Genio e sponsorizzazione: i due pilastri del ciclismo estremo

New York GO

Un video in cui l’intera città di New York, le sue strade, i marciapiedi, i parchi pubblici, la metropolitana, vengono trasformate nel teatro di una corsa folle, senza alcun rispetto per le convenzioni, non sarebbe di per se niente di nuovo. Ma c’è qualcosa, nell’ultimo exploit del ciclista urbano Nigel Sylvester, che sembra parlare da un punto di vista maggiormente personale, quasi come se la manciata di marchi e loghi disseminati quasi casualmente sul percorso, dopo tutto, non contassero poi così tanto. O almeno non più della passione che ti porta, alla responsabile età di 28 anni, a comportarti come l’eroe di un videogioco, o del più tradizionale fumetto, che non può e non deve riservare un occhio di riguardo ai crismi del convivere civile. Perché questa è soprattutto, sulla sella e coi pedali, la missione del campione: procedere ai confini di un pericoloso inseguimento, senza farsi prendere dalla ripetizione meccanica del senso del domani. Già la bici, in un contesto cittadino, tende ad avere tale valida connotazione: vi è mai capitati, incapsulati nel traffico delle auto congregate, di rivolgere lo sguardo verso il marciapiede, per vedere lui, il ciclista che procede lievemente per il suo sentiero? Il sentimento dominante in mezzo ai tuoi pensieri, in un tale frangente, è un nebuloso senso d’invidia, per colui che non soltanto non ha venduto l’anima a un motore, ma può permettersi in quel determinato momento di far ciò che gli da gusto, invece che avanzare tristemente verso l’obiettivo (la scrivania, le poste, il centro commerciale, brum, brum, brum). Mentre solo pochi fortunati, dopo tutto, possono dire di aver fatto germogliare il gusto col dovere, riconducendo a quel manubrio un metodo di promozione personale che è al tempo stesso moderno, e primordiale: l’immedesimazione.
Nato e cresciuto in quel segmento del quartiere Queens che ha il suggestivo nome di Jamaica, l’atleta racconta per sommi capi la sua vicenda personale presso l’essenziale homepage, raccontandoci di come non fosse particolarmente insolito, tra gli ambienti afroamericani della sua gioventù, instradarsi su un sentiero morto, dedicandosi ad attività incapaci di fornire un valido futuro. E oggettivamente ringrazia, in poche ma sentite parole, il fratello Adrian che fu il suo modello positivo, incoraggiandolo piuttosto a dedicarsi al mondo dello sport. Così lo ritroviamo, poco più che un bambino, a dedicarsi a quelli che lui chiama in senso generale “sport di squadra” in una parentesi in cui ancora trova occasionale applicazione. Ad esempio, non a caso in questo video a un certo punto accenna alcune azioni di football americano, in un campetto “invaso” con l’imbizzarrito velociclo. Ma a Queens non c’erano, allora come adesso, luoghi adatti a pedalare via dai principali snodi stradali, ovvero senza rischiare ogni sorta di spiacevoli incidenti. La vera svolta di vita sarebbe quindi arrivata verso l’età di 15 anni, quando un compagno di scuola lo introdusse nell’ambiente dei ciclisti di Union Square, una delle poche piazze grandi ed asfaltate tra Manhattan, Long e Staten Island. Attraverso questa esperienza costui conobbe, più per caso che intuizione, un affiatato gruppo di ciclisti professionisti, tra cui Dave Mirra e Ralph Sinisi, che gli fornirono l’ispirazione per entrare in quel mondo forse ancora non esattamente patinato, ma già ricco di opportunità di accrescimento personale. Ed è interessante la particolare strada da lui scelta verso l’entusiasmo del grande pubblico, che oggi lo considera un grande della BMX, nonostante siano poche le competizione a cui ha preso parte, ma proprio in funzione del suo innato carisma e la capacità registica di creare un mini-racconto in ogni sua esecuzione, come questo primo episodio della sua nuova serie, GO!

C’è uno stile esuberante, esemplificato dal modo in cui Nigel saluta il bimbo sull’automobilina giocattolo, prima di lanciarsi a perdifiato lungo il camminamento pedonale del ponte di Brooklyn, sfiorando pericolosamente le persone. L’istintivo senso di disapprovazione potrà essere facilmente superato, nel rendersi conto che probabilmente ogni individuo coinvolto era in realtà stato avvisato, se non in qualche modo compensato con la qualifica di comparsa. Qualcuno ipotizza addirittura l’impiego di una steadycam, con le pieghe ed altre movenze ciclistiche aggiunte soltanto in post-produzione. Del resto, difficilmente un video dalle connotazioni tanto commerciali potrebbe essere basato su dei veri atti antisociali. Pensate soltanto alle ripercussioni legali che avrebbero rischiato i diversi marchi più direttamente legati a, e invero addirittura posseduti da, un simile nome rinomato del mondo sportivo a due ruote. Si prosegue quindi con l’inseguimento attraverso un parco pubblico e in giro per le strade, dove il protagonista salta allegramente il tavolo dell’avventore di un bar, poi attraversa un negozio che comunica tra due viali: “Ehi, non puoi passare di qui” Si sente gridare la proprietaria da dietro il bancone. “Yea, whatever!” Risponde lui, beffardo. Lo scambio non richiede che mezzo secondo, eppure basta a caratterizzare l’intero meccanismo di scena: quest’uomo è (vuole essere) un ribelle, un maverick, l’anticonformista scatenato. Se poco dopo corre contromano incontro ai taxi gialli della 52° avenue, non si tratta di un semplice atto di coraggio fine a se stesso, ma è per dimostrare che i sensi unici non condizionano il ciclista in alcun modo. Ok, forse questo già lo sapevamo. E poi di nuovo, i poliziotti che lo guardano male, il tornello della metro saltato assieme a tutta la bicicletta, poco dopo aver ritirato un ciondolo costoso in un qualche negozio d’accessori a lui affiliato, il nome in bella vista sul bancone. È una sottile linea d’ironia, questa, che se colta in senso letterale, darebbe l’immagine di un uomo fuori dalle regole del vivere civile. Ma la realtà si scopre nel finale, con l’amico che sgomma in mezzo ad un incrocio, usando un quad scalcagnato, mentre lui scappa via con l’elicottero, verso il Sole di mezzogiorno. Sul cappellino del pilota, voltato all’indietro, la scritta in bella vista: PYRADICE, PYRADICE. Se non è questo un chiaro segno d’ironia…E creatività. Perché ci sono molti modi più immediati per realizzare una pubblicità su due ruote, ed il più tipico è il seguente:

Red Bull Hardline
Gee Atherton, che qui vediamo impegnato in un segmento di discesa pura, non è comunque totalmente privo d’esperienze in campo urbano. Famosa fu la sua partecipazione al programma inglese Top Gear, durante la quale sfidò il conduttore James May, a bordo di una Renault Clio, lungo le strade di Lisbona. Il video dell’impresa è facilmente reperibile su YouTube.

Dalla una delle città più famose al mondo, alle discese erbose del Galles, nella selvaggia valle di Dyfi. Un cambio radicale di scenario, per uno degli ultimi video di ciclismo prodotti dal gigante Red Bull. A dire il vero sono già passati CINQUE giorni, ovvero nei termini rilevanti, il tempo sufficiente per pubblicare un’altra decina di episodi antologici dei molti atleti e team affiliati al marchio della bibita energetica più mediatica del panorama attuale, sempre attenta a dare seguito ai principali trend sportivi fuori dagli schemi. E questo è Hardline, la folle gara giunta quest’anno alla sua seconda edizione, che si propone di mescolare elementi di discipline come il Downhill, il Freeride e la BMX, dando i natali ad un tracciato che chiamare meramente “periglioso” sarebbe alquanto riduttivo. Tanto che stavolta è stato proprio lo stesso ideatore dell’evento, l’ex-campione inglese di discesa coi pedali Dan Atherton, farsi male ancora prima dell’inizio dello show, fratturandosi una scapola in tre punti (per nostra fortuna, sembra si stia già riprendendo brillantemente). A fare gli onori di casa, dunque, in questo altro video in prima persona ripreso grazie all’impiego della classica telecamerina da casco, ci ha pensato il fratello minore Gee, seconda parte della triade spesso vittoriosa del GT Factory Racing, completato dalla sorella dei due, Rachel. L’atleta in questione, esattamente trent’enne e forse il più famoso dei tre fratelli, con diversi titoli internazionali nel suo carnet, qui ci mostra cosa comporti effettuare una discesa di prova sull’accidentato tratto montano, con alcuni passaggi tecnici davvero ben riusciti. Il contrasto con il video urbano del suo collega di New York non potrebbe essere più netto: nella natura selvaggia non persiste nessun tipo di logo, fin quasi all’ultimo, quando il traguardo si palesa innanzi, con il nome del più celebre prodotto a base di guaranà che riconquista il centro dell’inquadratura. Il punto d’equilibrio della sequenza dichiaratamente pubblicitaria, ad ogni modo, appare decisamente più spostato verso il mondo dello sport duro e puro, mentre nessun tipo di spazio viene riservato ai variegati stilemi della sequenza newyorkese. Nella gara vera e propria, purtroppo, Gee dovrà accontentarsi di un ottavo posto, a causa di un guasto meccanico a una ruota, mentre a portarsi a casa il primo posto sarà Ruaridh Cunningham, seguito da Joe Smith e Bernard Kerr. Ma questo, a conti fatti, non è un grandissimo problema. Ci saranno altri trofei da portare a casa, altre selle da cavalcare. Innumerevoli altri loghi, a cui sacrificare i propri presupposti d’incolumità. Il che non vuole sottintendere, naturalmente, che lo facciano controvoglia. Per citare la singola pubblicità più famosa della Nike, se sei gazzella (o leone) DEVI correre. A chi potrebbe mai importare del colore della tua bandiera?

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