Un inizio di giornata al fulmicotone, in grado di svegliare anche le talpe preistoriche che vivono in prossimità del centro della Terra. O almeno così sembra, i primi tre-quattro giorni che lavori in officina. Poi ti abitui, addirittura a questo. E l’opera inizia il suo flusso in automatico nel segno del sudore, mentre ogni gesto diviene calibrato, la cooperazione totalmente naturale. Ovvio: sarebbe assai difficile PARLARE, in mezzo a un simile frastuono. Tre operatori, ciascuno in abito ignifugo, protezioni per gli occhi e le orecchie, caschi protettivi di un vivace giallo canarino. Al centro, un addetto al forchettone/diapason d’acciaio incatenato, che serve a trasportare il pezzo riscaldato ad oltre 2000-2500 gradi fino allo stampo di lavorazione. A sinistra il suo assistente, il cui compito principale, oltre a sollevare assieme i materiali più pesanti, è irrorare d’acqua quanto posto in essere, affinché vengano rimosse le scaglie (scales) di metallo distaccatosi dal corpo principale. Mentre a destra nel sapiente trio, risiede il vero regista dell’operazione, colui che al tempo stesso deve faticare meno, eppure ha il compito più delicato e di maggiore responsabilità. Come un regista, o un direttore d’orchestra: il tecnico del maglio idraulico da 10 tonnellate.
È un’esistenza lieve che richiede un certo spirito d’iniziativa, questa dell’addetto metallurgico, poiché la creatività di simili compiti è per forza alquanto limitata. Occorre quindi apprendere il segreto per l’introspezione che non distrae, la fantasia che corre libera mentre le membra fanno ciò che devono. Ma soprattutto, l’orgoglio di fare qualcosa, presto e bene, ancora e poi di nuovo. Il video è stato caricato su YouTube da Hiroki Onoda, chiaramente un giapponese, e non sarebbe poi così stupefacente se l’intera azione si svolgesse proprio nella sua nazione. C’è qualcosa, in questo metodo di forgiatura al tempo stesso antico e dannatamente efficiente, che pare quasi rimandare ai fabbri di katana, gli esecutori ritualistici di un metodo per fare il ferro, poi l’acciaio, infine il taglio leggendario. Qui applicato, in modo forse più prosaico, alla messa in opera di grossi ingranaggi vuoti al centro, ovvero secondo la teoria più accreditata (nonché probabile) dei pignoni per i cingoli di qualche mezzo pesante. Il fatto è che dei tali componenti non possono essere realizzati a fusione, come avviene per la stragrande maggioranza dei prodotti della moderna metallurgia. Questo perché le ruote dovranno, nel corso della propria lunga vita operativa, sopportare non soltanto forti gradi di pressione, ma la forza ben più problematica della tensione, generata dal movimento parallelo di andata e ritorno delle maglie che poggiano sul suolo. Proprio per questo, portare la missione a compimento richiede un approccio basato sulla mera forza bruta, che nel dare forma al pezzo, ne riallinei addirittura la struttura cristallina, massimizzandone la resistenza e la durevolezza. Si, colpi di martello. Ma non del tipo che potremmo, allegramente, manovrare con le mani, bensì un mostro a forma di colonna, in grado di occupare una percentuale significativa dello spazio in officina, fatto muovere grazie alla forza spaventosa dell’idraulica applicata. O in alternativa, e non sarebbe poi tanto sorprendente nel presente caso giapponese, quella ancor più primordiale del vapore, che diede gli inizi a questo mondo rivoluzionario dell’industria più di due secoli fà, e che tutto ha cambiato nella mente e nelle aspettative di chi ha scelto di assolvere alla massima necessità: modificare la natura. Un merito che fu, fin dalla prima epoca moderna, conteso…
In principio era soltanto l’acqua, coadiuvata dalla forza di gravità. Fu una soluzione tecnica inventata indipendentemente da cinesi e nella Grecia arcaica, questa del fatto che fosse possibile usare l’energia di un corso d’acqua per far muovere un mulino, e che quest’ultimo si potesse collegare un meccanismo in grado di sollevare un grande peso. Che poi è come dire, accumulare una notevole energia potenziale grazie al tipo di ingranaggio segmentato detto camma, che avrebbe determinato buona parte dei progressi tecnologici fino all’epoca del medioevo europeo. Artificio utile a fare molte cose in agricoltura, estrazione mineraria e metallurgia, incluso il colpire un pezzo di metallo sull’incudine, rendendo perfettamente piatto, ciò che non lo era affatto da principio. Così nacque il maglio da forgia o trip hammer (martello a ricaduta) uno strumento che si offriva a notevoli evoluzioni d’impiego. Risale almeno al XVI secolo l’impiego del die, ovvero lo stampo pre-configurato nella forma del pezzo da costruire, talvolta impresso per una metà nella superficie dell’incudine, e per l’altra sulla testa stessa dell’attrezzo, in modo da garantire un’opera risultante già quasi pronta all’utilizzo, previa limatura e perfezionamento delle tolleranze funzionali.
Quindi, nel 1712, l’inglese Thomas Newcomen costruì il prototipo del primo motore a vapore. In metallurgia come altrove, NIENTE avrebbe più seguito il corso pre-esistente.
L’invenzione e costruzione del maglio a vapore risale almeno al 1839, quando ne vennero costruiti indipendentemente due esemplari,d al francese François Bourdon e dall’inglese James Nasmyth, anche se dei piani completi per una macchina similare erano stati ultimati e brevettati già nel 1784 (ovvero ben 56 anni prima) dal grande ingegnere meccanico di origini scozzesi James Watt. La versione del martello concepita da quest’ultimo, tuttavia, era piuttosto diversa dalla struttura moderna di uno di questi dispositivi: la parte battente era infatti montata sull’asse rotativo del motore stesso, e doveva compiere un vero e proprio movimento ad emiciclo prima di raggiungere il bersaglio del suo battere insistente, con un notevole dispendio d’energia. Nell’autobiografia successiva di Nasmyth si parla per esteso di come lui, essendo chiamato per creare un albero motore per il nuovo transatlantico SS Great Britain dal diametro di 760 mm, avesse scelto di ricorrere ad un’evoluzione a colonna del sistema di Watt, fatta sollevare verso l’alto grazie ad un accumulo di vapore, che lui considerava una sua invenzione fortemente personale. Il fatto che poi il progetto della nave commissionata fosse stato modificato significativamente, non richiedendo più l’impiego del maglio, non gli impedì di metterlo assieme comunque, facendone un punto d’orgoglio ed un servizio del tutto unico della sua forgia. O che almeno sarebbe stato tale, se nel frattempo non fosse stato costruito anche il martello di Bourdon, che lui chiamava amorevolmente “Pilon” presso la rinomata officina dei fratelli Schneider a Le Creusot. Il dispositivo pesava 2500 Kg e poteva alzarsi per un tratto di due metri. I due inventori, nel corso della loro vita, si incontrarono nei reciproci luoghi di lavoro almeno due volte, vantando i meriti e il diritto esclusivo del merito di quanto fossero giunti a costruire. A partire dal 1843, con una spietata campagna a mezzo stampa, Nasmyth riuscì a convincere il mondo che l’idea era stata solamente sua. Tuttavia, a distanza di tempo, i loro nomi vengono citati entrambi, l’uno di seguito all’altro. E forse proprio da questo si può intuire quale sia stata, a posteriori, la proverbiale “ardua sentenza”.
Negli anni successivi, la situazione si fa meno nebulosa: furono principalmente gli Schneider di Le Creusot a condurre innanzi il progresso tecnico di questa tipologia di dispositivi, che vennero resi più efficienti, solidi e funzionali. Nella moderna versione del martello da forgia a vapore, che è stato affiancato da sistemi più moderni eppure mai del tutto eliminato, il pistone mobile si trova a fianco di un cilindro in cui viene contenuto il vapore, che si sposta in alternanza dall’uno all’altro spazio, portando a compimento il moto della macchina senza inutili dispendi d’energia. Il pistone, se necessario, può essere incorporato con la parte battente stessa, riducendo l’altezza complessiva della macchina. Inoltre, vengono spesso impiegati sistemi per salvaguardare le fondamenta dell’edificio di lavorazione, come ammortizzatori o pavimenti con robuste travature in legno, in grado di piegarsi entro certi limiti, al sopraggiungere del contraccolpo devastante. Nel 1877 gli Schneider costruirono sul loro terreno un martello colossale, alto 11 metri e in grado di sviluppare una forza di 100 tonnellate, che richiedeva quattro fornaci indipendenti per poter funzionare. Si dice che il dispositivo fosse talmente preciso, che un ingegnere abile poteva usarlo per stappare una bottiglia, oppure schiacciare una noce senza danneggiarne i contenuti. Ancora oggi, il colossale arnese sorge presso Le Creusot, dove a seguito del suo pensionamento ha assunto tutto il prestigio di un vero e proprio monumento nazionale. In un caso particolarmente famoso, un apparecchio simile ma con “sole” 50 tonnellate di potenza, ricostruito in Germania da Alfred Krupp, venne usato per stupire l’imperatore Guglielmo I (regno: 1861-1888) che giunto in visita presso l’officina in cui era impiegato, si lasciò convincere a mettere a rischio il suo orologio ingioiellato sullo stampo di lavorazione. La storia culmina con l’addetto alla forgia, un tale abilissimo di nome Fritz, che esita prima di tirare la sua leva, mentre Krupp lo incita con la storica frase: “Fritz, fallo partire!” Così, neanche a dirlo, la dimostrazione fu compiuta con successo, e il sovrano donò l’orologio al macchinista. Mentre il martello stesso, da quel giorno, fu rinominato “Fritz” o addirittura, secondo alcune versioni “Fritz, fallo partire”.
Negli anni successivi, le aspettative del mondo sarebbero cambiate, al punto che i magli da forgia a vapore (o idraulici) sono diventati soltanto UNA (1) delle possibili soluzioni al servizio della metallurgia moderna. Anzi oggi, persino nel processo di forgiatura, vengono generalmente preferite le presse, in grado di applicare una forza certamente maggiore e più uniforme, raggiungendo l’equivalente di un colpo da 80.000 tonnellate. Nel frattempo, anche il processo alternativo della fusione è migliorato, grazie all’impiego di particolari leghe policristalline in grado di massimizzare la resistenza ad ogni tipo di sollecitazione, favorendo inoltre un tipo di lavorazione più preciso. Ma come dimostrato nell’interessante video giapponese, la semplicità, l’immediatezza, e la relativa economia di un poderoso martello gigante restano difficili da superare. E così sarà, probabilmente, per i molti secoli a venire.