Le tradizioni alimentari di un popolo, molto spesso, viaggiano assieme alla diffusione della sua lingua. E fu proprio in funzione di ciò che molti, tra i piatti e gli ingredienti della cucina spagnola, finirono per fare il salto dell’Atlantico assieme alle navi dei Conquistadores. Venendo annoverati nel XVI secolo con la relativa terminologia ai margini di quell’ampio repertorio, vecchio di oltre un millennio, che proprio in quegli anni iniziava ad essere ridefinito con la vaga generalizzazione di “cucina messicana”. Ma mentre l’opposto tendeva ad avvenire saltuariamente, con alcune innovazioni come la tortilla o il peperoncino da chili che donavano un tocco di originalità ai pasti della nuova classe dirigente europea, c’era un intero mondo di antiche tradizioni regionali, custodite gelosamente dai nativi e praticate in gran segreto, come prerogativa di una preziosa identità sociale. E se questo era vero per tutta l’area sud dell’America Settentrionale, tanto maggiormente si applicava alla regione di Oaxaca, sito nel meridione ed a poca distanza dai confini di Belize e Guatemala. Il cui territorio inaccessibile, ricco di foreste, fiumi e altre barriere naturali, aveva favorito fin dalla Preistoria la formazione d’innumerevoli culture indipendenti, talvolta formate da centinaia di migliaia di persone, qualche altra alcuni piccoli villaggi, uniti unicamente dall’idioma e qualche scambio commerciale d’occasione. Ma c’erano anche lati positivi, in questo vivere in totale isolamento. La cultura Chinanteca, ad esempio, poté sopravvivere, virtualmente integra nei suoi remoti presupposti, all’espansione di due degli imperi più aggressivi e virulenti nella storia dell’uomo, di cui il primo coloniale, che giunse con le navi e le armi di un diverso Mondo. Mentre la coda del secondo, nei fatti essenzialmente coéva, colpiva ferocemente le regioni limitrofe ai suoi centri di potere, distruggendo tutto quello che non fosse Azteco. Ma immaginate adesso per un attimo di vivere, fin da tempo immemore, presso le sorgenti montane del fiume Papaloapan, nella regione prevalentemente boschiva in cui l’unica grande città è San Juan Bautista Tuxtepec (S. Giovanni Battista della Collina dei Conigli). E di non abitare in effetti, in una di tante palapa o nell’occasionale, timida casa in mattoni, ma nel Nord Est di un tale luogo, dove la strada e una soltanto, ed in effetti, fu costruita molto successivamente. Chi mai potrebbe conquistarvi? Sulla vie di quali mire espansioniste, nei fatti, potrebbe trovarsi la vostra gradevole esistenza? Così le genti dell’odierno villaggio di San Felipe Usila, fin da tempo immemore, sono rimaste libere di fare quello che volevano. Praticando, via dagli occhi della collettività invidiosa, le loro antiche tradizioni e gastronomie.
Tra cui questa qui, del cucinare quello che oggi prende il nome di caldo de piedra, un particolare piatto a base di pesce, verdure locali e gamberi, che trova la sua connotazione maggiormente particolare nell’impiego di un singolo ingrediente, la cui inclusione costituisce una parte irrinunciabile del processo di preparazione: l’inserimento di una o più pietre di fiume locali, scelte tra quelle particolarmente lisce, pulite e della grandezza approssimativa di una palla da baseball o un uovo di gallina. Perché lo fanno, vi apparirà ben presto chiaro osservandoli all’opera, durante uno dei rutilanti convìvi (in realtà più simili a pic-nic) che i gruppi di pescatori locali organizzano nella stagione primaverile, principalmente durante il mese di maggio. Il tutto si svolge attorno a un particolare macigno, con un pratico incavo nella parte superiore. Che contrariamente all’apparenza, non è affatto frutto di un naturale processo d’erosione, ma un qualcosa di scavato ad arte, tramite l’impiego di rudimentali attrezzi diamantati, dagli antenati di questi stessi uomini, con la precisa intenzione di cuocerci dentro il cibo. È una scena che, vista con l’occhio dei moderni, potrebbe facilmente lasciare basiti: ecco dei consumati gourmet, per quanto appartenenti a una visione differente del cibo, intenti a disporre con trasporto ingredienti come l’aglio, il cilantro e il coriandolo, l’erba dell’epazote, i peperoncini da chili… Dentro a un buco, sommariamente pulito con l’aspergimento di qualche manciata d’acqua di fiume. E mentre preparano la base, mettono quei sassi già citati sopra un fuoco intenso, lasciando che si scaldino fino al calor rosso. Tali oggetti incandescenti, quindi, vengono presi con delle apposite coppie di bastoni, poi gettati nel brodo, assieme ad una parte del pescato. La cottura di un tale apparato, come potrete facilmente immaginare, si completa in tempo estremamente breve.
L’innovazione tecnica del caldo de piedra risale molto probabilmente non soltanto ad un periodo pre-ispanico, ma alla vera e propria preistoria di questi luoghi, quando le culture dell’Oaxaca vennero per la prima volta in contatto con il cereale del mais, che necessitava di cottura prima di un’adeguata consumazione. In origine, tuttavia, il processo di cottura litica era piuttosto diverso, e prevedeva lo scavo di alcune buche nella sabbia delle rive del fiume. Qui si costituiva, quindi, un compatto fondo di foglie di di pozole (Calathea lutea o Heliconia bihai) che risultava sostanzialmente impermeabile. Vi si aggiungevano quindi, a seguire, acqua, ingredienti e pietre incandescenti. Per questo, l’antica occasione è stata successivamente definita in lingua spagnola come del caldo de playa (il brodo della spiaggia). Col tempo, questo processo che richiedeva la collaborazione di diversi abitanti del villaggio, diventò una procedura rituale tramandata di padre in figlio, con importanti connotazioni rituali. Simili tipologie di brodo erano in origine un piatto riservato alle persone onorate della comunità, come i capi del villaggio, gli anziani, le donne e i bambini. Anche per questo, tradizionalmente, veniva preparato unicamente dagli uomini, come manifestazione dei loro presunti doveri ereditari.
Con il passaggio dei secoli, e il cambio delle generazioni, questa atmosfera mistica e sacrale legata al brodo di pietra venne parzialmente superata dai chinantechi, portando all’abitudine di offrire il piatto altamente caratteristico anche ai visitatori stranieri, che talvolta passavano da quelle parti remote. Nel 1996, sulla strada principale del villaggio di Usila aprì il ristorante della famiglia di Gachupín Velasco, in cui una versione dello stesso piatto semplificata dal punto di vista procedurale, ma assolutamente autentica negli ingredienti e la metodologia chiave, veniva servita dietro un compenso libero, come dimostrazione pratica delle antiche tradizioni locali. Nel 1999, quindi, l’istituzione fu spostata presso la città di Santa María Coyotepec, nel distretto della capitale regionale, poi nuovamente, lungo un’importante strada di collegamento. Il caldo de piedra di questa versione divulgativa, sostanzialmente l’unico che sia stato largamente assaggiato dai turisti internazionali, viene preparato in condizioni lievemente meno caratteristiche ma anche decisamente più igieniche, come ampiamente dimostrato dai molti video disponibili online.
Le pietre di fiume, una volta riscaldate in cucina, vengono introdotte direttamente nella ciotola usata per la consumazione, una notevole stoviglia tratta dalla metà inferiore della zucca calabash (o cocozza). Tra le altre concessioni al palato dei moderni, viene aggiunto al brodo del pomodoro tagliato a pezzi e tritato mediante l’uso del pestello. Si soprassiede in genere, invece, sulla fondamentale tradizione di accompagnare il pasto ad una tortilla ricolma delle interiora di quello stesso pesce che ne costituisce l’ingrediente più importante. La pietanza viene offerta in tre versioni: solo pesce, solo gambero, o un misto delle due cose. Si serve inoltre Coca Cola Light.
Ed è alla fine questo singolo aspetto, quello che potrebbe più deviare la nostra attenzione: perché mai tradizionalmente, soltanto gli uomini potevano preparare il caldo de piedra? La risposta è più stratificata del previsto, e non può prescindere da alcune sfortunate considerazioni antropologiche di fondo. Nelle culture arcaiche della regione di Oaxaca, stando a quanto è stato dimostrato dagli studi archeologici effettuati in prevalenza sui vicini Zapotechi, la distinzione tra i sessi non era particolarmente marcata. Sappiamo ad esempio che le donne partecipavano spesso alla vita di corte, per lo meno nelle comunità in cui già esistesse una concezione gerarchica del sistema della convivenza (certamente più estese dell’isolato villaggio di Usila). Gli dei venerati prima della venuta degli spagnoli, inoltre, non avevano connotazioni moralizzatrici, ma rappresentavano piuttosto gli elementi, la natura, un senso universale di giustizia cosmica applicabile alle situazioni più diverse. Già esisteva, tuttavia, quella stereotipica divisione dei ruoli, che vedeva tra le altre cose l’attività di procurare il cibo come appannaggio, pressoché esclusivo, della metà maschile del cielo. Con il progressivo imporsi dei crismi comportamentali provenienti dall’Europa, tuttavia, iniziarono a diffondersi nelle fasce sociali alcuni costumi della Spagna di allora, che non soltanto esacerbavano questa divisione, ma ponevano le attività del mondo femminile ad un livello sostanziale di minor prestigio, in quel modo puramente arbitrario ma fin troppo noto nella società moderna. Inoltre, la stessa casta dirigente e sacerdotale dei nativi, nelle zone che riuscirono a sfuggire alla conquista, iniziò a collegare determinate attività rituali di un senso mistico e sacrale, utile a giustificare il loro potere sulla società. E persino lassù presso le rive del fiume Papaloapan, dove mancava una vera identità professionale dedita alla conservazione di pratiche religiose (con relative toghe o copricapo) i pescatori erano esclusivamente uomini. E il fuoco apparteneva a loro.
Ma il cambiamento non è sempre, né esclusivamente un male: l’adozione progressiva del cristianesimo da parte delle genti locali, pur portando alla perdita di molte antiche pratiche, né sbloccò altre, privandole delle severe more pre-esistenti. Così oggi non è affatto insolito, soprattutto nelle città, trovare delle reinterpretazioni del caldo de piedra che possono essere preparate da chiunque ne abbia l’improvviso desiderio. O che persino, addirittura! Consideri opportuno offrire questo piatto straordinario a noi, che proveniamo da lontano. A quel punto, la curiosità…