Nuovo cucciolo di scimmia-demone allo zoo di San Diego

Aye Aye

Soltanto perché noi moderni abbiamo le armi concettuali necessarie a considerare una particolare creatura come “dolce” oppure “carina” non significa che sia in alcun modo facile riuscire a definirla tale. Immaginate di assistere a una tale scena, in forza di un bizzarro anacronismo, attraverso una sfera di cristallo trasportata in un contesto medievale, all’epoca in cui gnomi, folletti e/o altri problematici mostriciattoli percorrevano la mente, e le presunte case notturne dei nostri vicini meno fortunati (mai la propria, erano sempre storie di seconda mano). Senza un attimo di esitazione, saremmo qui a considerare quel buffo personaggio come un chiaro rappresentante del regno sovrannaturale, allevato in un pentacolo dagli evocatori in uniforme marroncina, chiaramente dediti a una qualche atipica eresia. Ma dico, guardatelo: ha la faccia volpina da pipistrello, orecchie mobili simili a quelle di un topo gigante, un corpo e coda di scimmia, movenze da scoiattolo. Per non parlare, poi, di ciò che si trova all’estremità delle sue deliziose zampette: cinque dita estremamente sviluppate, con tanto di pollice opponibile ed un medio lungo e flessibile, totalmente fuori scala con il resto della mano. Non c’è quindi tanto da meravigliarsi, né un grande biasimo da coltivare, se nella sua terra natìa del Madagascar questo primate membro degli Strepsirrhini (strephis – curvo; rhinos – naso) fosse considerato portatore di sventura, per non dire morte improvvisa a danno del primo essere umano a cui si fosse avvicinato. Il che tra l’altro è maggiormente problematico, proprio per la tendenza del primate a scendere dagli alberi ed avventurarsi tra la gente alla ricerca di cibo, senza un particolare istinto di autoconservazione. Esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare, stando alle nostre più accreditate fonti sull’argomento, un figlio di Satana o del Re dei Goblin.
Il primo scopritore occidentale a descriverlo in modo scientifico fu il francese Étienne Geoffroy Saint-Hilaire, che scelse un appellativo con lo scopo di onorare il suo professore, Louis-Jean-Marie Daubenton: così oggi la creatura viene denominata, sui libri di testo, Daubentonia madagascariensis, anche se nel suo paese continua a vedersi definita con un semplice grido di stupore improvviso, AYE-AYE (o hai-hai). Forse del tutto incidentalmente, il termine rassomiglia di vicino anche all’espressione malgascia heh heh, che significa “non saprei”. Secondo alcuni, il suo uso in quel contesto avrebbe lo scopo di evitare l’effettiva pronuncia del nome di un qualcosa che veniva ingiustamente considerato malefico, temuto da ogni fascia della popolazione. Secondo una diffusa leggenda del popolo Sakalava, una delle maggiori etnie della quarta isola più grande al mondo, le notti tra il 12° e il 25° parallelo sarebbero estremamente pericolose, visto come i genitori del nostro amico peloso potrebbero in qualsiasi momento scostare la paglia del tetto di casa, penetrare all’interno e strisciare silenziosamente fino al letto di famiglia. Per protendere quindi, come l’equivalente selvaggio del bonario E.T, questo loro dito cercatore, ma rivolto verso il collo degli umani addormentati, fino a perforargli l’aorta, causando emorragie letali. Perché mai dovrebbero farlo? Heh heh, chi può dirlo. Secondo altre fonti, il lemure cercherebbe direttamente il cuore, provocandone l’arresto immediato con estrema e immotivata spietatezza. Che ci vuoi fare: questo è il destino delle bestie ingiustamente screditate. Anche se dubito che persino il più nero dei gatti, nei nostri antichi borghi e luoghi più superstiziosi, avrebbe mai potuto suscitare un’odio e diffidenza comparabili a quelle di una simile proscimmia, che qui, così inerme e paciosa, può anche risultare graziosa. Ma che nella notte del suo ambiente naturale, diventerebbe uno spietato ed insistente predatore di…Bruchi.

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Coda lunga e pelo scuro, la pantera degli alberi si aggira nella notte. Si dice che sia proprio la pupilla dell’aye aye, stranamente piccola in proporzione al resto dell’occhio, a dargli quello sguardo piatto ed inquietante.

Ebbene si, l’evoluzione è strana. Al punto che quella particolare nicchia ecologica occupata in Europa, America, Asia e resto dell’Africa dai pennuti appartenenti alla famiglia dei Picidae (tra cui il picchio rosso e quello comune) qui vede l’operatività di un mammifero peloso lungo all’incirca 90 cm, che si arrampica sugli alberi come un koala. L’aye aye, che è un animale notturno, è dotato di una serie di armi e strategie estremamente particolari, che indubbiamente non hanno fatto altro che acuire l’istintiva diffidenza degli umani nei suoi confronti, visto come ciò che appaia insolito, generalmente, sia fin da subito interpretato come inquietante. La prossima volta che udite un battere ritmico nel cuore della notte, dunque, non pensate di aver lasciato il rubinetto semi-aperto. Ma piuttosto chiedetevi: sono in Madagascar? Perché proprio questo suono è quello che producono i lemuri Daubentonia, con l’obiettivo tutt’altro che scontato di rilevare spazi vuoti all’interno del legno, scavati senza dubbio da una succulenta larva d’insetto, fondamentale caposaldo della loro dieta.
È un approccio che risulta stranamente efficace, proprio in funzione delle grandi orecchie dell’animale, talmente efficienti da essere in grado di sviluppare l’ecolocazione. La forma di quest’ultime è infatti caratterizzata da una sorta di preminenze ed avvallamenti, che acuiscono e connotano la percezione della distanza, in quella che è stata occasionalmente decritta come un applicazione aurale ed anatomica del principio ottico della lente di Fresnel. Una volta scovato il proprio pasto, quindi, il lemure compie un altro gesto inaspettato: avvicinando la bocca al tronco, inizia a masticarlo. Ciò perché, l’avrete certamente già notato dai video soprastanti, questi è dotato di due incisivi preminenti ed acuminati, che crescono continuamente nel corso della sua vita, talmente atipici nella sua classe di animali che per lungo tempo l’hanno fatto classificare, erroneamente, come un appartenente all’ordine dei roditori. Una volta collegato il piccolo buco all’atrio degli spazi dell’insetto, per sfruttarlo a coronamento del suo pasto, l’aye aye non deve far altro che inserirvi il proprio lungo dito medio e farlo muovere in ogni possibile direzione. L’arto è dotato di un’articolazione simile a quella della spalla umana, che gli permette di flettersi, estendersi e ruotare a 360 gradi. Alla sua estremità, inoltre, è presente un’artiglio ad uncino, che aggancia il verme o bruco e poi lo tira fuori senza la benché minima difficoltà. È interessante notare come uno di questi animali che si trovi alle prese con un potenziale cibo dotato di un involucro relativamente resistente, come un cocco, la canna da zucchero, il frutto del ramy o persino l’uovo, sfrutti un’approccio del tutto simile del perforare e poi introdurre il dito, procedendo senza esitazioni nel portarselo alla bocca per mangiare. Addirittura, talvolta il lemure usa questo metodo anche per bere.

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I video di zeFrank della serie “True Facts” nonostante l’approccio chiaramente umoristico, sono spesso una fonte d’informazione valida sugli animali meno conosciuti. Inoltre, c’è da dire che usa sempre materiale fotografico di primissima categoria.

L’aye aye, lontano dalla sua terra d’origine, resta relativamente sconosciuto. Nonostante questo, possiamo affermare di conoscerlo per osmosi, attraverso le reinterpretazioni che ne abbiamo visto in alcuni grandi successi della cultura popolare contemporanea. Molti di voi vi avranno infatti riconosciuto, forse già in precedenza, l’origine remota dell’elfo Dobby della serie di Harry Potter, la cui proporzione orecchie occhi, la forma della testa e addirittura il colore della pelle risultano estremamente simili a quelle dell’animale malgascio. Un’altro erede facilmente individuabile sono i Gremlins cattivi dell’omonimo film del 1984 (regia: Jon Dante, produttore: Steven Spielberg) risultanza estremamente indesiderabile dell’aver contravvenuto, comprensibilmente, alle arbitrarie norme fornite in abbinamento ad un grazioso ed adorabile batuffolo di pelo. Ma non finisce qui. Volendolo cercare, questo adorabile animale spunta davvero da ogni parte: ne aveva uno al guinzaglio il lumacone Jabba, cattivo delle prime fasi del terzo film di Guerre Stellari, benché fosse stato notevolmente imbruttito e ribattezzato per l’occasione come “scimmia lucertola kowakiana”. Anche le mani ossute e longilinee del povero Gollum cinematografico, precedente detentore dell’Unico anello nella celeberrima saga di Tolkien, avevano una vaga rassomiglianza a quelle del più bistrattato e temuto dei lemuri rimasti a questo mondo.
Oggi, come la maggior parte degli altri animali legati al mondo delle superstizioni popolari, i Daubentonia madagascariensis si sono guadagnati un poco invidiabile posto nell’elenco delle specie a rischio di estinzione. A seguito del disboscamento delle regioni da loro abitate fin dalle epoche remote, infatti, le proscimmie tendono a scendere a valle, minacciando occasionalmente i campi coltivati e si dice, per quanto sembri improbabile, anche le galline nei pollai. Inoltre qualora dovessero mettere piede in un villaggio locale, saranno inoltre immediatamente uccise ed appese a testa in giù, affinché il loro spirito venga esorcizzato dal passaggio di visitatori stranieri. Proprio per questo, nel 1957 per loro è stata istituita una riserva speciale nell’isola di Nosy Mangabe, dopo un lungo periodo in cui si credeva che si fossero già estinte. In quest’ottica, la conservazione degli zoo diventa una prassi importante, utile a salvaguardare esemplari isolati da poter usare in futuro per diversificare il pool genetico a disposizione. Per dovere di cronaca, il piccolo di San Diego si chiama Fady ed al momento pesa soltanto 9 once (all’incirca un quarto di chilogrammo). Ma crescerà sicuramente presto, malefico e in salute. Speriamo che il suo dito trovi sempre validi pertugi da esplorare.

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