Qualcosa si muove nell’incavo dello specchietto retrovisore, sul lato passeggero della macchina dimenticata. In mezzo alla polvere, possibile che… Nel mondo delle cose piccole, per istinto, tutto ci appare indifeso e inoffensivo. Quell’occhio fisso e totalmente nero, le lunghe antenne segmentate, la testa aerodinamica e vibrante. L’armatura del pronotum (dorso) simile alla ruota un ingranaggio, con le punte seghettate che decorano uno degli insetti più grandi del continente nordamericano. Intrappolato, per sua massima sfortuna, nella tela di un Agelenopsis, il ragno d’erba del suo stesso ambiente. Ora, prima di intervenire per cambiare il corso del destino, la logica ci dice che anche un aracnide dovrà mangiare, giusto? Ma qui stiamo parlando di una creatura grossa all’incirca 38 mm, contro i 19 di colui che ha costruito quella trappola tremendamente appiccicosa. Si tratta, in effetti, di un caso di eccessiva e problematica efficienza, da parte del metodo di caccia ed imboscata del più piccolo e più furbo predatore. Non c’è nulla di desiderabile, in questa particolare situazione, certamente non per l’Arilus cristatus, ma neppure per il padrone di casa ad otto zampe. Tanto che jtmagicman25, nelle prime battute del video, ci mostra come il ragno avesse in origine una compagna, a suo parere “pronta a deporre le uova” (non è chiara l’origine di questa conclusione) che al momento giace immobile, ai margini della drammatica scena. Mentre l’insetto ruota, questo il suo nome comune, si agita ormai privo di forze, impossibilitato a districare le sue lunghe zampe. A questo punto, cosa fare…
È indubbio che molti di noi, di fronte a quel dibattersi disperato, avrebbero pensato: “La natura fa il suo corso, peccato.” Scuotendo la testa per andare avanti con la propria giornata. Qualcuno di più radicale forse, colto da improvviso bisogno di fare le pulizie, avrebbe preso una pratica bomboletta d’insetticida, per rimuovere in un colpo solo, ragno, tela ed ospite inatteso. Ma non lui, protagonista umano del presente video, non in quel particolare caso. Perché c’è questo caso strano, dell’empatia che non è frutto di un pensiero razionale. Bensì nasce, delle volte, dai remoti presupposti della situazione. Forse non dovremmo, ogni qual volta ne sussista l’opportunità, tentare di risolvere la situazione? Aiutare, in qualche modo, a ridurre l’infelicità nel mondo? È una semplice questione, se vogliamo, di accumulo del karma positivo. Fatto sta che il giovane proprietario del brulicante autoveicolo, in bilico sopra l’abisso dell’indifferenza, ha preso un bastoncino e quell’insetto l’ha tirato fuori. Poi, non soddisfatto, a iniziato a liberargli per quanto possibile le zampe, usando le dita della mano. Che fantastica idea. Anche da parte dei meno affezionati a simili creature, un tale gesto non può che ispirare un senso d’istantanea approvazione. Quest’uomo ha SALVATO, l’INSETTO! E guarda un po’…Non è nemmeno stato…PUNTO.
Si, perché c’è un piccolo dettaglio in questa storia, magari tutt’altro che evidente a un primo sguardo. Avrete certamente notato, in prossimità delle mascelle del Cristatus, una tozza proboscide appuntita, da lui gioiosamente usata per contribuire al repulisti delle estremità Ecco, quel particolare arto è il rostrum, una sorta di becco comune a tutto l’ordine degli Hemiptera o Rincoti (che include: cicale, afidi, le cimici verdi a forma di scudo…) qualche volta usato per forare la membrana esterna dei vegetali e suggerne i gustosi nutrienti. Qualche altra, invece, per immettere un qualcosa dentro agli esseri viventi. Stiamo parlando, in effetti, dei Reduviidae, una famiglia d’insetti quasi esclusivamente carnivori a cui appartiene anche questo portatore di ruota, che usa un metodo di caccia simile all’imboscata: camminando molto lentamente, dondolandosi come foglie mosse dal vento, si avvicinano al pasto designato. Quindi, una volta che l’hanno ghermito con le zampe anteriori, estendono il loro stiletto incorporato, per immettere nel corpo della vittima una tossina che la paralizza immediatamente, onde sciogliergli con calma tutti gli organi interni, da procedere a fagocitare con calma. Ora, va da se, non è che lo stesso possa succedere a seguito della puntura di una mano umana. Nel mondo delle cose piccole, sussistono dei limiti di fatto. Però, come potrete facilmente immaginare, non si tratta di una delle esperienze più gradevoli a disposizione…
A questo punto sarebbe giusto chiedersi, sempre per il nostro senso d’empatia, cosa esattamente abbia rischiato il salvatore della situazione. Ora, il dolore in quanto tale è soggettivo e risulta quindi naturalmente difficile trovare una definizione pienamente condivisa di quale sia la sensazione di essere punto dal più grande dei Reduviidae. A ciò aggiungete pure che, fortuntamente, pur essendo piuttosto comune e relativamente prolifico (40-200 uova), l’insetto è molto riservato e raramente entra in contatto con l’uomo. Lo stesso Justin O. Schmidt, lo studioso dell’Arizona famoso per la sua scala delle punture più dolorose (proprio così, le aveva provate tutte in prima persona) omette di menzionare gli insetti assassini, forse perché meno gravi delle sue specie più tenute in alta considerazione, tutte formiche ed api, oppure per il semplice fatto che non gli era riuscito di trovarne un esemplare. Fatto sta che Richard Fagerlund, disinfestatore ed entomologo di Las Cruces, nel New Mexico, racconta in un botta e risposta con il San Francisco Chronicle: “Sono stato morso da nove serpenti velenosi, mezza dozzina di scorpioni, una vedova nera, formiche di fuoco, vespe, pipistrelli, ratti e cani. Ma fra le mie esperienze passate, nessuna è paragonabile alla puntura dell’insetto ruota. Un dolore talmente forte da contemplare il suicidio…” Il veleno di questo insetto non è comunque in alcun modo in grado di mettere a rischio la sopravvivenza di un umano, benché continui a fare male per diversi giorni. Dopo i quali, generalmente, resta una cicatrice. Ma tu guarda i pericoli che ci si trova a correre, “soltanto” per salvare la vita agli animali!
Abbiamo detto che i Reduviidae sono prevalentemente carnivori, il che significa, per inferenza, che non tutti hanno le crudeli abitudini predatorie del Cristatus nordamericano. Ma non smettete di trattenere il fiato: l’alternativa, probabilmente, vi sembrerà ancora più terribile. In Sud America, ma anche in Africa, Asia ed Australia (praticamente ovunque tranne che da noi) esiste una sotto-famiglia detta dei Triatominae, che sopravvive nutrendosi del sangue dei vertebrati. Vengono anche detti insetti del bacio, tanto è delicato il loro tocco, e per l’abitudine che hanno di succhiare il sangue in prossimità delle parti morbide del viso, gli occhi e le labbra. Ne parlò già Charles Darwin, nei suoi diari de Il viaggio della Beagle, la nave che nel 1831 salpò da Plymouth, in Inghilterra, per raggiungere il distante arcipelago delle Galapagos. Il celebre scienziato, che era stato punto dal vinchuca (grande insetto delle Pampas) durante il suo soggiorno nella provincia Argentina di Mendoza nel 1835, raccontava di come la creatura si fosse gonfiata visibilmente durante il pasto, alla stessa maniera delle zecche, ma in un tempo approssimativo di 10 minuti. Incidentalmente, queste creature sono particolarmente pericolose per l’uomo, perché possono trasmettergli il parassita della tripanosomiasi americana, che può portare nella forma acuta a febbre, stanchezza, dolori muscolari e problemi resiratori. Trascorso il primo periodo di alcune settimane, i sintomi spariscono, ma la malattia attacca il cuore, causando problemi a lungo termine che possono condurre alla morte improvvisa. Secondo alcune teorie, fù proprio l’incontro con questi insetti a condizionare la seconda parte della vita di Darwin, che di ritorno dal suo viaggio soffrì di salute cagionevole fino all’ultimo dei suoi giorni.
Perciò, cercate sempre di aiutare le piccole creature inermi, se sono in difficoltà. Possibilmente, non metteteci le mani. Però se veramente non riuscite a riconoscerle, ed hanno un aspetto in qualche modo minaccioso…Diciamo che sarebbe meglio fare qualche ricerca online. Per fortuna, oggi abbiamo gli smartphone, per verificare le infauste esperienze di coloro che sono venuti prima di noi.