Dopo un certo tempo trascorso oltre la soglia dell’inferno che cammina su se stesso, si imparano a conoscerne determinati segni. “Attenti la sotto, cade!” Pare quasi di sentirlo, il prof. Donald McFarlane del McKenna College, mentre indica un particolare punto della volta bitorzoluta, da cui provengono gracchianti scricchiolii. Siamo all’imminenza di una frana, ma del tutto diversa da quella che potreste aspettarvi: perché ciò che sta per staccarsi e precipitare a terra, non è semplice pietra o terra, ma un vero e proprio iceberg di guano rappreso, che da ormai da settimane andava ingrossandosi per l’opera dei principali abitanti locali, diavoli con le ali e le orecchie da topo. L’equipe dei suoi sette colleghi ed aiutanti, gli unici abbastanza coraggiosi da seguirlo in una simile avventura, a un tale grido già sanno perfettamente cosa fare. Come un sol uomo, tutti quanti indossano le mascherine, per non respirare l’aria fetida della caverna. La quale pare d’un tratto totalmente immobile, come nella quiete che precede la tempesta. Quindi, inesorabilmente attratto dalla forza gravitazionale, il pezzo cade, disfacendosi in un’orrida marea di pulviscolo grigiastro. Con un suono che potremmo ragionevolmente rappresentare con la dicitura “BLOP!” Ma il peggio doveva ancora venire. Perché di lì a poco, attratti dal rumore a loro estremamente noto, gli eserciti degli artropodi si risvegliano dal costante strato di torpore, e iniziano a marciare disordinatamente verso il luogo del banchetto d’occasione. Il cumulo di escrementi, dopo appena una ventina di secondi, è stato totalmente ricoperto. Così inizia, nuovamente, il suo percorso verso il riciclo. Ben presto, sparirà del tutto.
Le caverne di Gomantong nell’area di Kinabatangan in Borneo, vicino alla città di Sandakan, sono uno di quei luoghi che, per quanto unici al mondo, potrebbero sembrare più adatti ad un’approfondimento da distanza di sicurezza, che alla visita in prima persona, durante un viaggio di scoperta e di avventura. La ragione è facilmente comprensibile da un singolo attributo di questo vasto complesso sotterraneo, egualmente composto di monumentali atri e oscuri corridoi, ma soprattutto, più di ogni altro recesso insolito del mondo, totalmente ed innegabilmente vivo. C’è un frastuono che rimbomba di continuo, composto dallo squittire sovrapposto di centinaia di migliaia di pipistrelli di giorno, altrettante rondini di notte. E poi, le pareti si muovono, il pavimento si muove, tutto turbina in inesorabili volute, attorno all’ultima fonte di cibo rivelatasi a un tappeto senza fine di creature. Per citare il video, del resto, questo singolare ecosistema è noto anche con il nome di “caverna degli scarafaggi”. Ma si può considerare una chiave di lettura alquanto originale, questa offerta dal National Geographic del presente luogo, generalmente noto all’opinione pubblica internazionale per il suo essere una fonte inesauribile di nidi di rondine commestibile, un cibo particolarmente pregevole secondo la cultura culinaria cinese. Come tutti i recessi del pianeta totalmente in mano alla natura, Gomantong potrà sembrarci inospitale, pericolosa, persino a volte ripugnante. Ed è proprio per questo, come da tipico copione cinematografico, che inestimabili tesori attendono l’individuo che coraggiosamente, per predisposizione personale o missione di vita, si arrischi a sfidare le sue maleodoranti profondità.
Il labirinto sotterraneo in questione si compone in effetti di due caverne sovrapposte, dette Simud Hitam (nera) e Simud Putih (bianca) sulla base del colore del nido delle rondini che abitano in ciascuna delle due, rispettivamente appartenenti alle specie Collocalia maxima e Collocalia fusiphaga. Ed anche se tra le due alternative, il prodotto considerato più desiderabile sia quello dei secondi, dall’aspetto candidi come la neve perché costituiti in maggior parte della pregevole saliva collosa, usata dall’uccello per tenere assieme i detriti costituenti, c’è anche da dire che riuscire a procurarseli, risulta inerentemente più complesso; ciò perché la caverna superiore risulta molto meno accessibile rispetto alla sua controparte terrigena, con passaggi e recessi che presuppongono conoscenze avanzate di speleologia. Ciò detto, in entrambe è altrettanto possibile vedere, tra febbraio-aprile e luglio-settembre, le maestranze locali all’opera, con lunghe scale di rattan, usate per raggiungere le ruvide pareti e i soffitti a cui vengono assicurati questi rifugi da volatili, con la forma di un mezzo guscio di noce, della grandezza di poco superiore a quella di una palla da baseball.
Nell’intero corso dell’anno, invece, qui sopraggiungono i sostenitori di un diverso tipo di turismo, votato alla scoperta dell’ecologia in quanto tale, dei presupposti naturali e del vero volto di un intero regno di animali che noi conosciamo, si, ma soprattutto in via teorica. Tra i più interessati a un simile angolo di studio, inevitabilmente, studiosi di biologia ed etologia, che qui possono sperimentare condizioni rare, in cui le creature non sono più disseminate lungo i 3000 ettari della foresta di Gomantong, ma tutte raccolte, stanza per stanza, in popolazioni numerose quanto unite dal bisogno di dividersi gli spazi e le risorse. Tra scorpioni, millepiedi carnivori, imponenti grilli cammello che saltano sulla spalla dello scienziato, quando meno se lo aspetta….
Queste caverne di natura calcarea, generalmente prive di corsi d’acqua interni o una costante umidità, in grado di favorire l’ingrandimento progressivo secondo i metodi più noti, con la risultante formazione di pilastri e stalattiti, presentano le condizioni ideali per osservare un fenomeno virtualmente privo di ripetizioni. Proprio qui si è verificato infatti, da millenni, il processo di un diverso tipo di erosione, dovuto non più a condizioni ambientali, ma all’effettiva opera degli esseri viventi. I pipistrelli e le rondini, infatti, che generalmente non si mescolano tra loro, condividono tuttavia gli spazi vitali, che vengono dunque occupati per l’intero corso della giornata. Ciò causa, inevitabilmente, un innalzamento sensibile della temperatura, con conseguente formazione di condensa. E sarebbe proprio quest’ultima, secondo gli studi pubblicati dalla geologa Joyce Lundberg, la responsabile delle particolari strutture rocciose di Gomantong, che lei paragona molto appropriatamente, nel suo video di accompagnamento al progetto esplorativo, alle colonne di una cattedrale. Tali flutes, che si estendono dal pavimento al soffitto e non sono quindi né stalattiti, né stalagmiti, sono del tutto privi della comune rastrematura alle due estremità, inferiore e superiore, inoltre hanno una sezione perfettamente circolare, invece che a forma di V. Questo perché l’acqua che le crea, nei fatti, viene a formarsi direttamente dall’aria della caverna, e non presenta quindi una direzione di provenienza definita. Alcuni dei pilastri, ci viene detto ma purtroppo non mostrato, si formano addirittura in orizzontale, offrendo certamente un valido sostegno a schiere di squittenti e zampettanti creature. Il suo studio è stato pubblicato, assieme ad alcuni degli altri prodotti da questa spedizione finanziata nell’estate del 2014 dallo stesso National Geographic, è disponibile al pubblico presso il semplice sito divulgativo Gomantong.photopholio.org.
Ma oltre alla produzione di materiale testuale e fotografico, basato sulla raccolta diretta di dati e informazioni sul campo, il team di MacFarlane può dirsi l’orgoglioso produttore di un’importante risorsa per lo studio approfondito delle caverne in questione, già tentato in precedenza, ma mai con questo grado di approfondimento. Attraverso l’impiego di un sistema di misurazione laser fornito dalla FARO, infatti, gli scienziati hanno prodotto una mappa tridimensionale degli ambienti di Gomantong, non dissimile da certi progetti condotti negli ultimi anni dall’azienda Google, tuttavia va detto, per luoghi ben più raggiungibili e ospitali. Il prodotto risultante, visionabile liberamente online, è un vero e proprio modello tridimensionale, sufficientemente sofisticato da poter essere impiegato in un moderno videogioco. A questo, stando agli articoli di supporto, se ne affianca un secondo non mostrato, con una precisa riproduzione delle colline sovrastanti le due Simud, realizzata mediante l’impiego di un drone con sistemi fotometrici progettato appositamente per l’occasione, facile da smontare ed imbarcare in aereo. È facile immaginare l’utilità di simili risorse, nella ricerca di una logica nel caos geologico che può portare alla formazione della prima vera Babele sotterranea, dove le popolazioni degli esseri più diversi riescono a convivere facilmente, ed anzi si sostengono in un reciproco rapporto d’interdipendenza.
Tesori incomparabili, per chi ha voglia di rischiare, come detto per l’appunto più sopra. E non soltanto con riferimento al significativo valore materiale dei nidi bianchi del Borneo, che possono raggiungere i 2500 dollari al Kg in determinati paesi dell’Asia, ma anche all’imponderabile quibus della conoscenza, quella cognizione ultima di come la vita giunga a rinnovarsi dalle fonti più diverse, inclusa una pioggia discontinua di guano di rondine e di pipistrello. Se soltanto si riesce a compiere quel piccolo passo, necessario a comprendere DAVVERO gli scarafaggi.
1 commento su “Sotto un nugolo di pipistrelli, nell’oceano degli scarafaggi”