Larry Vickers, veterano non più in servizio delle forze speciali, stavolta non si è posizionato nel poligono per farci apprezzare soltanto la precisione della sua mira. Ad un secondo sguardo, infatti, si nota un qualcosa di diverso: all’arma manca un pezzo, a dir poco fondamentale. La copertura del sistema di recupero del gas. Di certo, nulla potrà funzionare come dovrebbe. Di certo…
Pur essendo tra le armi da fuoco più famose al mondo, i fucili della serie russa Avtomat Kalašnikova non vengono associati in Occidente a nessuna particolare soluzione ingegneristica, trovandosi piuttosto vagamente descritti, in alternanza, come un qualcosa di particolarmente inefficiente e poco preciso, oppure dei dispositivi diabolicamente facili da costruire e mantenere in funzione, anche per periodi estremamente lunghi e senza addestramento militare. Il che tra l’altro è vero, anche se questo non fu certamente l’obiettivo originale del celebre ingegnere progettista Michail Timofeevič Kalašnikov, che concepì quest’arma ancora in circolazione ed usata correntemente in ogni parte del mondo. Lavorando alacremente sul suo tavolo da disegno, nel 1947. Gli AK. Fucili creati sfruttando un insieme di approcci tecnici che erano, all’epoca della loro prima costruzione in serie, semplicemente il non-plus ultra della rinomata industria sovietica, mai fermatasi dall’epoca del primo ingresso in guerra, ma che adesso ci appaiono superati e relativamente a basso costo. Ancora una volta, con ottime ragioni. Il fatto è che quest’arma fu da subito talmente popolare, ed efficace, che ogni paese del blocco orientale a cui venne fornita in dotazione imparò subito a ricostruirla, diventando estremamente bravo a farlo. Ma i moderni appassionati d’armi, qualche volta formatisi servendo per gioco nei numerosi virtuali dei nostri tempi, concordano nel riconoscere che già l’AK-47, ma ancor maggiormente i suoi successori AKM (1959, la M sta per modernizzato) ed AK-74 (1974) sono complessivamente in grado di competere con le principali offerte del panorama europeo e statunitense, compensando i relativi difetti con alcuni grossi pregi, tra cui la leggendaria affidabilità. Durante la guerra in Corea del 1950, l’esercito degli Stati Uniti aveva ormai sostituito largamente il suo famoso fucile M1 Garand (quello del “ping” al termine della clip di fuoco) con la nuova carabina M2 a selezione di fuoco, che tuttavia risultava decisamente inefficace nel contrastare le armi nemiche. Così, si decise di sviluppare una nuova arma più potente, che fosse in grado di sfruttare le stesse munizioni di una mitragliatrice da supporto del fuoco, con conseguente semplificazione del processo di approvvigionamento. Da questi propositi nacquero il celeberrimo fucile M14 e l’M-60, l’arma pesante, per intenderci, che Rambo impugnava a mano nelle locandine dei suoi anni di gloria. Un’immagine tutt’altro che fuorviante, quando si considera i numerosi successi riscossi da quest’arma, tutt’ora prodotta ed inviata presso i principali campi di battaglia del mondo contemporaneo. Mentre lo stesso successo, in un primo momento, eluse il suo fratello minore, che si guadagnò una reputazione decisamente indesiderabile: s’inceppava fin troppo spesso. L’immagine dei soldati rinnegati sul finale del film Apocalypse Now, armati con fucili russi catturati al nemico, era infatti tutt’altro che romanzata, quando si considera l’alta considerazione in cui erano tenuti, soprattutto dai membri delle forze speciali, quei magnifici mitragliatori dal riconoscibile suono, che tra l’altro dissuadevano il nemico da gettare in quella direzione nulla più che un breve sguardo, nondimeno, preoccupato!
Si, ai quei tempi ormai remoti sussisteva una fondamentale verità: gli AK erano semplicemente, migliori. Ma vi siete mai chiesti perché? Di certo, nel film o videogioco medio, l’arma non viene mai smontata e mostrata nei dettagli, come si è invece prodigato a fare il qui presente divulgatore di YouTube, mostrando l’effettivo funzionamento di quello che era il suo singolo meccanismo di maggiore pregio. Il comandante di origini contadine Michail Kalašnikov, che aveva iniziato a lavorare nel campo dell’ingegneria da un letto d’ospedale, dopo essere rimasto ferito in una battaglia di carri armati del 1941, era solito affermare: “Ogni ingegnere tende a percorrere il proprio cammino, ma non si può creare un qualcosa di nuovo senza avere ben chiaro tutto ciò che è stato fatto in precedenza nello stesso campo. Io stesso ho riscontrato in molti casi questa verità.” Non a caso, dopo aver tentato di rinnovare le cartucce in uso all’Armata Rossa sulla base di quelle americane, proponendo un nuovo tipo di mitra mai entrato in produzione, avrebbe ottenuto il suo miglior successo con quella che era sostanzialmente, e sempre sarebbe rimasta, una reinterpretazione di un progetto tedesco, che era stato fortemente voluto da Hitler in persona: lo Sturmgewehr 44 del 1943. Il primo fucile d’assalto della storia, concepito sulla base di una presa di coscienza stranamente tralasciata fino a quel momento, ovvero che la maggior parte degli ingaggi di fanteria avvenissero a una distanza approssimativa di 400 metri, alla quale le armi a ripetizione di uso più comune, ovvero le mitragliette MP-40 e Thompson MPG risultavano pressoché inutilizzabili, mentre i fucili tradizionale ad otturatore o persino gli avveniristici semi-automatici con caricatore, riuscivano a sviluppare un volume di fuoco decisamente trascurabile rispetto ad una mitragliatrice fissa. Così i tedeschi, da sempre grandi innovatori, avevano inventato una tipo di munizioni intermedie, che sarebbero state sparate da soldati estremamente mobili in funzione della leggerezza del nuovo fucile, ed al tempo stesso in grado di scagliare raffiche contro il nemico. La metodologia scelta per garantire un grado accettabile di precisione, nel compiere un tale gesto totalmente nuovo nella storia della balistica, fu l’invenzione di un sistema che è poi quello che stiamo osservando all’opera nei video di Vickers Tactical, era stato definito nel 1970, in uno studio del colonnello Richard R. Hallock: “La singola innovazione più importante nel campo delle armi da fuoco dopo la polvere infume“. Stiamo parlando, se non fosse ancora chiaro, del cilindro di recupero del gas.
Un metodo, estremamente valido ed ingegnoso, per sfruttare la stessa forza balistica del proiettile in fase di fuoriuscita, per far muovere un lungo pistone posto sopra ed in parallelo alla canna, collegato ad una guida che si occupa di espellere il bossolo, facendo nel contempo avanzare il prossimo proiettile del caricatore. Il che aveva il vantaggio aggiunto, oltre a quello di agevolare il funzionamento del fucile, di far trovare sfogo ad una parte delle forze in gioco, riducendo di conseguenza il rinculo dell’arma. Prima di questa invenzione, il semplice concetto di un fuoco automatico da un’arma a gittata medio-lunga era sostanzialmente inimmaginabile, del tutto inadeguato all’uso in vere situazioni di combattimento. Nel corso della seconda guerra mondiale, uno Sturmgewehr sottratto al nemico venne famosamente dimostrato il 15 luglio del 1943, di fronte ad un intero pubblico di commissari dell’Unione Sovietica, lasciando un’impressione positiva che non poteva prescindere da un immediato tentativo d’imitazione, supportato da ingenti finanziamenti dell’esercito. Che poi diventò, nei fatti, la carabina semi-automatica SKS di Sergei Gavrilovich Simonov. Ma un vero fucile in grado di sviluppare il fuoco a ripetizione non sarebbe arrivato fino a cinque anni dopo con l’invenzione di Kalašnikov, destinata a guidare la diffusione nazionale e poi globale di questo innovativo concetto d’arma. Le innovazioni di fondo erano relativamente poche, ma tra queste campeggiava una molto significativa: nel sistema del pistone lungo, usato dall’AK, i gas della detonazione vengono espulsi dal cilindro al termine di ciascun ciclo di fuoco, evitando l’accumulo di detriti nell’atrio di funzionamento. Inoltre, la massa stessa dell’intero meccanismo contribuisce alla forza d’espulsione del bossolo ed all’arretramento dell’otturatore integrato, grazie alla forza dell’inerzia. Nel sistema alternativo del cilindro breve invece, usato ad esempio nel vecchio M1 Garand o nel fucile belga FN FAL, il cilindro si muove indipendentemente dall’otturatore, colpendolo al termine della sua corsa in un punto d’impatto che viene definito in gergo tappet. L’AK del ’47, adottato ufficialmente dall’esercito sovietico nel ’49, presentava inoltre una soluzione interessante per la leva di selezione della modalità di fuoco che era piuttosto grande, e posta sul lato destro dell’arma. Questa presentava tre posizioni: sicura, fuoco automatico e singolo, in questo preciso ordine. Affinché un soldato colto dal panico improvviso, premendola fino in fondo, non iniziasse a sparare raffiche fuori controllo, con conseguente degrado della sua efficienza bellica e pericolo per i suoi commilitoni. Soltanto un gesto deliberato, che tenesse conto dello scatto centrale del meccanismo, poteva permettergli di iniziare a far pressione seriamente sulle postazioni nemiche.
I fucili della serie AK, nell’iconografia moderna, sono rimasti associati ad un mondo di eserciti irregolari e pericolose insurrezioni o colpi di stato. La loro reputazione di “armi dei cattivi”, che nasce in buona parte anche dall’antica rivalità tra Stati Uniti ed URSS, resta tuttavia largamente ingiustificata, specie quando si considera che il loro creatore, in origine, li aveva creati come diretta risposta alle esigenze dei suoi compagni feriti, a seguito delle dure battaglie di un’epoca di drammi senza fine. Lo stesso Michail Kalašnikov, pluridecorato veterano, prima di venire a mancare nel recente 2013 alla veneranda età di 94 anni, aveva più volte auspicato che il suo capolavoro fosse considerato unicamente “un’arma di difesa” piuttosto che d’offesa, ed aveva dichiarato il suo rammarico per il commercio incontrollato che ne era stato fatto successivamente alla guerra, con i soliti propositi d’arricchimento personale. Nonostante questo, rimase sempre fiero di ciò che era riuscito a costruire, senza rinnegare il suo passato. Nel 2004, diventato ormai un personaggio della cultura popolare ed un vero e proprio meme del web, era assurto a testimonial della Vodka Kalašnikov prodotta a San Pietroburgo, riconoscibile dalla bottiglia a forma di fucile trasparente, venduta in una scatola di munizioni ed impreziosita con una finta granata ripiena di liquore alle erbe. L’intera confezione regalo, ancora venduta sui principali mercati internazionali, ha un prezzo approssimativo di 120-130 euro, grossomodo equivalente a quello di un vero fucile AK nei paesi africani di Somalia, Ruanda, Mozambique, Congo e Tanzania.