Come fare la seta in casa

Silkworms

Se un cataclisma improvviso ed inspiegabile dovesse privare il mondo dell’energia elettrica, quante persone imparerebbero a costruire una candela? Se dovessimo uccidere personalmente ciascun pollo e maiale destinato ai nostri piatti e poi giù in gola, diventeremmo tutti vegetariani? Questo è il tenore e la classe di domande cui si sta proponendo di rispondere Andy George, creatore e protagonista della serie per YouTube How To Make Everything, in cui sta affrontando da qualche mese, l’una dopo l’altra, le numerose difficoltà da cui ci esonera la civiltà moderna. Che tuttavia i nostri antenati superavano brillantemente, come noi potremmo fare con l’ultimo livello di un modesto browser game. Elementi, componenti, inscindibili sezionamenti. Chiedi a qualcuno di assemblare uno dei suoi oggetti di uso comune, a partire dall’essenza della cosa già smontata, e costui ti guarderà stupito, poi con calma verrà a capo del problema. Ma come disse lo scienziato e divulgatore Carl Sagan: “Per fare una torta di mele partendo da zero, devi prima creare l’universo.” E quel vasto luogo, di dolci a base di frutta ne ha moltissimi, ciascuno insignificante, perso nelle moltitudini insensate. Mentre tutta un’altra storia è ciò che fai da te, reinterpretando sulla base della conoscenza la materia prima, o ancora meglio, ciò che ne costituisce fonte inesauribile, fin dall’origine dei tempi. In taluni casi, un tale approccio può portare anche a dei validi presupposti di risparmio (se non addirittura, guadagno sulla vendita del surplus produttivo). Cose come questa, casi come il qui presente. Di un nostro contemporaneo a cui non manca nulla, tranne il desiderio di mettersi in mostra; con un nuovo abito elegante maschile, giacca, camicia, pantaloni e tutto il resto, che però non compri dal sarto o al centro commerciale, ma piuttosto è il frutto del tuo stesso saper fare, saper comprendere e determinare. Il quale giammai potrebbe essere stato “completo” senza l’inclusione di una splendida cravatta progettuale, che poi nei fatti è stata trasformata in cravattino, intessuta con l’impiego di una delle stoffe più apprezzate al mondo: la preziosa seta organica, direttamente dal bozzolo dell’insetto domestico per eccellenza, il Bombyx morianche detto baco da seta o silkworm. L’episodio è particolarmente affascinante perché, anche se tutti sappiamo più o meno come nascono un metro quadro o due di seta, lo spiegano anche a scuola, difficilmente avremmo poi pensato di metterci a iniziare quel processo in prima persona, anche perché, quale sarebbe la ragione? Di sicuro senza macchine o telai, in assenza di un training approfondito e molti anni di pratica, sarebbe impossibile arrivare ad un qualcosa che possa paragonarsi al prodotto “completo”… Beh, ecco, la verità è l’esatto contrario. Il punto è che qui stiamo parlando, nonostante le apparenze, di un processo che fu praticato fin dall’epoca Neolitica, ben prima della lavorazione dei metalli. Nonostante l’aspetto tecnologico di ciò che ne deriva, non vi è nulla di più inaccessibile o complesso della mungitura di una mucca, o la tosatura di una pecora. Semmai potrebbe dirsi che richiede un grado assai minore d’empatia, vista la fine che fanno le decine, centinaia di bruchi che lavorano ogni giorno in una magnanerie, l’opificio della seta in senso tradizionale.
Ma prima di raggiungere quell’esito crudele, come in tutte le cose, sarà il caso d’iniziare dal precipuo seme, o nello specifico, le centinaia di uova che il buon Andy si era procurato, da una qualche deriva bio-naturalistica del nostro sempre familiare ed utile mondo dell’E-Commerce. In parole povere: embrioni da Internet, lasciate schiudere nel giro di 14 giorni, quindi nutriti con un’abbondante dose di foglie di gelso tritate, l’unico cibo che queste creature mangiano con gioia. Il bruco di questa creatura, sostanzialmente una falena benché ormai lontana da quest’ultima, almeno quanto il cane casalingo dal comune lupo, mangia e cresce quindi per un tempo di 6-8 settimane, cambiando la sua “pelle” (in realtà un esoscheletro vestigiale) per ben quattro volte. Al termine delle quali, come richiamato da un istinto primordiale, inizia a muoversi nel suo recinto, ricercando il ramo, o piccola preminenza sporgente, che il sericoltore responsabile dovrà aver posto a sua disposizione. Per scalarlo e appendersi, come un mini-pipistrello corazzato, ad aspettare il seguito di questa storia…

Alla stessa maniera di tutti gli altri lepidotteri, la falena della seta non deriva da quella mutazione graduale che ha i nome di crescita, come avviene per noi vertebrati. Piuttosto deriva da una repentina ed assoluta metamorfosi a livello cellulare, che si svolgerebbe nel giro di appena 10 cruciali giorni dentro al bozzolo, formato dal fluido che fuoriesce dalle ghiandole salivari della piccola creatura assieme ad una proteina collosa, la sericina, che lo rende assai più solido di quanto si potrebbe pensare. Proprio per questo, l’unico modo per recuperare il materiale, rendendolo utile al processo industriale umano, è immergere il tutto nell’acqua calda, affinché si sfaldi un simile tutt’uno, per poi individuare il primo filo di ciascun ammasso globulare, ed iniziare a tirarlo. Ma prima di fare questo Andy, responsabile uomo dotato d’empatia, ha scelto di optare per una soluzione fuori-standard simile all’eutanasia: ha posizionato i bruchi condannati sopra un vassoio da forno, poi li ha cotti tutti assieme, ben prima di passare alla fase successiva della filatura. Credo che, almeno nella teoria, questo sia servito a dargli un trapasso più veloce ed indolore. Non importa ad ogni modo il metodo, l’unica cosa certa è che gli insetti scelti per la produzione devono TUTTI morire; altrimenti, una volta pronti a fuoriuscire dall’involucro, lo foreranno con un’enzima proteolitico, abbassandone notevolmente l’usabilità. Mentre un singolo bozzolo, in condizioni ideali, può essere costituito da un filo lungo fino a 900 metri, l’equivalente di 8 campi da calcio. Le fibre sono, tuttavia, estremamente sottili (appena 10 nanometri) tanto che per produrre mezzo chilo di seta si rende necessario prendere la vita di fino a 2.000, 3.000 poveri bachi. Meno male, dunque, che tali creature fanno tanti, tanti figli…

Silk Japan
In questo segmento del programma Tv della NHK, Cycle Around Japan, ci viene mostrato l’interno di un tradizionale serificio dell’Estremo Oriente.

Il passaggio successivo risulta fondamentale, e costituiva forse il vero “segreto” delle antiche dinastie cinesi, che secondo la leggenda fu rubato nel I secolo d.C, assieme ad una grande quantità di bachi messi dentro al suo cappello, da una principessa della dinastia Han, inviata in sposa presso il regno confinante dell’antico Khotan: la filatura. Come trasformare tanti globi indipendenti, ciascuno insufficiente di per se, in una sola lunga corda, pronta per l’impiego in un telaio e la creazione di ogni sorta di prodotto tessile? Anticamente, il sistema era semplice e geniale: i bozzoli in corso di cottura, ormai notevolmente ammorbiditi, venivano rimescolati con uno strumento apposito, simile a una scopa di saggina. Quindi, una volta estratte le rispettive fibre, queste erano accorpate e fatte passare per il buco trasversale di una canna di bambù. Così ravvicinate, avvolte saldamente tramite sapienza manuale o appositi meccanismi, condotti innanzi a manovella, si trasformavano nel tessuto più morbido ed al tempo stesso resistente che il mondo avesse mai conosciuto e forse, tutt’ora, esista in assoluto.
Il sericoltore responsabile, ad ogni modo, lascia sempre schiudere ed accoppiare una parte dei suoi bruchi, affinché possa persistere la prossima generazione di falene. Ciò risulta nei fatti fondamentale, per un’industria assolutamente sostenibile e che in senso puramente numerico, ha permesso a questa genìa di prosperare per millenni, diventando uno degli insetti più al sicuro dai pericolosi mutamenti dell’ecologia. Finché vorremo avere la seta, i bachi continueranno ad essere con noi, anche perché in nostra assenza, non sarebbero nemmeno più in grado di mangiare e riprodursi. Di simili creature, del resto, non si getta via nulla: è piuttosto comune in Cina, Giappone, Corea e Vietnam, che la larva stessa sia mangiata, una volta che il bozzolo è stato completamente filato, in diversi piatti nazionali estremamente apprezzati. Ma la domanda forse più interessante è la seguente: come ha avuto origine, questo rapporto simbiotico infinito?

Inflated Moth
Questo è un maschio di Chionarctia nivea, la falena tigre del Giappone. Le due corna fatte gonfiare tramite l’apporto di una spietata pipetta sono i coremata, organi usati per diffondere il feromone che attira la femmina in natura. L’effetto sonoro, per la cronaca, è stato aggiunto in post-produzione.

Ci sono almeno due leggende cinesi sull’origine della coltura della seta. La prima vorrebbe attribuirne l’invenzione, assieme a quella d’innumerevoli altre tecniche e mestieri, all’intuizione dell’imperatrice Lei Zu, moglie del semi-mitico Imperatore Giallo Huangdi, che secondo gli annali regnò sulla Cina arcaica dal 2697 al 2597 a.C. (il concetto del patriarca dalla lunga vita era davvero popolare a quei tempi). Avvenne infatti, o così si racconta, che costei stesse prendendo il tè sotto un albero di gelso, quando un bozzolo di Bombyx mandarina (l’antenata selvatica del baco da seta) cadde accidentalmente nella sua tazza. Andando per prenderlo e gettarlo via, lo trovò tuttavia ammorbidito, e più si disfaceva più lei tirava il filo, finché non rimase solamente la piccola larva. Che lei intuì, quasi immediatamente, essere la fonte di questa sostanza. La sapienza fu quindi passata al popolo, che ne fece la sua fortuna.
Più sinistra è invece la storia della donna dalla testa di cavallo, patrona sovrannaturale dell’industria della seta. Si racconta di come a una ragazza mancasse il padre, inviato a combattere in qualche guerra lontana, e del modo in cui ella avesse giurato al saggio equino di famiglia che se glielo avesse riportato quanto prima, l’avrebbe sposato. E naturalmente, poiché tutto è possibile in questa classe di racconti popolari, avvenne che il cavallo riportasse l’uomo e che lui, sconvolto dall’idea che l’amata figlia lo sposasse, passasse alla più semplice via di risoluzione: uccidere l’animale e divorarlo. Avvenne tuttavia, per l’eterna legge del karma, che la pelle del cavallo fosse stata lasciata ad asciugare in giardino, appesa al ramo di un albero di gelso. E che per una folata di vento improvviso, finisse per avvolgersi attorno alla giovane promessa sposa, che passava casualmente di lì. In un battito di ciglia, essa sparì, esattamente come il bruco nel bozzolo, trasformato in farfalla o falena. Era diventata lei, l’insetto, o secondo altre opinioni, una sorta di creatura ibrida, che apparirebbe in determinate circostanze ha chi ha fatto di questo antico lavorìo, il fondamento del suo stesso stile di vita. Ciò potrebbe costituire, d’altronde, un ulteriore motivo di darsi subito da fare: chi non vorrebbe incontrare un fantasma?
La seta è uno di quei materiali, prodotti dalla natura, che ancora oggi esulano dai possenti propositi di semplificazione della civiltà industriale. Non importa quanti polimeri inventiamo, più resistenti e pratici da produrre, i nostri laboratori scoprono in parallelo nuove straordinarie applicazioni per la bava del bruco, che diventa sempre più utile, adatta ad un qualche scopo collaterale. Nel 2010, ricercatori dell’Università di Singapore hanno scoperto che sottoporre i bruchi ad una lieve corrente elettrica nel momento della tessitura del bozzolo, basta a rendere quest’ultimo ancor più duro e resistente. Tale super-seta, secondo quanto riportato online, sarebbe addirittura in grado di fermare un proiettile di piccolo calibro. Il futuro appare sempre più splendido e radioso, purché si sia disposti a sacrificare la serenità di alcuni (miliardi di) piccoli ed insignificanti animali. Nel frattempo il cavallo resta lì a guardarci con la fame che aumenta, sperando nell’attimo della nostra reincarnazione.

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