Si, siamo sicuramente…Cambiati. Basta trascorrere qualche giornata tra la polvere del tempo, per trovare negli archivi le testimonianze di quel mondo ormai trascorso, in cui tu, Natura, ed io, uomo, ne facevamo e vedevamo di ogni tipo. Ah, l’astrusa meraviglia dell’inaspettato! Te la ricordi quella volta…E quell’altra! Quando c’erano i castori a Payette County, lungo i fiumi dell’Idaho remoto. Terra selvaggia ed incontaminata, libera dal caotico confronto quotidiano con il resto della massa cittadina. Perché lì, c’era una casa. La seconda dietro la collina. La terza nella valle, ancora più lontana. E così via. Ma tu, probabilmente, hai già riconosciuto la questione: era il 1948, e la gente ritornata dalla guerra, null’altro voleva, che vivere in tranquillo isolamento. Zero danni nel proprio giardino. Soprattutto, senza il rosicchiare di quei denti acuminati, l’albero che cade all’improvviso sotto il roditore, trasformato in legna per la diga e casa familiare delle care, laboriose bestioline. Puoi davvero biasimarci, Splendida rugiada del Mattino, se quel giorno decidemmo di prenderne qualche dozzina con le gabbie, poi decollare per lanciarli tutti quanti da un aereo?
In precedenza si era già parlato online del particolare approccio scelto dal Dipartimento di Caccia e Pesca dell’Idaho, nell’immediato dopoguerra, per trasportare 76 castori fino alla regione del Bacino di Chamberlain, oggi noto come riserva del Fiume di Frank Church “senza ritorno”. Soprattutto, senza strade. Quello che non immaginavamo, perché era un possibilità semplicemente troppo remota, era che dell’intera questione esistessero in effetti non uno, ma ben due video a colori, prodotti al tempo con l’investimento non indifferente di 700 dollari complessivi. Poi lasciati a deperire in qualche magazzino, tristemente lontani dagli occhi del mondo. Almeno finché una dipendente d’ufficio, Sharon Clark, con mansione occasionale di storica del dipartimento, non è capitato di ritrovare nella scatola sbagliata un misterioso film, dal titolo altamente suggestivo di: “FUR for the FUTURE” (il Pelo per il Futuro). Con mano tremante, quindi, preparato il proiettore e/o il videoregistratore, di fronte a lei si è palesato l’improbabile spettacolo, la prova registrata che davvero la questione di cui sopra si verificò. Un generoso spezzone estratto da questa preziosa testimonianza quindi, senza perdere altro tempo, è stato immediatamente caricato su YouTube, a vantaggio dell’ormai pregressa curiosità collettiva. E il suo contenuto, per chi avrà voglia di guardarlo fino in fondo, supera qualsiasi aspettativa.
Dopo un interessante segmento sui topi muschiati, che i ranger catturano mediante l’impiego di trappole a chiusura automatica e poi spostano mediante metodi convenzionali, si giunge presto alla portata principale. Alcuni addetti prelevano, con metodi comparabili, un paio di castori, rappresentanti biologici di quella che potrebbe definirsi una risorsa estremamente importante, soprattutto all’epoca: la pelliccia, usata nella fabbricazione di un tipo particolarmente rappresentativo di cappello nordamericano. Giammai, dunque, costoro avrebbero scelto l’eliminazione completa dei presenti roditori, che andavano piuttosto preservati con cura, nonostante le apparenze. Un cambio di scena e siamo sulla pista di decollo. I castori, trasferiti dalla gabbia ad una strana scatola di legno con un pacco annesso, vengono portati a bordo, quindi l’aeromobile si avvia per la sua strada. In una vertiginosa ripresa da terra, si può osservare il suo rapido sorvolo di uno spiazzo, in realtà quello usato per provare il metodo in questione, prima del suo impiego su larga scala. Ecco che la scatola precipita, il pacco si apre, scaturisce il paracadute. L’intero sistema viene quindi mostrato a consegna effettuata, completamente integro ed aperto. Dall’interno del pacco, timidamente, fanno capolino le armi anti-albero e quella testolina deliziosamente distruttiva. Nel suo incedere perplesso, pare espressa la pregnante locuzione: “Strade? Dove andiamo non ci servono le…gnam-gnam-gnam.”
Segue quindi la terza scena, in cui gli addetti del dipartimento si ritrovano a maneggiare alcune martore americane, deliziosi diavoli dalla ferocia niente affatto indifferente. Tirati fuori dalla gabbia, i quadrupedi soffiano e si agitano con le zampe, mordendo tutto quello che gli capita a tiro. Tanto che ben presto, uno dei ranger si ritrova con un morso sanguinante sul braccio. Ma a nessuno, naturalmente, interesserà la questione. Ritorniamo dunque al punto saliente dell’intera questione. Possibile? Davvero? Davèro…Davéro? Non è che il video faccia un gran lavoro nel provare l’effettivo impiego successivo, sul campo e con ottimi risultati, del “premiato metodo per paracadutare i castori”. Eppure su Internet è reperibile un articolo dall’impostazione scientifica, pubblicato a suo tempo sul The Journal of Wildlife Management (Vol.14 no. 2, Aprile 1950) che documenta a fondo l’intera mirabolante avventura. Inizia con la descrizione del processo normativo, regolamentato da una figura professionale che viene definita il Caretaker-Trapper Regionale, tenuto all’epoca a fornire il 10% degli animali in eccesso ogni anno a vantaggio dell’industria delle pellicce. La restante, invece, andava spostata. Un proposito niente affatto facile, a quanto si racconta nel testo, visto come le regioni più remote dell’Idaho erano, per l’appunto estremamente remote, al punto che le strade essenzialmente non esistevano affatto. In funzione di questo, il metodo tentanto inizialmente per portare a compimento la missione fu l’impiego di alcuni muli, sopra i quali venivano caricate le casse con i distruttivi roditori. Ora, una simile metodologia potrebbe sembrare all’apparenza molto più umana e rispettosa verso gli animali dell’alternativa aerotrasportata, ma la realtà, come spesso capita, è diametralmente opposta. I castori, che sono animali abituati a vivere a contatto con l’acqua, non dispongono di sistemi di raffreddamento efficienti del proprio organismo. Durante il tragitto, quindi, dovevano essere periodicamente tirati fuori e idratati, poi rimessi forzosamente nella scatola fino al raggiungimento di un sito adeguato alla liberazione. A ciò dovete aggiungere che, secondo quanto ci viene raccontato, i muli erano letteralmente terrorizzati da questi veri e propri topi giganti, e spesso li aggredivano o mettevano in fuga. Fu una questione tragica, che portò alla perdita di alcuni meritevoli ingegneri pelosi. Finché non giunse sulla scena un uomo. Il suo nome: Elmo W. Heter.
È proprio lui, nei fatti, che ci sta parlando nell’articolo citato, mentre descrive approfonditamente la sua mirabolante invenzione. Paracadutare un castoro, nei fatti, non è la più accessibile delle imprese ingegneristiche, e ci furono diversi fallimenti per lo più teorici, prima di giungere alla soluzione effettivamente impiegata. Inizialmente si era pensato di usare delle ceste intrecciate, che il roditore avrebbe rosicchiato, una volta a terra, per liberarsi. Ma questi erano in effetti talmente voraci, e rapidi nel consumarla, che c’era il rischio che finissero ancor prima di raggiungere la sicurezza del suolo, con conseguenze facilmente immaginabili. Heter pensò quindi a un parallelepipedo forato in legno solido, costruito in due metà ben distinte ma tenute assieme con diverse metodologie. La parte inferiore, mediante l’impiego di cerniere ed un potente elastico, pensato per far spalancare la scatola ogni qualvolta gliene fosse offerta la possibilità. Mentre dall’altro lato c’era un cordino con un pezzo di spago annodato, ancora più sottile, si occupava di tenere chiuso il meccanismo. L’intera logica funzionale si basava sul fatto che durante la discesa verso terra, la tensione stessa del paracadute assicurato alla scatola avrebbe contribuito a tenerla sigillata, mentre il contraccolpo dell’impatto con il suolo avrebbe fatto saltare il nodo superiori, causando l’apertura e conseguente liberazione del castoro. Nei pochi e sfortunati casi in cui ciò non avesse funzionato, era sempre possibile mandare subito aiuto sulla scena, per tentare di liberare il prigioniero accidentale, che quanto meno, avrebbe evitato il pericoloso incontro con i muli. Il prezzo stimato di lancio, inclusivo di carburante per l’aereo ed ore di lavoro, non superava i 30 dollari ad esemplare, che anche adeguato all’inflazione, risultava estremamente vantaggioso per il dipartimento. Soprattutto rispetto alle alternative.
L’approccio fu quindi ripetutamente messo alla prova, tramite il lancio ripetuto di un singolo esemplare particolarmente mansueto, il cui nome, noto alle cronache, era Geronimo. Così la povera bestia, che potrebbe essere proprio quella mostrata nel video d’apertura, fu fatta volare più e più volte, senza che si palesassero i presupposti del ben più minimo incidente. A quel punto, il dado era tratto; i 76 castori di quell’anno, rappresentanti il surplus destinato al ripopolamento, furono preparati per l’esperienza più emozionante della loro vita. E uno dopo l’altro, (ri)conobbero la libertà. Gli animali venivano fatti cadere sempre rigorosamente a coppie, un maschio e una femmina, affinché fossero meno propensi ad iniziare un istantaneo processo di migrazione, negando nei fatti l’utilità dell’intero marchingegno. Tutti tranne uno, a quanto riportato orgogliosamente nell’articolo di Heter, l’eroico pioniere del volo in questione. Geronimo ricevette infatti non una, bensì tre affascinanti lady-friends assieme alle quali era destinato a metter su un’intera colonia di allegri abbattitori d’alberi. Pare che la sua genìa fosse ben attestata anche due anni dopo la liberazione, al tempo in cui fu scritta la retrospettiva. O almeno, così vuole la leggenda.
Esatto, proprio così, Frescura del vespro che corrobora le fronde, multiforme, vagheggiante Natura. Anche se le nostre storie sono fragili, meramente legate alla sopravvivenza di qualche pezzo di carta, pellicola o silicio, possono rinascere da un caso fortunato, dalle ceneri di un’Araba Fenice. Per propagarsi, con la ferocia di un’onda pervasiva, tra le fibre ottiche del mondo. Meno male che la stessa cosa non succede coi castori!
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