Dove osano le aquile, per fame

Eagle pickup

Fra tutti i diversi simboli dell’America, il più augusto e duraturo: è più grande dei suoi simili. È affidabile nei momenti di difficoltà. Mantiene il suo valore sul mercato dell’usato. Stiamo parlando, ovviamente, del furgoncino/pickup, possibilmente col cassone aperto, per meglio trasportare il frutto della propria attività venatoria. Non è mica un passero qualunque! Dallo stato di Washington alla Florida, dal Maine all’Arizona, rombando sulle strade che furono costruite dai sapienti padri fondatori. Il suo verso risuona di un senso latente di autodeterminazione e indipendenza dalle circostanze, siano queste naturali o imposte da organizzazioni, persone terze, rappresentanti di veicoli prodotti in fabbriche straniere. E qui siamo in Canada, per dire. Dove una Nissan, nei mesi lunghi e freddi dell’inverno, può anche avere l’occasione di pavoneggiarsi in un parcheggio, presso l’isola di Dutch Harbor, sulle propaggini dell’arcipelago delle Aleutine. Grosso errore, un facile bersaglio a iniziative di “liberazione” aerotrasportata? Potenzialmente. Il fatto è che persino nei cieli remoti di un simile luogo, alberga libero quel differente simbolo di vago patriottismo, personificato da 4-6 Kg e fino 2,3 metri tra le punte delle ali e con il lungo becco, il cui nome allude a una calvizie che non ha riscontro all’evidenza delle cose. Bald eagle, del resto, non si chiama per lo stato delle piume sulla testa, ma in funzione di un antico termine anglosassone, piebald che vuole dire [animale] a macchie chiare. Mentre per noi è “soltanto” l’aquila di mare testabianca, che stimiamo per l’aspetto nobile, evochiamo nella mente come simbolo di una distante identità, incorporiamo in cappellini e tatuaggi e le livree di jingoistiche t-shirt. Ma forse, dopo tutto, non temiamo abbastanza. Perché non hai davvero vissuto, finché non scopri sulla tua pelle come un simile animale, l’equivalente alato per forza ed imponenza di un palmigrade ursino, possa giungere ad eccessi comportamentali che associamo normalmente al gabbiano, oppure al semplice piccione. Così potremmo prenderne atto, almeno in video, per l’enfatica presentazione dell’abitante di questi luoghi Pam Aus (persino il nom de plume ispira simpatia) alle prese con un nugolo, o per meglio dire, la congregazione dei rapaci affamati.
È la sorta di comportamento imprudente che nella maggior parte dei paesi, al di là di far storcere il naso, resterebbe largamente privo di palesi conseguenze. Qualcuno, probabilmente di ritorno da una spedizione marittima, che aveva lasciato nel cassone del veicolo una certa quantità di pescato, probabilmente mentre si assentava per fare una sosta al bar. Dovete anche considerare come, con una temperatura di diversi gradi sotto lo zero, tenere il cibo sotto al Sole non sia poi così diverso da metterlo nel surgelatore. Se non che, in particolari succulenti casi, quest’ultimo può tendere a dare un effluvio. Come un richiamo, splendido e odoroso, percepibile ai cani e ai gatti e ai cervi che passano di lì. Per non parlare, poi, degli uccelli. Ecco, guarda, corri, anzi, è troppo tardi. Sei già dentro al National Geographic, con una dozzina abbondante di Haliaeetus leucocephalus, superate in grandezza nell’intero continente unicamente dal condor californiano, che appesantiscono le importate sospensioni. Partecipano alla pazza gioia, addirittura, alcuni esemplari di Aquila chrysaetos (l’aquila reale) che tranquillamente si mescolano con le loro più antiche rivali sopra i territori vagheggianti di bisonti e bufali dimenticati. Non c’è spazio per l’ostilità reciproca, quando si tratta di rubare al ben più grande concorrente, l’essere umano. Scriveva del resto lo stesso Benjamin Franklin, con intento probabilmente satirico: “Preferirei che l’aquila di mare non fosse stata scelta come simbolo del nostro paese. È un uccello privo di coraggio e fibra morale, che non si guadagna da vivere onestamente. Persino il piccolo kingbird (Tyrannus tyrannus) delle dimensioni di un passero, può scacciarla facilmente via, quando ne invade il territorio.” Ma per la cronaca, la sua proposta alternativa fu il tacchino. E c’è da dire che anche l’occhio vuole la sua parte!

In termini scientifico-etologici, l’aquila americana per eccellenza viene definita una creatura cleptoparassitaria. Il che significa che ogni qualvolta gli riesca possibile, piuttosto che andare a caccia preferisce sottrarre le prede già cadute vittima di artigli o fauci altrui. Non è infatti insolito, nell’intero spazio del suo vasto areale, vederne una che scaccia via attivamente un coyote, una lince, una volpe o un cane domestico da una carcassa, prima di piombarvi sopra ed iniziare, letteralmente, ad ingozzarsi. Questo perché l’aquila calva risulta dotata di una speciale sacca nella gola, detta crop, che gli permette di conservare fino a 1 Kg di cibo, da trasportare in volo durante le sue lunghe migrazioni. Non è che un altro modo, questo, in cui assomiglia in tutto e per tutto al criceto. A parte che nella stazza, per le ali, il becco e le piume…
Prova aneddotica n°2: un pescatore d’Alaska, Norman Dreger, si trovava nel territorio dello Yukon in vacanza, sulla sua barca, quando ebbe l’emozione improvvisa di vedere abboccare un ottimo salmone del genere dolly varden o un char (Salvelinus malma) o almeno, questa era la sua stima d’identificazione, visto che nei fatti, non avrà mai modo di verificarla. Perché proprio in quel momento, per uno scherzo del destino, passava di lì una tracotante bald eagle, con lo scompartimento di bordo per merende spiacevolmente vuoto di riserve. La quale, sempre pronta ad interpretare le presenti circostanze a suo vantaggio, ha iniziato delicatamente a planare verso l’obiettivo (le aquile non vanno quasi mai in picchiata, come i falchi) per ghermire il pesce, l’amo e tutto il resto. Il breve video, che ci da appena modo di apprezzare lo sconcertante frangente, è impreziosito dalle esclamazioni sorprese del protagonista umano, che si dimostra in grado di esprimere lo sbigottimento senza nessun tipo d’improperi maleducati, ma piuttosto con una serie d’esclamazioni che non sfigurerebbero nel migliore dei cartoons:

Eagle fisherman
Così veloce che è soltanto una visione sfocata ai margini dell’inquadratura, alla maniera di un fulmine inviato per ghermire il pesce del destino. Ma si sentono, gli effetti, si sentono eccome…

Se c’è comunque almeno una valida ragione, se un animale cleptomane come questo trova posto nel merchandising e all’interno dei cuori degli abitanti di quasi tutti e 50 gli stati, questa è certamente la sua meta-territorialità. Talmente si è saputa dimostrare efficiente l’aquila, nel corso dei millenni che hanno portato alla sua evoluzione, a diffondersi all’interno del continente nordamericano e solamente lì, che allo stato dei fatti attuali la testabianca è in effetti suddivisa in due diverse sotto-specie, dalle abitudini comportamentali e le caratteristiche lievemente differenti. La H. l. washingtoniensis, più grande, fa i suoi nidi sulle alte sequoie degli stati del nord e del Canada, migrando occasionalmente verso meridione per trascorrere un inverno di abbondanza. Oppure, in alternativa, ricorrendo ad espedienti come il furto dai pickup o dai cassoni della spazzatura. La H. l. leucocephalus invece, più piccola, occupa i bassi rami di palude in tutti gli Stati Uniti del sud, fino alla Baja California messicana. Da qui, gettandosi occasionalmente verso la vicina superficie dell’acqua, fa casa e chiesa con gli abitanti pinnuti delle profondità, ghermendoli ogni qual volta se ne presenti la necessità. È stato dimostrato da diversi studi, ad esempio, che mentre per le aquila dell’Alaska il pesce costituisce soltanto il 56% della dieta complessiva, presso l’estuario del Columbia River nello stato dell’Oregon soggiornino distanti cugine che lo hanno eletto a circa il 90% delle loro catture alimentari. Una buona parte delle quali, inevitabilmente, viene riportato presso il nido, a vantaggio di un numero variabile tra i due e i quattro pulcini. I nidi delle aquile, come del resto lascerebbe desumere anche l’opinione popolare, sono delle vere meraviglie naturali. Riutilizzati dai discendenti della stessa famiglia anno dopo anno, vengono continuamente ampliati con l’aggiunta di ulteriori rami e materiale, fino al raggiungimento di dimensioni assolutamente spropositate. Il più grande di questi ad essere mai stato ritrovato si trovava in Florida, era alto 4 metri e pesava una tonnellata (un record del mondo per qualsiasi volatile). Simili strutture tendono generalmente a finire distrutte a seguito di tempeste, o rovinare a terra per il peso eccessivo dopo alcuni anni, anche se esiste il caso di un particolare nido, nel Midwest, che è stato usato per un tempo periodo ininterrotto di 34 anni.
Come hanno dimostrato le innumerevoli webcam da nido disseminate in giro per i 50 stati, i pulcini di aquila si dimostrano particolarmente vivaci e dotati di spirito d’iniziativa, manipolando rametti, spingendosi a vicenda e provando la presa dei propri piccoli artigli su qualunque cosa gli capiti a tiro. Tuttavia, come esige la dura legge delle piume, per ciascuna nidiata c’è sempre almeno un piccolo che non riesce a imporre la propria voce sopra gli altri e costantemente privato dal cibo riportato dai genitori, deperisce e muore. E possiamo ragionevolmente desumere che fosse, fra i fratelli, l’unico potenzialmente onesto.

Eagle swim
Quando pesca, l’aquila testabianca può sollevare pesci di fino alla metà del suo peso. Nel caso in cui ghermisca una preda troppo grande, talvolta decide di non rinunciarvi e si tuffa per portarla a riva. La vista di un simile maestoso uccello, che nuota goffamente nell’acqua lacustre, non si scorda tanto facilmente.

Va comunque evidenziato come questo amore spropositato per l’aquila come un simbolo sacro e senza tempo sia un tratto culturale piuttosto recente. All’inizio del secolo scorso, era una credenza diffusa che questi uccelli uccidessero gli agnelli nelle recinzioni e addirittura, occasionalmente, rapissero i bambini. Entrambi fatti totalmente infondati, che tuttavia portarono ad una caccia scriteriata nella maggior parte del territorio statunitense e canadese. Nel 1930 un ornitologo di New York scrisse che negli ultimi 12 anni circa 70.000 aquile erano state uccise a colpi di fucile. Con il primo sopraggiungere della modernità, poi, le cose non fecero che peggiorare: in particolare il pesticida DDT, usato per disinfestare le coltivazioni agricole, si dimostrò contenere una sostanza chimica in grado d’interferire con la produzione di calcio degli uccelli adulti, portando alla deposizione di uova troppo sottili perché potessero schiudersi con successo. Così, la popolazione delle aquile continuò a declinare, fino all’iscrizione nel 1940 nel tutt’altro che prestigioso albo delle specie a rischio d’estinzione. Furono quindi promulgate una serie di leggi protettive, che ne vietavano la caccia e la cattura tranne che in particolari casi culturali e religiosi (riservati unicamente ai nativi d’America). Oggi, l’aquila testabianca può essere tenuta in cattività soltanto nel caso in cui sia affetta da condizioni di salute che gli impediscano di sopravvivere da sola, benché ne esistano in ogni determinato momento numerose migliaia di coppie con pulcini nella maggior parte degli stati. Proprio così. In questo caso almeno, le misure governative sembrano aver sortito l’effetto desiderato: dal 1996 l’animale è stato riclassificato dallo IUCN (International Union for the Conservation of Nature) come specie minacciata “soltanto” lievemente.
Per fortuna, sembra che dovremo continuare a sopportare le sue scorribande ancora per un bel po’.

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