Galleggiante nell’acqua di un laghetto, il modellino della cannoniera Novgorod appare quanto di più assurdo possa essere attrezzato per un pomeriggio coi radiocomandi. Con la forma esatta di un tappo di bottiglia sovradimensionato, che oscilla vistosamente per l’effetto di qualche lievissima folata di vento, mentre i pupazzetti sul ponte non fanno che aumentare l’effetto giocattolesco, quasi ridicolo nella sua improbabilità. Eppure, non solo è realmente esistita, ma ebbe anche due successori, costati verso la seconda metà del XIX secolo, rispettivamente, 3.260.000 rubli (cannoni esclusi) e 3.114.000 (arredi imperiali esclusi). Mentre lei, la prima e più famosa della serie, dal diametro di “soli” 30 metri, fu portata a termine con una spesa complessiva di 2.830.000 rubli, generosamente elargiti dallo zar Alessandro II, Imperatore e autocrate di tutte le Russie ad Andrei Alexandrovich Popov, ammiraglio della flotta e stimato progettista navale, di quelli che, per usare un eufemismo, mai si fecero condizionare dai preconcetti di settore. Un tratto che non gli rese affatto la vita facile, soprattutto all’epoca coéva, quando alcune delle sue creazioni maggiormente insolite furono definite a più riprese “le peggiori navi che abbiano solcato i mari”, benché vada specificato: tali critiche venivano principalmente dagli avversari politici internazionali, che certamente non vedevano di buon grado qualsiasi sforzo bellico mirato a metterli in difficoltà. Ne dissero tantissime: che le navi fossero troppo pesanti ed inguidabili, che nel mare mosso non riuscissero a curvare, addirittura che ogni volta che sparavano con uno dei loro poderosi cannoni, ruotassero di qualche grado, rendendo necessario un continuo lavoro di correzione della mira. Mentre le popovski, come vennero chiamate per antonomasia, sarebbero state delle navi perfettamente efficienti nel ruolo a cui erano state destinate, se non fosse (purtroppo o meno male) mancata l’occasione di metterle alla prova in battaglia, e soprattutto se nel terzo caso, dell’enorme yacht Livadia costruito per lo zar stesso, non fosse intercorsa l’improvvisa morte del sovrano nel 1881, a seguito dell’attentato bombarolo organizzato da un membro di San Pietroburgo della Narodnaya Volya, la “Volontà del Popolo”. Era un tempo di ferventi mutamenti, nella Grande Madre Russia, e la crescita storica di un’identità nazionale, come sempre è capitato, non può prescindere da alcuni significativi passi falsi. Siano questi gli assassinii politici, o strane avventure lungo i rami periferici dell’ingegneria bellica, destinate a non dare germogli o fiori di alcun tipo. L’ideatore del concetto, portato a coronamento poco più di 10 anni prima, era del resto stato un personaggio assolutamente degno di fiducia, nel suo senso d’iniziativa e l’eclettismo che l’aveva portato ad affidare l’esito della sua carriera, ed invero di una parte considerevole dell’opinione che i posteri avrebbero avuto di lui, a queste versioni galleggianti di una tazza da caffè, rigorosamente corazzata e pericolosa.
Stiamo parlando niente meno che dell’ammiraglio Popov: ufficiale di carriera fin dalla giovane età, nonché una figura del tutto affine al concetto, particolarmente familiare a noi italiani, di un vero eroe dei due mondi. Decorato veterano della guerra in Crimea (1853-1856) durante la quale aveva comandato l’incrociatore a vapore Meteor, raggiungendo la qualifica di addetto ai rifornimenti di munizioni a Sebastopoli, una città che poco tempo dopo sarebbe stata circondata e bombardata spietatamente dalle forze congiunte della Francia e Gran Bretagna, lo ritroviamo nel 1863, al comando di una squadra navale costruita secondo metodi convenzionali nell’oceano Pacifico, nel bel mezzo della guerra civile americana. E fu proprio allora che decise, con il beneplacito dello zar, d’intervenire a sostegno dell’Unione (i “nordisti”) che a loro volta avevano supportato politicamente la Russia durante la Rivolta di Gennaio, messa in atto dai secessionisti polacchi, lituani e bielorussi nel 1863. Occhio per occhio, dente per dente: non soltanto un modo di dire, ma il motto del sincero uomo di marina. Così egli approdò, nel giro di pochi mesi, presso il porto di San Francisco, con sei corvette e due clipper, facendo contribuire i suoi equipaggi allo sforzo collettivo di fortificare la città, che all’epoca temeva un’aggressione dell’esercito confederato. Si racconta anche che i suoi marinai, oltre a fondare la prima parrocchia ortodossa del vasto centro urbano, avessero contribuito a spegnere un grave incendio scoppiato di lì a poco. L’attacco dei nemici, invece, non giunse mai, probabilmente proprio in funzione dell’alone di protezione offerto dagli improbabili alleati provenienti dall’Eurasia. Nel 1836, Popov tornò in patria, guadagnandosi quel ruolo che avrebbe mantenuto fino al suo pensionamento, avvenuto oltre 30 anni dopo: l’inventore, o lo scienziato pazzo, se vogliamo, di nuovi approcci alla difesa delle acque confinanti del più vasto paese al mondo. Con progetti grandi, potenti e qualche volta, addirittura, tonde.
L’idea della Novgorod, prima delle popovka, come amava chiamarle lo zar Alessandro, nacque in effetti da una fortuita commistione di fattori. Il primo fu un articolo del rinomato costruttore di navi scozzese John Elder, che nel 1868 rese pubblico il suo studio su come uno scafo più largo potesse, in teoria, consentire la costruzione di una nave più bassa sulle onde e al tempo stesso pesante, quindi ben corazzata e armata fino ai denti. La teoria fu apertamente supportata da Sir Edward Reed, direttore delle costruzioni della Reale Marina Inglese, che tuttavia non tento mai di mettere in atto l’idea. Mentre in Russia, lo svantaggioso Trattato di Parigi, stipulato a forza dopo l’infausta guerra di Crimea con le potenze occidentali, limitava la costruzione di navi superiori ad 810 tonnellate fuori dallo spazio del sempre sospirato Mar Nero, ovvero nei fatti, a San Pietroburgo, sotto la supervisione diretta dell’autorevole ammiraglio. Così questa figura di primo piano, colpita dal concetto proveniente dall’estero, riuscì a convincere i suoi pari, e addirittura lo stesso ammiraglio supremo il Gran Duca Konstantin Nikolayevich, che non soltanto le navi dovessero estendersi maggiormente lungo l’asse latitudinale, ma che dovessero farlo per la massima entità possibile, diventando, nei fatti, perfettamente circolari. Era del resto indubbio che la conseguente caratteristica, di un pescaggio grandemente minore, avrebbe trovato applicazione utile nella difesa dell’estuario del fiume Dnieper-Bug e dello stretto di Kerch, due obiettivi d’importanza strategica difficile da sopravvalutare. L’efficienza strategica di questa classe di navi, basse e decisamente ardue da colpire, era stata del resto recentemente dimostrata dalla USS Monitor, la cannoniera dell’Unione che nel 1862 fece la differenza durante le ultime battute della guerra civile americana, liberando più di un estuario sottoposto al blocco della flotta avversaria.
Il progetto originario era estremamente ambizioso: Popov avrebbe costruito una grande nave da 46 metri di diametro, armata con quattro cannoni da 11 pollici. Quando gli venne tuttavia fatto notare come il costo di un tale gigante, da solo, avrebbe superato il budget complessivo del programma, il sogno venne notevolmente di scala, per quella che sarebbe diventata l’ispiratrice del modellino che abbiamo visto in apertura, da 30 metri e con due soli cannoni, montati su una fortificazione a barbetta presso il mozzo della “ruota” (la prima applicazione di questa tipologia di soluzione nella marina russa). Con una spessa corazza ricoperta di rame, per ridurre le incrostazioni di molluschi che avrebbero ridotto ulteriormente la già non eccezionale agilità del natante, la Novgorod era spinta da sei propulsori orizzontali a vapore, in grado di produrre 3360 cavalli di potenza. Nonostante questo, la cannoniera poteva muoversi a soltanto 6,5 nodi (12 Km/h) in funzione del suo peso notevole di 2,531 tonnellate. Inoltre, in situazioni di mare particolarmente mosso, tendeva a sollevarsi come un piatto da portata, ritrovandosi con i propulsori totalmente fuori dall’acqua. Ciò aveva ulteriori conseguenze deleterie sulle prestazioni. Ma era potente: una sola cannonata partita da quel ponte riusciva a penetrare 30 cm d’acciaio a 730 metri di distanza, grazie all’impiego di munizioni dal peso di 222 Kg ciascuna. Il rinculo delle armi era talmente potente, e il freno d’artiglieria così inadeguato, che ciascun colpo scombinava la mira, portando alla diffusione del mito secondo cui la nave ruotasse a seguito di ciascun colpo sparato, una chiara esagerazione. Nel 1873, a seguito di un nuovo via libera, venne quindi costruita la seconda nave della serie, denominata inizialmente Kiev, poi Vitse-admiral Popov in onore al suo creatore, con l’applicazione di alcuni significativi miglioramenti tecnici. La nave misurava ben 38 metri e poteva raggiungere gli 8,5 nodi, grazie all’impiego di otto motori progettati in via specifica da Charles Baird, un altro celebre inventore scozzese. I due cannoni, inoltre, aumentati di calibro, potevano sparare munizioni di 290 Kg. Questa seconda nave, inoltre, fu costruita direttamente presso il porto di Nikolaev in Ucraina, gli accordi di Parigi ormai soprasseduti dallo scoppio della guerra franco-prussiana, evitando il difficile passaggio del trasporto via terra fino alle coste del Mar Nero.
Nonostante i notevoli propositi battaglieri, nonché lo scoppio quasi immediato della guerra russo-turca del 1877 per il trattamento dei cittadini cristiani nell’impero Ottomano, le due navi non ebbero mai modo di far fuoco contro scafi nemici, effettuando soltanto alcune crociere infruttuose di pattugliamento. Abbandonate nei porti di stazionamento, poi trasformate in depositi, vennero gradualmente decomissionate, fino alla vendita come materie prime da riciclo, avvenuta per entrambe nel 1910. Ma nonostante il relativo insuccesso, il loro creatore non era pronto ad arrendersi, tanto che nel 1880, poco dopo la conclusione di questo ennesimo conflitto, rinnovò la sua idea preferita, portando alla costruzione dello yacht più tondeggiante nella storia delle onde navigabili: la (nuova) incredibile Livadia.
Il fatto è che lo zar Alessandro possedeva dal 1873, con sua suprema soddisfazione, una nave personale da trasporto a vapore, con tanto di appagante ruota propulsiva, lunga ben 81 metri. Con l’inizio del conflitto contro gli ottomani, questa era stata quindi trasformata in un incrociatore ausiliario, in grado di affondare persino uno schooner turco, sopravvivendo senza un graffio ai lunghi anni di guerra. Nel 1877, tuttavia, un’improvvisa tempesta la portò ad arenarsi presso il capo di Tarkhan-Kut in Crimea, lasciando poi che fosse devastata dalla forza implacabile dei venti. Così, lo zar decise di rivolgersi, per la sua ricostruzione con lo stesso nome, proprio al suo progettista preferito, l’ormai vecchio ed esperto Popov. La Livadia pt. II fu un vero trionfo del concetto stesso di popovka: sacrificando il suo amore per la perfezione geometrica, l’ammiraglio decise di dargli una forma più allungata, simile a quella di una foglia o di un pancake, per una lunghezza notevolmente aumentata di 71 metri. Naturalmente, quando si lavorava per costruire la nave in cui avrebbero viaggiato gli stessi dinasti Romanov, le risorse a disposizione erano pressoché illimitate: così lo scafo ricevette 3 motori sperimentali a vapore, forniti di ben 10 bollitori, che avrebbero dovuto concedergli, nell’idea progettuale, almeno 15 nodi di velocità. La costituzione stessa del natante era notevolmente diversa da quella della Novgorod e la Kiev/Popov: c’era una parte inferiore, che si estendeva al di sotto della linea di galleggiamento, costruita secondo i precetti ingegneristici dell’originario sistema teorizzato originariamente da John Elder, che partecipò personalmente al progetto, ma c’era anche un ponte superiore, più allungato, costruito con metodologie del tutto indipendenti. Le priorità, in questo caso, erano soprattutto le seguenti due: sicurezza e stabilità, ovvero comfort di utilizzo da parte del sovrano e della sua famiglia. Il 30 settembre del 1880, la nave salpò da Brest in Francia per il suo primo viaggio, con l’equipaggio al completo di 24 ufficiali e 324 membri dell’equipaggio, con la condizione che se non avesse raggiunto i 15 nodi, la John Elder & Co. non sarebbe stata pagata. Ma la prima missione, da quel punto di vista almeno, riuscì. Purtroppo, la Livadia soffriva di un problema niente affatto indifferente: la vastità dello scafo, così piatto e privo di una chiglia, la rendeva un bersaglio facile delle turbolenze dovute alle onde semi-sommerse, che riverberavano con suono roboante lungo la sua intera estensione. Tanto che in questo primo viaggio dovette sostare per un lungo periodo presso Ferrol, in Spagna, onde riparare una crepa che si era formata e provvedere ad una vasta serie di miglioramenti, resi più difficili dal fatto che non esistesse, nell’intero mondo di allora, un bacino di carenaggio tanto largo da ospitarla. Per lunghi mesi, la nave fu fatta oggetto della satira internazionale, diventando il soggetto preferito dei giornali sensazionalisti. Si diceva che “I nichilisti che si oppongono ai Romanov non dovranno neanche tentare di affondarla, perché riuscirà a farlo da sola.” Nonostante ciò, la nave venne riparata e tenuta in servizio attivo per tre anni, durante i quali venne usata per lo scopo originario soltanto una volta. I passeggeri che ebbe nel corso della sua breve vita operativa, inclusi i Gran Duchi Constantine e Mikhail, raccontarono di come avessero trascorso l’intero turno di servizio in un costante stato di terrore, convinti di aver colpito qualche scoglio o relitto vagante lungo le coste d’Europa e del Mar Nero. Proprio con lo scopo di metterla alla berlina, il poeta inglese Algernon Charles Swinburne scrisse, in una sorta di sinistra profezia:
And fear at hand for pilot over sea,
With death for compass and despair for star
And the white foam a shroud for the White Czar.
ovvero:
E la paura sempre presente per il timoniere
Con la morte per bussola e la disperazione come stella
E la schiuma bianca a far da sudario per il Bianco Zar