Si dice che qualunque gatto che, per qualche ragione legata ad uno spavento improvviso, si sia ritrovato suo malgrado a correre verso la cima di un arbusto, prima o poi ritorni al suolo senza bisogno di aiuto. Spinto forse dalla fame, dalla voglia di tornare in società, dal bisogno di mettersi a dormire in una cuccia comoda e protetta: ciò che sale ridiscende (quasi sempre) tutto intero. Qualcuno poi consiglia bellamente, senza nessun tipo di riserva, di affrettare un po’ le cose, andando a prendere un secondo felino per portarlo sulla scena: perché i gatti, questo è noto, tendono ad aiutarsi a vicenda, ed è largamente attestato il caso di un secondo miglior-amico-dell’uomo, magari più esperto e/o riposato del primo, che si prodighi nel salire appresso a suo cugino, per poi spronarlo mostrandogli la via migliore per il suolo. Ma la realtà dei fatti non è sempre bianca o nera, come un celtico dal pelo corto: si, è indubbio che un gatto bloccato sopra un albero sia in un pericolo MINORE di quello che correrebbero molti animali nella stessa condizione. Ma è anche vero che i suoi artigli ricurvi, perfetti per salire, sono poi decisamente inefficienti per effettuare l’azione contraria, a meno che il gatto non si volti con la schiena rivolta verso l’esterno dell’albero, percorrendo quindi il tronco a ritroso, come un piccolo ninja miagolante. E non sarebbe questo, certamente, il più naturale degli atteggiamenti di un quadrupede in difficoltà.
Si rende quindi necessario, certe volte, l’intervento umano. E certamente lo sarebbe stato in questo caso quasi apocalittico, di due cuccioli saliti, in qualche modo misterioso, sulla cima del più dannatamente alto albero del circondario; un caso all’apparenza privo di speranza, a meno di chiamare sulla scena i prototipici pompieri, dotati di autopompa con la praticissima scala allungabile. Ma se soltanto la vita fosse semplice, come i cartoni animati! Le problematiche da prendere in considerazione per un tale approccio sarebbero state molteplici, a partire da quella logistica, di portare un mezzo tutt’altro che agile e scattante in mezzo a quello che potrebbe essere un parco cittadino, con panchine, laghetti, viali, innumerevoli altri arbusti dai rami bassi e vicini. Per poi passare alla domanda, critica ma spesso data per scontata: avrebbe avuto una risposta effettiva, questa “tragica” chiamata? La realtà è che chi viene pagato dal comune, per difendere gli umani in caso di emergenza, difficilmente potrebbe poi giustificare l’impiego del suo tempo a vantaggio di sacrificabili animali. È una triste realtà del mondo, questa. Se vuoi salvare un gatto, sii pronto, agisci subito, intervieni come puoi. O almeno, così deve averla pensata l’eroico ciclista Flavius Cristea, giovane protagonista di questo video girato POSSIBILMENTE in Romania (si desume dal suo nome e dallo sponsor di un altro exploit presente sul canale, l’energy drink Glontz) che con grande sprezzo del pericolo, senza esitare neanche per il tempo di un singolo episodio di Tom & Jerry, ha provveduto ad adagiare la sua bicicletta contro l’albero per darsi all’arrampicata, con al seguito una corda, tuttavia non utile a salvare tanto la sua vita, in caso di eventuali passi falsi, quanto per calare a terra i due malcapitati gattini, che lui aveva già pensato d’inserire uno alla volta in una borsa, per calarli quindi a terra con l’equivalente raccogliticcio di un pratico ascensore arboreo.
Aha, ci ruscirà? Oppure siamo destinati a verificare, finalmente in prima persona, la leggenda secondo cui un felino avrebbe un numero plurimo di vite, cioé sette, nella tradizione italiana, oppure nove come sono pronti a giurare nei paesi anglosassoni, o ancora una quantità infinita, come certamente la pensavano gli Egizi, abituati a venerare queste bestie nei templi dedicati a Bastet, dea della guerra. La ragione e il passo dell’aneddoto saranno rivelati a chi vorrà seguirlo, fino ed oltre il pantagruelico finale. Ma attenzione: l’evento qui rappresentato, dopo tutto, non è un monito davvero significativo. Che lezione si può trarre, dopo tutto, da una situazione in cui il pericolo è attentamente controllato, tutti sanno ciò che stanno facendo e non c’è neanche il cenno di un drammatico imprevisto…Molto meglio sarebbe, nel prendere atto che cose tali possono accadere, osservare di confronto un caso in cui l’emergenza è stata condotta alle finali conseguenze, tra esplosioni pirotecniche degne del cinema di Michael Bay;
È una storia molto celebre. Una vicenda estremamente significativa. Tutti ormai conoscono, magari non per nome, l’avventura vissuta nel 2001 dal soldato Igor Novikov a Nižnij Novgorod, grande metropoli della Russia europea. Come abbiamo infatti accennato poco sopra, è ormai generalmente sconsigliato chiamare i pompieri per l’emergenza-gatto-albero, con il dipartimento di Londra, ad esempio, che in uno storico proclama del 2012 riportato anche dal Telegraph affermò: “Abbiamo personale altamente qualificato, non chiamateci per simili facezie.” Nulla è invece mai stato detto per l’esercito, che a quanto pare resterebbe libero d’intervenire sulla base di una personale scala delle priorità. E meno male che qualcuno, in quel particolare critico momento, pensò bene di ricorrere ai fieri discendenti dell’Armata Rossa, facendo una telefonata a chi di dovere presso una probabile caserma locale. Altrimenti avremmo perso il piacere, ed il fascino innegabile, di uno dei migliori video virali di tutti i tempi, in cui si mescolano il dramma, la suspence, incredibili colpi di scena…
Tutto inizia in modo piuttosto innocente, con il giovane sottufficiale che si fa preparare da un abitante del luogo una bottiglia legata ad una corda, da usare come rampino per lanciare il tutto al di sopra del ramo col suo miagolante inquilino. Qualcuno chiede timidamente: “Credi che sia abbastanza lunga?” Nessun problema. Assolutamente. Nessuno. Nel rompere la finestra del piano di sotto, contro cui l’arnese impatta clamorosamente con tutto l’imbarazzo del caso. Fu proprio allora che, lungi dal perdersi d’animo e fatta una smorfia contrita, Igor decise che a qualunque costo, indipendentemente dalle circostanze, lui. Quel gatto. L’avrebbe. Salvato. Un secondo tentativo, certamente di miglior successo, viene portato a termine mediante l’utilizzo di un rotolo di carta igienica, che porta alla desiderabile condizione di una cima saldamente assicurata, utile a scrollare l’albero cercando d’indurre il felino al fondamentale salto della fede, cui fa séguito la gioia della libertà. Peccato che ciò non si verifichi, nemmeno quando l’albero viene tirato verso il suolo fino a fletterlo come il braccio di una catapulta, pronto a scaraventare l’ostinato animaletto fin oltre le acque del fiume Volga. Così, ormai pronto a ricorrere al mezzo più estremo, Igor si fa portare la “tipica ascia da macellaio” (che a quanto pare non manca in nessuna casa russa) con cui inizia a percuotere insistentemente la pianta. Finché alla fine, in un attimo di gloriosa distruzione, la sua intera massa non si adagia sui vicini fili dell’alta tensione (pare che nessuno li avesse notati) con il gatto che, terrorizzato, finalmente scappa verso lidi più ospitali. Pare, ad ogni modo, che non soltanto questi sia sopravvisuto, ma abbia anche ricevuto il nome di Barsik e lo status di mascotte locale. Nel simbolico e indimenticabile finale, uno dei presenti chiede ad Igor, osservando la tragica devastazione: “E adesso? Che farai?” Mentre lui, con un ampio ed empatico sorriso, risponderà: “Andrò a casa a dormire.” Se ci fosse stato un pubblico disinteressato al conseguente black-out, presente in quel magnifico e storico momento, credo che avrebbe applaudito. In una vera apoteosi.
Per citare il terzo film della serie di Alien: “Questa volta si sono andati a nascondere nel luogo peggiore di tutti”. E qualche volta, le conseguenze peggiori sono inevitabili. Un gatto è infatti sempre pronto, per istinto e predisposizione, a cercare un luogo alto da cui mettersi in agguato, per piombare quindi sulla preda impreparata. Ma non è detto che misuri bene le distanze. Lo spazio minimo necessario perché uno di questi adorabili animali possa, da qualsiasi assetto, ribaltarsi con le zampe verso il suolo è infatti stato definito come soli 90 cm, mentre felini sono sopravvissuti anche a cadute di 5 o 6 piani, riportando ferite quasi trascurabili. Tutto considerato. In fondo un gatto pesa relativamente poco, il che costituisce un notevole vantaggio. Pare infatti che il problema principale, su certe cadute di media entità, che porta talvolta alla perdita di una delle molte vite dell’animale, non sia esattamente il semplice impatto con il suolo, quanto piuttosto il modo in cui il felino, poco prima di raggiungere la propria velocità terminale, si irrigidisca, portando a infortuni maggiormente significativi del dovuto. Quindi, cadendo da più in alto, si fa meno male: non è forse questo un magnifico, quasi poetico paradosso? Simili casistiche, in cui la logica pare sfuggire all’immediata comprensione, non appartengono in alcun modo alla sfera concettuale di quell’altro amico cane, animale certamente più condizionato dalle leggi della fisica, per così dire, newtoniana. Ed è forse per questo che quella coda scodinzolante, le orecchie a punta ed il naso umido e affettuoso, hanno un effetto per lo più rassicurante, tutto il contrario del quieto disinteresse trasmesso da quell’altro coabitante talvolta domestico, per cui il padrone è un optional, mentre l’indipendenza una necessità. Ma forse proprio questo è il suo maggiore fascino, che merita salvezza e protezione da parte degli umani, fin’anche nei luoghi meno accessibili e vicini al saldo suolo.