sita a qualche chilometro da Toronto, nell’Ontario canadese; quest’uomo, professore di scienze informatiche, ex-militare, autore saggista e filosofo, che realizzò a partire dalla metà degli anni ’80 una sua particolare visione, per quello che lui definisce un “orfanotrofio sotterraneo per salvare la prossima generazione dalle bombe” contando unicamente sulle proprie risorse finanziarie e la capacità dialettica di coinvolgimento della popolazione locale che parrebbe, almeno a giudicare dai suoi video, decisamente superiore alla media. Il nome di questa apparente follia: Arca Due. Credo che le implicazioni siano chiare….


Il racconto ha un’origine, remota e nebulosa, con Mr. Beach che si trasferisce in questi luoghi dopo un lungo periodo trascorso ad insegnare nelle “università per persone di colore” (una vecchia tradizione) dei suoi Stati Uniti d’origine, i ricordi della breve carriera militare ormai lontani, eppure sempre vividi nella memoria. Uomo aperto alle ideologie più diverse, simpatizzante buddhista Zen, con trascorsi da mormone ma anche un devoto seguace della fede Baha’i di origine persiana, presso il cui tempio in Illinois conobbe l’amata moglie Jean, Bruce a quel punto già possedeva nozioni avanzate d’ingegneria, sapeva calcolare i presupposti strutturali e i carichi architettonici, conosceva il modo per costruire una ricetrasmittente radio (per un anno era stato l’unico responsabile di un radiofaro sito nel Circolo polare artico) e soprattutto, credeva fermamente nell’incombenza del collasso geopolitico totale, che avrebbe condotto alla sempre temuta terza guerra mondiale. Questione niente affatto difficile da comprendere, all’ombra della crisi dei missili cubani del 1962. Questo ed altri eventi lo portarono probabilmente a gravitare, come numerosi altri americani della sua generazione, verso il movimento del survivalismo, anche detto prepping, che consisteva nell’implementazione di una serie altamente variabile di misure di sicurezza, a cui ricorrere nel caso in cui finisse per verificarsi l’evento tanto a lungo paventato. Il suo approccio fu al tempo stesso estremamente originale, potenzialmente risolutivo: costruire il più grande bunker privato al mondo, un primato che ancora detiene, a circa 30 anni di distanza dalla sua inaugurazione.

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Beach è una figura piuttosto rinomata nella sua regione operativa, spesso intervistata dai giornali e dalla Tv. In precedenza, è stato intervistato dal National Geographic ed ha anche partecipato a diversi programmi sul tema del survivalismo. In questo breve e recente video per il Toronto Star, gli viene data l’opportunità di perorare la sua causa di fronte alla polizia locale, che minacciava ancora una volta di chiudergli il rifugio.

Nonostante quanto detto fino ad ora, è importante notare come Beach non ami particolarmente il termine di prepper. Lui si considera, piuttosto, un reconstructionist, ovvero un devoto sostenitore di metodi che consentano, a seguito della catastrofe, di rimettere in piedi la società. Proprio per questo, un punto cardine dell’Arca Due è il suo essere stata costruita interamente a misura a bambino, con alcune ali dotate di brande sovrapposte sufficienti ad ospitare un totale di 250 persone sotto l’età dei cinque anni. Nella sua idea, quindi, il rifugio dovrà essere impiegato a seguito di una ricaduta radioattiva sull’intero continente nordamericano (il famoso fallout) che potrebbe durare, nel periodo successivo alla guerra più breve e devastante nella storia dell’uomo, per un tempo variabile tra una settimana e diversi mesi. Onde massimizzare la quantità di bambini ospitabili, nel manuale di utilizzo del rifugio è stato incluso un modus operandi che dovrà prevedere lo scaglionamento delle ore di sonno dei suoi piccoli occupanti, come di fatto avviene nei sommergibili, raddoppiando la capienza complessiva, per un totale di 500 vite, potenzialmente, salvate. E non soltanto grazie ai buoni sentimenti, visto come il complesso sotterraneo sia dotato del necessario a sopravvivere per tutto il tempo necessario, con acqua corrente scollegata dalla rete, contenuta in un camion-serbatoio per il latte dismesso, parcheggiato vicino alla strada statale sovrastante. Due cucine professionali da caserma, in caso di necessità, potranno dimostrarsi in grado di produrre pasti giornalieri per fino a 3.000 persone. E naturalmente, non mancano le provviste, accumulate nei lunghi anni successivi all’inaugurazione del rifugio. Nel giro dimostrativo organizzato per Kool Buildings, mostrato in apertura, il padrone di casa mostra alle telecamere le sue dispense cariche di barattoli dei tipi più diversi e alcune taniche di miele, un cibo che come è noto, non ha data di scadenza. Vengono inoltre mostrati i bagni dotati di fossa settica di nuovo indipendente, all’interno dei quali si rileva il passaggio di un topo di campagna: “I serpenti non stanno facendo il loro dovere!” Scherza lui, prima di proseguire verso la “camera di privazione sensoriale” una stanza che può essere riempita di acqua a temperatura ambiente, e allietata da musiche rilassante di vario tipo. Il suo utilizzo sarebbe riservato, nei momenti più difficili della catastrofe, agli ospiti del rifugio colpiti da improvvisi attacchi di panico. Tra le altre risorse del bunker, citate nell’episodio rilevante del programma americano Doomsday Preppers, vanno annoverati un sistema di ventilazione, purtroppo privo di filtraggio di eventuali scorie radioattive, inventato da Beach stesso, basato su una serie di buste per la spazzatura collegate a un condizionatore; una pallone aerostatico per la trasmissione radio AM, da utilizzare per contattare eventuali altri sopravvissuti; dispense per lo stoccaggio e disidratazione della frutta, in grado d’incrementarne la durata nel tempo. Nel progetto originario, Arca Due sarebbe stato dotato anche di strutture mediche per curare gli effetti delle radiazioni e una vera e propria sala operatoria, ma questa visione non si è mai realizzata. Nel caso di un futuro utilizzo, sarà necessario accontentarsi di una sala di decontaminazione, costituita da una vasca da bagno e alcune docce.

Us Bunker Condo
Allo spettro diametralmente opposto della costruzione di rifugi antiatomici, potrebbe collocarsi il bunker missilistico di Cincinnati-Dayton, trasformato dal facoltoso Edward Peden, negli anni ’80, in un appartamento dotato di ogni comfort. L’intento, in questo caso, appare più votato alla visione classica del survivalismo individuale.

Ma sarebbe fin troppo facile, a tanti anni dal suo completamento, criticare l’essenziale e semplice rifugio di Bruce Beach. I suoi 42 autobus (un numero biblico ricorrente, che indica un nuovo inizio. Sarà un caso?) pur non essendo la migliora risorsa immaginabile, potrebbero comunque considerarsi utili a rinchiudersi per un tempo medio fuori dall’ambiente naturale, ormai contaminato. Il che, sostanzialmente, basterebbe ad aumentare in modo sensibile le possibilità di sopravvivenza dei suoi occupanti. Il fatto poi che un tale bunker sia stato dichiaratamente concepito per il bene collettivo e non soltanto quello personale, con tanto di mansioni di distribuzione alla popolazione di provviste, dosimetri radioattivi e contatori Geiger, è la dimostrazione di un intento benevolo di fondo. L’apparente degrado costruttivo, inoltre, non dovrebbe scoraggiarci. Il proprietario, come si confaceva ai migliori patriarchi del passato, si è rivelato estremamente prolifico, tanto da vantare sul suo sito Internet Webpal.org (che sembra perfettamente conforme agli standard produttivi degli anni ’90) una discendenza di oltre 40 tra figli e nipoti. Alcuni dei quali, come è stato mostrato nei programmi Tv sul personaggio, hanno raccolto la torcia della ricostruzione, assieme a nozioni specifiche sull’utilizzo del rifugio. La famiglia Beach, negli ultimi vent’anni, si è inoltre interessata alla divulgazione dei valori che hanno portato alla costruzione di Arca Due, con lo stesso Bruce che ha contribuito direttamente alla progettazione, secondo quanto riportato, di numerosi altri rifugi in giro per il mondo.
È davvero difficile fare una stima effettiva di quanti, tra i nostri colleghi del consorzio umano, abbiano percorso una simile strada di esser pronti a tutto, nell’ottica di un’imminente guerra nucleare. Ma credo che nel caso, se davvero ce ne fosse mai bisogno, la collettività potrebbe rivelarsi più preparata di quanto si tenda a pensare. Ciò detto, speriamo tutto si riveli totalmente inutile, alla fine.

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