Come volano, sparvieri dal ronzìo insistente, tre o quattro eliche ciascuno, in mezzo alle volute del vapore. Le scintille fatte dalla segatura nel motore, appositamente aggiunta alla miscela, per accrescere ulteriormente i meriti di questa scena. Fuoco e fiamme alla fiera di Pickneyville, in una tiepida notte d’agosto che parrebbe appartenere a molto, molto tempo fa. Ciò perché al centro dell’inquadratura, così poetica e leggiadra, incede la macchina a vapore per antonomasia, quella ad uso agricolo, il trattore. Ma non uno come tutti gli altri, nossignore. È un Case, questo, rappresentante vivido di quella grande corporation statunitense, fondata nel 1843, che nel giro di 80 anni sarebbe arrivata a vendere 100.000 trebbiatrici. Oltre a 30.000 mezzi semoventi simili a questo qui, così straordinariamente restaurato, eppure non considerato pronto ad un museo. Bensì ancora utile, vecchio ferro ma non stanco, sospinto fino al sito della prova e messo in moto innanzi a un pubblico di esperti del settore. E sotto l’occhio di… Siamo di fronte, per intenderci, a una delle competizioni organizzate dalla prestigiosa Illinois Tractor Pulling Association, in cui macchine agricole di ogni foggia e dimensione devono sfidarsi in varie specialità, tra cui gare di velocità e potenza di traino. Proprio a tal fine, dietro il drago d’altri tempi è stata collegata un’apposita slitta con un complesso meccanismo, che nel corso del tragitto sposterà il suo peso gradualmente verso le due ruote anteriori, portando il piatto di metallo sito innanzi al semiasse fino al suolo, al fine di rendere il compito progressivamente più difficile, ancora e ancora. Si poteva spostare più velocemente, questo ponderoso arnese? Forse. Ma difficilmente, più lontano. Perché alla fine, tale approccio è stato studiato per un preciso scopo: dimostrare che l’erogazione di potenza, misurata in cavalli, non è determina la forza bruta, ma è bensì la coppia motrice (momento meccanico applicato) a determinare l’entità del compito a portata di un qualsiasi trattore. Ed in questo, il vecchio sistema del vapore non ha nulla da invidiare al vertiginoso avanzamento della tecnica moderna.
Basta guardarlo, dopo tutto: il mezzo in questione, proveniente dalla tarda epoca classica della produzione della Case, è il magnifico punto d’incontro tra funzionalità ed estetica, con un boiler lungo ed aggraziato, sormontato da una gran cabina decorata. Sulla quale campeggia in bella vista la dicitura 110 hp, piuttosto vicina a quella dei modelli top di gamma, che giungevano ad un relativamente impressionante valore di 150 hp, grosso modo equivalente a quello di una moderna berlina stradale, ma applicato su di un peso tra le 15 e le 20 tonnellate. In effetti, probabilmente in questo caso pesa più il trattore, che la slitta. Il fatto stesso che l’accoppiamento di oggetti riesca a muoversi, secondo i crismi della nostra epoca di un altro tipo d’efficienza, può facilmente suscitare un senso di spontanea meraviglia. Eppure, non soltanto le ruotone impressionanti del veicolo continuano a girare, ma riescono facilmente a far presa sul suolo sterrato, senza neanche l’accenno di uno slittamento. Sul suo davanti dell’eroica locomotiva fuori-strada, campeggia nel frattempo l’emblema dell’aquila, che il fondatore Jerome Increase Case (1819–1891) aveva dichiaratamente ripreso dal profilo della vecchia Abe, uccello simbolo di un reggimento del Wisconsin dell’epoca della guerra civile. Un simbolo che sarebbe rimasto legato a questo marchio almeno fino all’epoca dell’acquisto dello stesso da parte della Tenneco (1984) e il successivo ingresso nel gruppo internazionale Case IH, oggi controllato dalla nostra Fiat. E quale miglior modo, dunque, per riprendere la scena, che impiegare un punto di vista elevato, così come quello che avrebbe avuto il leggendario volatile, testimone di almeno una mezza dozzina di altre epocali battaglie…
È una strana, interessante giustapposizione: da una parte uno dei mezzi dalla coppia più elevata mai costruiti, soprattutto se rapportato alla sua epoca, dall’altra il leggiadro rappresentante di una categoria rigorosamente moderna, frutto della miniaturizzazione dei componenti e di nuove fonti d’energia. Di un drone come questo che non avrà, di certo, capacità comparabili al trattore di modificare l’ambiente delle cose fisiche, eppure sta cambiando progressivamente, assieme ai suoi fratelli, ciò che ci aspettiamo dalla vita quotidiana. Un mondo futuro in cui tutto è osservabile dall’alto, documentato per i posteri remoti. La cui parola d’ordine: testimonianza. Si racconta che nel 1884, l’ormai ricco e sessantacinquenne fondatore della Case Corp si fosse recato personalmente da un suo importante cliente in Minnesota, per capire cosa ci fosse che non andava nel suo motore per la trebbiatura del grano. E che dopo un intero giorno di lavoro, infuriato per il suo insuccesso, il meccanico milionario avesse letteralmente dato fuoco alla macchina, per poi inviarne una totalmente nuova in sostituzione. Una sequenza di eventi, per così dire, insolita! Che ad oggi non avrebbe avuto modo di ottenere un tale status di aneddoto leggendario, per il semplice fatto che una telecamera, l’onnipresente obiettivo che fluttua tra i cieli e i cellulari, l’avrebbero immortalata per il pubblico ludibrio, rivelandola per l’esagerazione che probabilmente era stata.
Negli anni in cui costui stava ancora facendo la sua fortuna, l’aquila del suo emblema viveva ancora, godendosi il pensionamento di una vera eroina di guerra. Trasferita a partire dal 1965 nel principale edificio amministrativo del Wisconsin, aveva ricevuto un appartamento di due stanze con custode e una vasca costruita su misura. Qui visse per ben 16 anni, come responsabile di quello che veniva chiamato scherzosamente “il dipartimento aquile”. Defunta ed impagliata a seguito delle inalazioni di fumo per un incendio accidentale del 1881 (ah, i pericoli del vapore!) la simbolica creatura non avrebbe mai assistito alla progressiva trasformazione della Case Corporation, che a partire dal 1985 avrebbe inaugurato la sua nuova linea di trattori a combustione interna, destinati a soppiantare gradualmente il vecchio metodo dell’acqua portata ad ebollizione. E furono ulteriori anni di successi, sotto la guida dei successori che J.I. Case seppe scegliere con cura, prima della sua stessa dipartita nel 1891; ad un certo punto, con l’ingresso del gigante Ford nel campo delle macchine agricole, le due compagnie si fronteggiarono sul mercato di un ribasso di prezzi, in quella che sarebbe stata definita la “tractor war” dei ruggenti anni ’20. Un valido esempio di come la prassi del libero mercato possa, in determinate condizioni, portare a dei vantaggi per il cliente finale. Nel corso della prima guerra mondiale, inoltre, la Case aveva avuto l’intuizione fortunata di ampliare i suoi affari in Europa, dove la sempre minore quantità di agricoltori (quelli non ancora arruolati nelle diverse armate combattenti) necessitava di apparecchiature progressivamente più efficaci. Nella guerra successiva, invece, contribuì direttamente allo sforzo bellico, producendo alcuni fondamentali componenti dei carri armati Sherman e dei bombardieri B-25. Ma in un certo senso, il campo che aveva fatto la sua fortuna in origine a quel punto era cambiato, trovando l’applicazione in un altro campo in cui la capacità di sviluppare il momento meccanico era tutto:
Un altro drone, questa volta di proprietà della compagnia di produzione video olandese FlightCam, in corso di sorvolo presso una location davvero d’eccezione, ovvero la ferrovia-museo che collega Veendam e Musselkanaal, tanto spesso usata per mettere in mostra alcune delle più belle locomotive a ancora funzionanti con la forza del vapore. Qui, non senza l’aiuto di un approfondito lavoro di post-processing, la sua piccola telecamera riesce a mostrarci la maestosità di questo motore degli anni ’40, appartenente all’era del tramonto del vapore, quando il metodo originario per far muovere le cose era ormai agli sgoccioli, e trovava spazio solamente sulle vie ferrate, come questa. Mezzi come questi erano definiti kriegslokomotiven (locomotive di guerra) e costituivano un progetto rivisto e semplificato degli esemplari precedenti, standardizzato da un ufficio governativo per ridurre i costi di messa in opera a vantaggio dello sforzo produttivo di armi e simili implementi. Questa locomotiva probabilmente, come le sue consorelle di allora, è costituita interamente in acciaio, al fine di lasciare i più preziosi metalli di altro tipo a disposizione dell’industria aeronautica, e presenta alcuni accorgimenti per minimizzare l’effetto dei climi gelidi del fronte orientale sulle truppe d’invasione tedesche. A seguito del fallimento della campagna in Russia, poi, molte di queste locomotive sarebbero rimaste dislocate sul territorio, diventando nel dopoguerra una vista piuttosto comune della nuova Unione Sovietica, sempre più estesa ed influente. Richard Paul Wagner, il loro progettista (1882 – 1953) aveva infatti saputo concepire dei veicoli non solo straordinariamente affidabili, ma resistenti e facili da riparare, in grado di sfruttare un carburante che comunque esisteva, era pur sempre disponibile a vantaggio dell’umanità. In funzione di questo particolare approccio funzionale, tuttavia, le Reichsbahn erano meno veloci delle loro controparti inglesi, nelle quali l’affidabilità veniva subordinata alla velocità di punta. Ma la coppia era sempre la stessa: locomotive come queste, in condizioni ideali, potevano spostare 4.000 tonnellate a una velocità di 80 Km/h. Niente male, per una manciata di molecole e un po’ di materia vegetale da bruciare…
Un valore tecnico che ritroviamo in tutto ciò che è artificiale, costruito con finalità specifiche da mano umana. Ma che cos’è, davvero? Una diretta misurazione del lavoro che può svolgere un motore? Oppure le prestazioni di accelerazione e spostamento a ritmo sostenuto di un veicolo? Ma quelle risultano anche dal peso complessivo, per non parlare della meccanica di supporto e della trasmissione, che non sono “potenza” ma ne determinano l’efficacia… Ed era possibile costruire, fin dall’epoca della Rivoluzione, motori a vapori tanto grandi da rivaleggiare l’emissione di qualsiasi mezzo attuale, inclusi molti degli aerei che oggi solcano le nubi. Ma sarebbero stati così pesanti, che non avrebbero volato neanche sulla Luna. In questo, sicuramente, superati anche da un piccolo drone a batteria. Ciò perché i veri meriti di una macchina non sono poi così oggettivi, come vorrebbero farci credere, quanto piuttosto l’equazione risultante dalla sua efficacia nel contesto d’utilizzo, unita alla soddisfazione che può darci vederla in funzione. Si, anche l’occhio vuole la sua parte. Non si vive di solo carbone.