Quando sentiamo parlare di giocolerìa, in genere, la prima cosa che ci viene in mente è il classico numero coi birilli o le sfere danzanti, lanciate in aria e poi riprese in rapida sequenza. Ma la realtà è che quest’arte fondata sulla destrezza risulta molto più antica, nonché varia, di quel singolo tipo di exploit. Ci sono manipolatori che costruiscono ruote volanti di coltelli, pentole, pezzi di bicicletta, addirittura seghe elettriche. Ne esistono altri specializzati nel cosiddetto “tema del gentleman” che consiste nell’impiego di oggetti legati al mondo dell’eleganza, come cappelli, borse o bastoni da passeggio. E poi c’è qualcuno, vedi il qui presente David Barron aka Mr. E. LullAbhay, che i propri attrezzi di scena non li lancia affatto, ma li fa camminare tutto attorno al proprio corpo, secondo leggi della fisica che paiono modificate alla bisogna. Guardatelo, piantato nel mezzo di una valle verdeggiante (l’affascinante location non è purtroppo indicata da nessuna parte) mentre esegue una sessione dimostrativa con una coppia di quelle che si definiscono convenzionalmente swords, e consistono di una sorta di scettro ligneo con un contrappeso ad una delle due estremità, che ne sposta il centro gravitazionale giusto in prossimità dell’impugnatura. Proprio ciò che serve, all’apparenza, per potersi prodigare nell’esecuzione di una serie di figure o numeri supremamente interessanti. In una serie di fluidi movimenti, le aste vengono fatte roteare attorno alle braccia, al collo e ai fianchi, talvolta ricordando certi numeri dei monaci di Shaolin con le alabarde usate nel Kung-Fu, altre il kata di un’antico metodo per tirare di spada. Il fatto, poi, che i pesanti strumenti autocostruiti assomiglino alla pericolosa verga di uno stregone tolkeniano, per lo meno secondo quanto immaginato nella serie cinematografica, non fa che aumentare gli elementi mistici della sequenza. Si tratta, dopo tutto, di una branca del contact juggling ancora relativamente inesplorata, che proprio in funzione di questo eclettismo è riuscita a trovare l’inserimento nel popolare canale asiatico di YouTube Kumafilms, per l’occasione in trasferta presso qualche paese d’Occidente, probabilmente l’Inghilterra o gli Stati Uniti. La pagina Facebook dell’artista fa riferimento a un vecchio e-commerce del portale Shopify, che tuttavia risulta inaccessibile da qualche tempo. Dovremo quindi accontentarci, ancora una volta, di osservare semplicemente la poesia dei movimenti sullo schermo, senza eccessivi orpelli di contesto.
E c’è da dire che l’effetto del montaggio professionale, in aggiunta ad una tale dimostrazione di destrezza, crei un tutt’uno degno di essere inserito nell’antologia digitale di chi tenti di trasmettere la sua passione al mondo: il numero inizia in modo piuttosto semplice, con Mr E che fa mulinare lentamente un singolo bastone con le mani. Poi, ad un certo punto, smette di stringerlo e lo lascia proseguire da solo, come se si trattasse di un cobra ammaestrato. L’oscillazione stranamente ritmica diventa il primo verso di un discorso, destinato ad evolversi nel giro dei secondi successivi; da un singolo prop (termine tecnico per un qualsiasi ausilio alla giocolerìa) si passa a due in parallelo, che tendono a influenzarsi a vicenda in un susseguirsi d’imprevedibili combinazioni. Poi, quasi obbligatoriamente, si passa all’elemento che distingue l’uomo dagli altri animali della Terra: il fuoco, grande insegnante di cautela. A tutti, ma non questo maestro dell’esecuzione manipolatoria: è ancora lì, infatti, che continua a farsi mulinare addosso le sue armi, evidentemente ricoperte con del kevlar e una qualche sostanza alcolica, noncurante dei lembi che lo ghermiscono da tutti i lati. Per fortuna che porta, a differenza di alcuni artisti del circo, i capelli tagliati rigorosamente corti! In questa particolare configurazione, la sua attività finisce per assomigliare a quella del mangiafuoco, che esegue movenze comparabili con le sue torce o vari tipi d’implementi para-bellici, come scimitarre o spade d’altro tipo. Un’altra influenza, volendo, si potrebbe ritrovare nelle tecniche d’impiego dei poi sticks, bastoncini con la luce colorata usati per danzare o nella fotografia con lunghi tempi d’esposizione, per la realizzazione di figure fluttuanti nell’aria. Mr. E .LullAbhay dispone anche di un suo personale canale su YouTube oltre al già citato profilo di Facebook pubblico ed ancora regolarmente aggiornato,
È molto difficile individuare l’attimo preciso in cui nacque questa particolare tecnica d’esecuzione, in parte per la sua appartenenza ad un mondo naturalmente fluttuante e insostanziale, come quello delle tecniche al servizio del teatro improvvisato. E poi perché, probabilmente, furono in molti ad arrivare a questa conclusione in modo indipendente: che fosse possibile addestrarsi nel far muovere dei semplici oggetti non adatti ad essere lanciati, con destrezza sufficiente a dare un senso di vertigine ed ipnosi. L’origine della giocolerìa in quanto tale, d’altro canto, viene fatto risalire alla civiltà egizia, sulla base di una pittura parietale ritrovata in una tomba della necropoli di Beni Hasan. Qui alcuni praticanti dell’arte in questione, assieme alle altre figure amate da un qualche nobile sepolto, avrebbero continuato ad intrattenerlo per l’eternità, facendo mulinare alcuni oggetti circolari. Semplici sfere, probabilmente, simili a quelle che continuarono a essere impiegate durante le età dell’oro delle civiltà greca e romana, benché le informazioni in merito restino alquanto nebulose. Sappiamo dallo studio di alcune epigrafi, ad esempio, che in latino i praticanti delle tecniche di lancio e recupero erano chiamati pilarii, mentre i pilecrepi usavano delle sfere di vetro in larga parte vuote e dunque estremamente delicate. Non è improbabile pensare che queste fossero impiegate con dei metodi affini a quelli dell’odierno contact juggling, onde prevenirne l’immediata rottura, anche in assenza di gravi errori. Nell’epoca medievale europea, d’altra parte, la giocolerìa perse molto del suo fascino sponteneo, perché associata ad artisti vagabondi tendenzialmente invisi al clero, considerati praticanti di arti oscure o demoniache. A vedere quel che riesce a fare chi si dedichi a fondo nel perfezionare tali metodi, non è poi così difficile capire da dove provenisse questa strana idea! Nel frattempo, in Asia, la manipolazione non si ritrovò mai affetta da un simile stigma, diventando anzi appannaggio delle classi colte e/o guerriere. Celebre resta il racconto cinese di Xiong Yiliao, il generale del regno di Chu che sconfisse prima ancora d’ingaggiar battaglia un gruppo di 500 soldati dei Song, tramite una dimostrazione di nòngwán, il “lancio ripetuto di una serie di oggetti.” Quale perfetta parabola, al tempo stesso, di senso di rispetto confuciano e precetti del non-conflitto taoismo! I nemici, probabilmente, non volevano interrompere una simile dimostrazione di destrezza. E chi potrebbe biasimarli?
Ma anche se lo spirito marziale di quell’epoca rivive a pieno nell’esecuzione di figure vagamente aggressive come quelle dei bastoni di Mr E, il vero nucleo della questione continua ad albergare nella sfera, quell’elemento trasparente posto sulla cima delle due “spade”. Il globo, in effetti, è l’oggetto ideale per l’esecuzione di un numero di contact juggling, che normalmente trae vantaggi dall’apparenza di un qualcosa che può sembrare immobile, mentre invece ruota su se stesso. È possibile osservare l’effetto di una simile dicotomia, ad esempio, nei numeri dei molti praticanti dell’illusione definita amelymeloptical, che consiste nel far ruotare nell’aria dei cerchi monocromatici interconnessi tra di loro, i quali, in assenza di punti di riferimento, sembrano metamorfizzarsi in esseri incorporei e inconoscibili. Esattamente lo stesso principio di quanto mostrato da questo giovane ed abile praticante, ancora una volta anonimo (YouTube publishers degli artisti di strada, step it up!) dell’arte dell’isolamento, ovvero il passarsi della sfera da una mano all’altra facendola sembrare sospesa nell’aria, come se fosse invece lui, a girargli attorno.
Questa particolare manifestazione della giocolerìa ha in effetti un acclarato inventore, l’americano Michael Moschen, che l’aveva concepita verso la metà degli anni ’70 con l’aiuto del suo collega universitario Penn Jillette. I suoi spettacoli, che approdarono anche in televisione negli anni immediatamente successivi e persino al cinema (sue sono in realtà le mani di David Bowie, il re dei Goblin nel film Labyrinth) furono subito copiati da innumerevoli artisti e messe a frutto da almeno una venture commerciale di successo, la serie delle sfere in acrilico Fushigi, che nell’idea dei costruttori dovevano servire a facilitare l’esecuzione di simili movenze. A sentire i racconti reperibili sul web, più di qualcuno restò deluso dall’effettiva inesistenza di magiche scorciatoie, come pure accadde allo stesso Moschen, che non ricevette mai lo straccio di una royalty per esser stato il primo a concepire un tale show. Purtroppo, non si può brevettare un movimento! L’unica speranza è praticarlo ancora e ancora, finché il mondo intero non possa far altro che restare a bocca aperta, basito dinnanzi ad una simile capacità di far fluire il mondo fisico immanente. Ed in questo, direi che anche lo spadaccino Mr. LullAbhay è senz’altro sulla buona strada. Anche perché il contesto gli è senz’altro favorevole: nell’epoca di Internet è più facile far valere la forza del proprio nome. Peccato soltanto che manchi, ad oggi, un sito personale in grado di narrarci la sua storia…