A centinaia di chilometri sotto il livello del mare, tra le Ande della Patagonia, il gas mescolatosi al magma primordiale fin dall’alba dei tempi sviluppa un fenomeno improvviso di decompressione. D’un tratto, ciò che soggiaceva silenziosamente inizia a ribollire, aumenta la sua massa complessiva e sale rapido verso la superficie. È il 22 aprile del 2015 e il sommo Zeus, svegliato dal frastuono, decide che desidera partecipare. Molte delle immagini più affascinanti che vediamo su Internet, a un’analisi più approfondita, risultano del tutto false. Altre, riprese nelle circostanze di una qualche meraviglia o insolita evenienza naturale, sono invece incredibilmente, stranamente vere. Ma esiste una terza categoria, forse la più difficile da comprendere a fondo, che è la reinterpretazione visuale di un qualcosa di realmente avvenuto, reso però evidente, o in qualche modo maggiormente chiaro, dall’uso di un effetto digitale. In questo breve spezzone pubblicato dalla BBC e diventato subito virale online, una nube rosacea di chiare origini magmatiche si erge sopra quello che viene descritto come “un vulcano della Patagonia”. Dopo qualche istante, incredibilmente, tra i fumi appaiono dei lampi luminosi e ben ramificati, quasi come si trattasse di…Fulmini? Una tempesta elettrica, che per qualche misteriosa coincidenza si è andata a mescolare proprio con un simile fenomeno raro e terrificante. Cielo e terra, mescolati assieme in questo ideale calderone dall’effetto sconvolgente…Ebbene, qualcosa di simile, in effetti era successo presso questi lidi ed esattamente quattro anni fa, durante un’eruzione del vicino vulcano di Cordón Caulle, oltre che in numerosi altri casi, totalmente scollegati tra loro, sparsi in giro per il mondo. Il temporale eruttivo è un fenomeno più volte fotografato, anche se riprenderlo in un video, nella maggior parte dei casi, risulta pressoché impossibile. Ma prima di descriverne il motivo, occorre comprendere cosa stesse in effetti accadendo.
Un calore inimmaginabile, assieme a forze di entità che sfuggono alla mera comprensione degli umani: ancora una volta, la pietra fusa sgorga dalla cima dello stratovulcano Calbuco, a 2.105 metri di altitudine, diventando lava che discende verso valle. Ma mentre si stava verificando questo, già le sostanze volatili contenute nel canale di risalita, prevalentemente acqua e diossido di carbonio, formavano delle bolle nell’ustionante fluido delle profondità, riducendone ulteriormente la viscosità. A questo punto, la questione fu decisa dai valori in gioco: se le sacche d’aria avessero potuto di accumularsi, perché il magma era sufficientemente viscoso in origine da permettere il crearsi di un effetto tappo, in assenza di vie di sfogo la pressione sarebbe aumentata a dismisura. Ad un certo punto, all’improvviso, si sarebbe sviluppata una devastante dell’eruzione di tipo pliniano, così chiamata dallo storico che la descrisse per primo, vedendola avvenire su Pompei: una nube piroclastica, dalla temperatura elevatissima, che discende le pendici della montagna, distruggendo una buona parte del cono vulcanico e tutto ciò che fosse tanto sfortunato da trovarsi attorno a lui. Certamente, nel caso del Calbuco, le conseguenze sarebbero state meno gravi che in precedenza, dato che la città più vicina (Puerto Varas) è sita a 39 Km di distanza. Ma comunque, per stavolta è andata bene. Perché la grande montagna, per dare sfogo alla sua ira, ha preso la via tipica di siti con del magma ricco di silicio o basalto-andesite, ovvero una prima esplosione, sufficiente a liberare l’apertura del cratere, seguita da una lenta colata effusiva. Il termine tecnico, coniato da Giuseppe Mercalli, è esplosione vulcaniana, dal nome dell’isola di Vulcano.
Così l’energia ha trovato sfogo graduale, prendendo in parte la via dell’emissione semi-solida, il cui calore ha dato origine a migliaia di leggende. Ma l’aumento esponenziale del pericolo, persino in questo caso, non è mancato del tutto all’appello. La sostanza nel fare ciò ha accelerato progressivamente, con il risultato che, al momento dell’eruzione, masse di polveri sono partite verso la distante stratosfera: frammenti di roccia polverizzata, minerali e vetro di ossidiana, mescolati tutti assieme in un tremendo fumo nero, irrespirabile e potenzialmente letale. In mezzo a questo, infine, si è creato attrito.
L’origine di un fulmine comune, per quanto ne sappiamo vista la complessità di studio di un fenomeno senza un punto d’origine chiaro, è dovuta allo scontrarsi vicendevole di minuscole particelle di ghiaccio, portate in giro tra il vapore acqueo delle nubi. E qualcosa di simile è alla base del temporale vulcanico del video del Calbuco, a quota e su scala molto più ridotta, che si genera tra la polvere del mondo sotteraneo. Micro globuli di terra e pietra, sfregati per la forza del vento, creano scintille di entità variabile, finché il potenziale elettrico di una parte della nube diventa notevolmente maggiore di quello di un’altra. O in alternativa, ciò succede con il suolo. A quel punto, la scarica elettrica da oltre un milione di volt è una conseguenza inevitabile dell’intera, problematica situazione. Nel febbraio del 2015, un gruppo di studiosi provenienti da diverse istituzioni, tra cui le università dell’Alabama e di Canterbury, ha prodotto un articolo per la rivista scietnifica Geology relativo al ritrovamento di strani globuli vetrosi, tra i detriti dovuti a numerose eruzioni degli ultimi anni, tra cui quella famosa dell’Eyjafjallajökull islandese. Tali masse, che possono raggiungere anche i due centimetri di diametro, sarebbero la risultanza dell’elettricità che colpisce le ceneri sparse nell’aria, solidificandole e fondendole tra loro.
Il problema del riprendere un simile evento è che lo scatenarsi elettrico della deflagrazione è tanto veloce nel suo propagarsi, che l’unico modo per mostrarlo in un video è utilizzare tempi di esposizione particolarmente rapidi, al punto che la nube retrostante finisce per diventare una macchia sfocata ed indistinta. E proprio dal voler contrastare tale effetto indesiderato trae l’origine l’idea geniale della BBC: utilizzare una ripresa spettacolare dell’eruzione più famosa in time-lapse, ripresa da “cameramen locali” ponendovi in sovraimpressione i fulmini, estratti con metodi digitali dall’evento precedente. Ciò ha anche il valore aggiunto di poter mostrare l’espansione della nube piroclastica, di concerto con la progressione del suo temporale; effetto impossibile da osservare nei 15 brevi secondi del video rilasciato al pubblico, ma che certamente sarà presente nel documentario finale, presto sugli schermi inglesi ed a seguire, come sempre, sulle tv satellitari di mezzo mondo. Il Calbuco, dopo tutto, non è un sito particolarmente noto all’opinione pubblica, anche perché non rientra nello studio della IAVCEI (Associazione Internazionale di Vulcanologia e Studio della Chimica della Terra) sui cosiddetti vulcani del decennio, ovvero che potrebbero sviluppare gravi deflagrazioni nei prossimi 10 anni, come ad esempio l’Etna o il Sakurajima. Ogni occasione di approfondimento sarà dunque bene accetta.
Eruzioni, temporali: due dei fenomeni che da più tempo sconvolgono le popolazioni dei diversi continenti, dando l’origine a innumerevoli miti e credenze in merito all’apocalisse finale. Aggiungeteci anche un’eclisse, per avere l’assoluta trifecta della dannazione. Idea che purtroppo non venne a Reginald Barker, regista che nel 1914 produsse The Wrath of the Gods (l’ira degli Dei) a proposito della triste vicenda di una ragazza giapponese di nome Toya, condannata da un’improbabile maledizione per le malefatte dei suoi antenati, e che sposandosi, avrebbe causato l’eruzione del Sakurajima. Matrimonio che naturalmente, neanche a dirlo, avviene nel corso del film, con un marinaio americano di passaggio interpretato dall’attore Frank Borzage. Nel catastrofico ed inevitabile finale, mentre l’intero villaggio sull’isola viene inghiottito dalla lava, lei verrà portata in salvo da un provvidenziale mercantile, partendo verso i più felici lidi degli Stati Uniti. Soltanto per sentirsi dire, nella battuta finale pronunciata dall’amato, che poi costituisce anche la morale del film: “I tuoi dei saranno anche dotati di terribili poteri, Toya-san, ma il mio ha dimostrato la sua onnipotenza. Salvandoti, per perpetrare la tua razza.” Una conclusione che potrebbe risultare alquanto obliqua ed antiquata, soprattutto considerata la precedente dimostrazione su pellicola (falsa eppure verosimile) dell’assoluta inospitalità della natura.
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