La pinna, la pinna che corre sulla superficie. La coda che spunta da dietro, il corpo che si alza, la bocca che si apre a mostrare un milione di denti: “Guardate! Quello è…è…Un delfino! AssolutAmente AdorAbile!” Si, certo. Se sei grande all’incirca quanto lui e possibilmente, gli dai da mangiare. Soprattutto, non sei tu, il mangiare. Ma anche in quel caso, esistono testimonianze del grazioso mammifero dal muso a becco che insegue la tartaruga Caretta caretta, la infastidisce e la angustia, infine la lancia, come fosse un pallone. In Scozia, i delfini dal naso a bottiglia uccidono i cuccioli delle focene, andandogli contro e mordendoli ripetutamente, ovviamente senza poi mangiarli. Per puro divertimento. Le loro piccole carcasse, ridotte a brandelli, vengono quindi portate a riva dalla corrente, da dove hanno lasciato perplessi gli etologi per molti anni. Finché qualcuno di non particolarmente fortunato non ebbe l’opportunità, assolutamente orribile, di assistere all’evento. I delfini non dormono quasi mai, perché possono spegnere una metà del cervello alla volta, tenendo l’altro occhio bene aperto: effettuano brevi soste, di appena qualche minuto, soltanto ogni 5 giorni di attività. Dovendo vivere a tempo pieno nell’oceano, con il ruolo di uno dei pasti migliori sul menù, di sicuro temereste lo squalo. Ed almeno altrettanto, quel suo squittente, amichevole, annoiato collega. Fareste DI TUTTO, per passare inosservati. Come lei: la seppia. Spuntino dagli otto tentacoli e gli occhi a W.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi, piuttosto comprensibilmente, cosa si possa intendere con questa espressione DI TUTTO. Ed a quanto pare, tra i curiosi figurava nuovamente Richard Hammond della BBC (di TopGear-iana memoria) qui coinvolto in un singolare esperimento, divulgato a sostegno pubblicitario della sua nuova serie di documentari, Miracles of Nature. Perché per mettere alla prova un cefalopode ce ne vuole, e chi meglio di costui, che ha guidato e recensito ogni sorta di Porsche, Lamborghini e Ferrari, potrebbe mai offrirci uno sguardo obiettivo sulla più avanzata ingegnerizzazione evolutiva finalizzata alla manipolazione della luce…Non per niente, la scena è stata attrezzata con cura. Siamo stranamente in un cinema, all’interno del quale lo schermo di proiezione è stato arricchito con uno spazioso palcoscenico, sul quale campeggia la teca trasparente di un acquario. Al suo interno, una strana giustapposizione. Da una parte, la stanza con i mobili in miniatura, costruita secondo i crismi di un decoro particolarmente stravagante. Pavimento a quadrettoni B/N, poltrona maculata, pareti con strisce viola e gialle. Dall’altra, la creatura presa in prestito da una qualche vicina organizzazione oceanografica, S. officinalis, ovvero la seppia comune. L’idea è semplice e viene ben presto illustrata al pubblico, con il solito entusiasmo oggettivamente British che caratterizza quel celebre conduttore: “Che la seppia sia maestra nel travestimento all’interno del suo ambiente naturale, già lo sapevamo. Ma come si comporterà, qui?” La risposta: d’impegno. Ovvero, chiunque si fosse aspettato di vedere l’animale che ricrea perfettamente i contorni del pattern totalmente innaturale, magari persino adattandosi mentre si sposta a mò di novello Predator di mare, chiaramente resterà deluso. Resta tuttavia evidente la maniera in cui la pelle del mollusco faccia il possibile per adeguarsi alla colorazione di ciò su cui di volta in volta si trova, passando dall’aspetto zebrato in bianco e nero studiato per avvicinarsi vagamente al tipico ambiente del gioco degli scacchi, a un’aspetto granuloso e indistinto, perfetto per scomparire sulla fodera kitsch della mini-poltrona inclusa nella “stanza”. Ottenendo nel secondo caso, tra l’altro, risultati molto migliori. E questo perché una fantasia indistinta e confusa risulta, per sua stessa natura, più simile agli ambienti naturali di un fondale marino, su cui la seppia si adagia, immobile, sperando di sfuggire allo sguardo scrutatore del beneamato Flipper, il suo principale nemico. Abbiamo quindi esaminato il dove e il perché. Ciò che resta, a questo punto, è la questione fondamentale: come fa la seppia, esattamente, a cambiare colore?
Ce lo spiega molto approfonditamente il Dr. Roger Hanlon del Marine Biological Laboratory, in questo vecchio filmato realizzato per il New York Times. Lo studioso infatti, che assurse alle cronache con il suo famoso video virale (ripreso sul campo) del polpo mimetizzato che nuota via all’improvviso, risultava nel 2008 impegnato in una serie di ricerche e sperimentazioni sugli appartenenti al genere Sepiida, presso la sua istituzione di studio di Woods Hole, in Massachusetts. L’apparato di studio, nel complesso, non è così diverso da quello impiegato in epoche più recenti per il programma della BBC, con una vasca bene illuminata e dotata di una telecamera ad alta definizione, da impiegarsi per registrare approfonditamente i mutamenti di livrea messi in atto, a seconda delle condizioni sussistenti, dal grazioso e tentacolare animale. Il cui segreto, ci viene spiegato, deriva dall’impiego di un vasto numero di cellule specializzate, suddivise in cromatofori, iridofori e leucofori. Le prime, simili a sacche controllate da una serie di muscoli che può variare tra i 6 e i 20, possono riempirsi in caso di necessità di diverse quantità di un pigmento analogo alla melanina, ma giallo, rosso e arancione. Nel frattempo, gli altri due tipi di cellule si occupano di gestire la luce, riflettendone soltanto determinate lunghezze d’onda, allo scopo di creare degli effetti cangianti e lucidi, talvolta impiegati per spaventare i predatori. Ma se deve ricorrervi, in genere, la seppia è già stata individuata e difficilmente riuscirà a salvarsi. La densità di queste cellule si aggira, per usare un termine tecnologico, attorno ai 359 DPI (200 per millimetro quadrato) rivaleggiando le prestazioni potenziali di una moderna Tv in alta definizione. In questo caso controllata, pixel per pixel, unicamente dalla macchina biologica di una regione specializzata del cervello, che ne dovrà gestire un numero di circa 10 milioni. Il che spiega perché i cefalopodi, polpi e calamari, inclusi siano i molluschi più evoluti ed intelligenti del pianeta. Basti notare ad esempio come, nella sequenza della stanza arredata, la seppia si sia dimostrata in grado di scegliere la mimetizzazione della superficie su cui effettivamente si trovava, non di quella che aveva dinnanzi agli occhi. In un esperimento incluso nel documentario del 2014, Kings of Camouflage, inoltre, veniva dimostrato come la seppia fosse in grado di apprendere dalle circostanze di contesto, associando la vista di un pesce di plastica al cibo, fornito in concomitanza all’inserimento del giocattolo nell’acquario. Un secondo esemplare, che non aveva ancora sperimentato l’esperienza, restava invece del tutto indifferente al pupazzo, previa verifica della sua non commestibilità.
E non finisce qui. In uno studio della biologa dell’Università di Leeds nello West Yorkshire, Sarah Zylinski, si è scoperto come la seppia sia dotata anche di notevoli capacità di astrazione. Le prove compiute dalla scienziata, messe parzialmente in mostra nel presente video, ne includevano infatti una in cui l’animale veniva posto a contatto con la famosa illusione ottica del triangolo di Kanizsa, che sfrutta la naturale tendenza umana a completare gli spazi vuoti, per creare l’impressione di due triangoli sovrapposti, l’uno definito dai contorni neri, l’altro bianco e stranamente luminescente. Ebbene, a quanto pare, il cefalopode in questione non solo aveva notato l’esistenza del secondo triangolo, ma ne aveva tenuto presente l’esistenza nella scelta del suo pattern mimetico d’occasione (purtroppo la corrispondenza non viene qui mostrata, né spiegata approfonditamente). Ciò dimostrerebbe, secondo lo studio pubblicato dalla scienziata, una corrispondenza precedentemente inimmaginabile tra la capacità di astrazione di noi umani e quella di un animale simile, appartenente al phylum dei molluschi e per questo considerato, talvolta, privo di presupposti evolutivi degni di nota.
C’è tuttavia una questione molto significativa, che tutt’ora potrebbe sorprendere i non specialisti: nonostante la seppia sia dotata di occhi piuttosto complessi, in grado di riorientarsi a piacere in più direzioni e privi di un punto cieco, come il resto dei cefalopodi essa risulta, nella maggior parte dei casi, per lo più daltonica(esistono eccezioni). Come farebbe, dunque, a comprendere il colore da assumere caso per caso? Alcune teorie affermano che il segreto risieda nella sua capacità di percepire la polarizzazione della luce, dote che gli fornirebbe una migliore capacità di distinguere il contrasto tra le forme. Sfruttando, per colmare i vuoti rimanenti, soprattutto l’intuito del suo grosso cervello. Non che questo spieghi come sia possibile che, in recenti spedizioni esplorative in notturna, le seppie si siano dimostrate in grado di assumere pattern mimetici anche nel buio assoluto, senza sfruttare in alcun modo il senso della vista.
Permane l’impressione, stranamente diffusa, di come il dirimere una simile questione nebulosa potrebbe bastare a comprendere uno dei grandi Misteri (per citare Douglas Adams) della Vita, l’Universo e Tutto Quanto il Resto. Purché non intercedano prima una delle specie trans-materiali descritte nei suoi romanzi, nostri coabitanti marini, con il potere di distruggere o salvare l’umanità. Devo ricordarvi di chi si trattava? Sempre i soliti delfini, perennemente affamati…