Per ogni nuovo sport, un’origine remota. A costituire la radice di una qualsiasi avanzamento tecnico, il coraggio, o l’incoscienza, delle genti che vennero prima. “Quello stupido uccello…Mi sta sfidando, te lo dico io.” La pagliuzza ben stretta tra i denti, lo stetson di traverso sulla testa. Lenny lo svelto, il miglior cowboy dell’Arizona nonostante i soli vendidue anni d’età, non avrebbe mai accettato di fuggire di fronte a una gallina sovradimensionata, tanto meno sotto lo sguardo della figlia del sindaco, la bella Kathleen. “Mah! Secondo me, sarà nervoso…” L’inizio di una nuova epoca. La svolta del secolo: una nuova bestia da soma proveniente dalle savane d’Africa, importata con finalità di allevamento grazie ad una convenzione commerciale con i sindacati del commercio atlantico di Jacksonville, nella parte settentrionale della Florida, all’altro capo dello stretto e lungo continente. E poi un lungo viaggio sulle vie ferrate, lungo strade dismesse, sui rudimentali camion dell’incipiente modernità. “Scusa, non lo saresti anche te, dopo quello che ha passato? Oltretutto, gli manca una compagna!” A quel punto, Lenny sputò, prima di voltarsi di scatto con sguardo ammirato. La sua bocca perennemente atteggiata in una smorfia beffarda si contorse in un’accenno di sorriso. “Ragazza, tu sai di cosa parli. L’ho sempre detto a tuo padre, che mandarti a scuola è stata una bella mossa. Ah, ah, ah, tsk – cough, cough!” (Il tabacco masticato di prima mattina non fa particolarmente bene alla respirazione) “Ma tu devi capire, che l’istinto di noi uomini duri è dominare le BELVE. E questa…Questa…Cosa, non ha l’indole mansueta di un cavallo. Te l’hanno raccontato, vero?” Per accentuare l’affermazione, fece sbattere gli speroni tra di loro. “Ecco…” Certo che si. La storia dell’aiutante del ranch Randall aveva fatto il giro del paese: recatosi di buona lena per portare il fieno nel nuovo recinto, che presto avrebbe ospitato non due, non quattro, ma ben sedici uccelli giganti, il ragazzo era passato incautamente a pochi metri da quel becco inquisitivo. E malaguratamente, soprattutto per lui, aveva scelto proprio quel momento per tossire. A quanto aveva sentito Kat, in quell’attimo qualcosa era scattato nella mente dello struzzo, che piuttosto che allontanarsi disgustato, come faceva di solito al contatto con gli umani, è scattato in avanti, colpendo con la sua possente e artigliata zampa destra. Risultato: quindici punti in prossimità dello sterno, lieve commozione cerebrale per l’impatto con il suolo. Se questa grossa novità dell’allevamento di volatili doveva prender piede, occorrevano nuovi criteri di comportamento. Regole ben scritte e definite. “Lenny, ti rendi esattamente conto di CHE COSA stai dicendo?” Ah, la fluente chioma bionda di Kathleen, come si agita nell’aere quando parla enfatica di qualche cosa! “Questo animale, fino al mese scorso, era SELVATICO. Non puoi sapere come reagirà. Starai mica parlando di…Di…” Troppo tardi, signora mia. Un grido improvviso distoglie lo sguardo della giovane, momentaneamente concentrato verso gli occhi acquosi del non-volantile da 130 Kg. “YEE-HAW!” Lenny aveva scavalcato la staccionata, frusta turbinante nella mano destra, e ballonzolando nella tipica corsa sghemba di chi vive a cavalcioni di un quadrupede, pareva impegnato nell’ultima carica per la Vittoria, oppure Morte. In quel momento, diversi sentimenti attraversarono la mente di Kat: rabbia istintiva, dispiacere, entusiasmo suo malgrado per l’ottusità dell’animale Uomo, infine: quieta soddisfazione. Lei, laureanda in etologia fuori sede presso l’università di Phoenix, temporaneamente di ritorno presso la natìa città di Chandler, aveva visto le fotografie. Dei cavalieri più apprezzati d’Africa, da qualche anno intenti, secondo quanto narrato in prima persona dal suo insigne docente viaggiatore, a mettersi alla prova tenendosi aggrappati alle folte piume dell’uccello più grande del mondo. Forza di carattere. Muscoli scattanti. Saggezza tramandata di padre in figlio, attraverso generazioni di addestramento tattico e spietato. “That friggin idiot!” Nei momenti di rabbia, nonostante l’educazione ricevuta, tendeva a ritornare all’idioma campagnolo della gioventù. Le nocche delle mani già sbiancavano, mentre appoggiava tutto il peso sulla recinzione antistante “Damn. This, this gun b gud!” E caspita (ritornavano alla mente le poche lezioni frequentate del corso d’economia) davvero, potenzialmente redditizio…
Contro i pregiudizi e al contrario delle aspettative, così nacque negli Stati Uniti una bizzarra tradizione, forse trasferita per osmosi dalla celebrata arte dei rodei. Così nel senso, che nessuno sa davvero il momento e la ragione, per cui popolazioni ben distinte decisero inizialmente che si, sarebbe stata un’ottima idea salire in groppa a un animale naturalmente territoriale, e quindi piuttosto aggressivo, per di più sostanzialmente impossibile da ammaestrare. Sarà stata forse colpa della statuetta della regina Arsinoe II ritrovata in una tomba egizia, che raffigurava la monarca impegnata in questa inusuale attività. Ma si trattava assai probabilmente di un’allegoria. Resta il fatto che un’immagine ha potere, così come i dati sulle prestazioni: rea infatti spesso ripetuto che lo struzzo, quando libero da carichi ulteriori, potesse facilmente raggiungere i 70 Km/h consumando solamente un po’ d’avena. Il trionfo dell’andare più veloci, attraverso la storia e i cinque continenti, è un valore che può affascinare l’uomo. E quella strana scena di apertura con gli uccelli imbizzarriti, che corrono via da tutte le parti e girano su loro stessi, è la prova di un’evoluzione successiva di una tale perversione delle aspettative, nella maniera in cui viene praticata presso il rinomato ippodromo di Canterbury durante quelli che vengono definiti gli Extreme Racing Days, assieme a zebre, cammelli ed altre bizzarrìe. Proprio lì: nel raffinato e relativamente distinto settentrione del New England, infuso persino di un tocco d’europeismo, o per meglio dire, spirito anglosassone residuo. Per cui l’assurdità è concessa, si, ma solo per scommessa! Mentre all’altro capo degli Stati Uniti, nei luoghi già citati nella narrazione precedente, lo stile di vita struzzifero viene assunto con l’ossigeno. Permea ogni secondo della vita degli allevatori, giungendo alla munifica dimostrazione annuale verso i primi di marzo del grande Ostrich Festival di Chandler, in grado di attrarre facilmente anche diverse migliaia di turisti:
Ah, la gioia delle gozzoviglie e un metodo per approcciarsi alla natura, per così dire, vichingo. Il fior fiore della gioventù locale, durante una tre giorni di gare di vario tipo, si occupano in questa circostanza di dimostrare i molti metodi in cui gli esseri umani sono superiori agli altri bipedi più grandi e forti del pianeta. All’interno di un’arena che ricorda vagamente il Circo Massimo, benché in proporzioni certamente più ridotte, gli struzzi vengono cavalcati senza sella (a piuma) o persino attaccati a dei carretti piuttosto raccogliticci, probabile allusione ad una sorta di biga romana. Certi istrioni particolarmente pazzerelli, a giudicare dalle foto facilmente reperite online, arrivano a guarnirsi di bizzarre armature, con secchi sulla testa a far da elmo, e scopettoni usati come rudimentali quanto innocue lance medievali. L’atmosfera, insomma, è quella della tipica fiera americana, dove tutto è lecito per divertirsi, e qualunque follia viene attribuita all’effetto temporaneo dell’alcol, senza nuocere all’opinione collettiva sugli eroi della giornata. Lodati, anzi, per il loro spirito di corpo. L’intero caravanserraglio è da diversi anni piuttosto inviso agli animalisti, perché pare che lo scheletro degli struzzi, nonostante la loro massa apparente, non sia adeguato a sopportare per lunghi periodi il peso di una persona adulta, e ciò anche senza contare lo stress a cui viene sottoposto l’uccello per la gioia momentanea della folla in festa. Ciascun exploit, ad ogni modo, non dura più di qualche secondo o poco più di un minuto, ovvero il tempo medio che ci mette uno struzzo a disarcionare una persona, poco prima di essere instradato con le reti dentro a un camioncino che lo porti via, al sicuro. Neanche fossero l’equivalente bipede dei tori della corsa spagnola, nella distante Firmino. L’unico modo per vincere, davvero-davvero, una gara di struzzi è il NON partecipare. E in effetti, non è che manchino i presupposti di lesioni gravi…
L’arte di cavalcare gli struzzi nascerebbe, stando alle poche informazioni reperibili su Internet, all’inizio del secolo scorso in Sud Africa, presso la città di Oudtshoorn, massimo esportatrice su scala mondiale della carne da bistecca più amata dopo il manzo, il porco ed il cavallo. Pare infatti, ma non chiedetelo a me, che i tagli più pregiati del grande pennuto, caratterizzati da quell’inquietante color rosso scuro, siano dolciastri e saporiti, nonché magri nonostante l’apparenza. Si tratterebbe, insomma, di un pasto da re. E come ci insegnano gli Egizi, i sovrani devono pur cavalcare. Così è nata questa procedura, subito imitata nei ranch degli Stati Uniti, per creare un’attrazione turistica da quel che già si aveva pronto all’uso, tramite una serie di accorgimenti per rendere il cavalcamento dello struzzo non solo più divertente, ma sicuro e alla portata di tutti. L’esperienza si svolge così: un’addetto locale, esperto nella sua mansione, insacchetta la testa sfinata dell’animale, inducendo in lui una sorta di torpore. Quindi, tenendo ben salda una lunga corda, incita il cliente a salire in groppa, reggendosi ad almeno una delle attaccature alari. Con una mano, quindi, l’aspirante cavaliere (uccelliere?) Potrà far curvare il suo mezzo vivente improvvisato, per alcuni brevi quanto estatici momenti. Al termine del giro con conseguente caduta non grave, si spera, il responsabile tirerà a se bruscamente la corda, impedendo il calpestamento da parte dell’unico discendente del tirannosauro, che pur essendo privo di denti, è più che mai abile ad indurre la fuoriuscita d’organi importanti con gli altri strumenti a sua disposizione, viz. becco, artigli, semplice massa corporea.
Ed alla fine, è necessaria un’ammissione: si, cavalcare gli struzzi sembra divertente, per ciascuna delle parti coinvolte tranne l’animale. Si scommette, si sorride, ci si mette alla prova. Qualche volta, ci si chiede: ne vale davvero la pena? Ci sono, a questo mondo, innumerevoli specie animali più adatte ad essere cavalcate, o a trainare carichi di vario tipo. Ciò senza nemmeno considerare come oggi, grazie all’apporto tecnologico, si disponga dello strumento ancor più pratico dei motori. Quanti struzzi muoiono per questi barbarici sollazzi…Quante vittime innocenti del bisogno di provare l’emozione del cowboy aviario…Probabilmente, zero, forse zero-virgola-uno. Sono invece molti gli uccelli che nascono, e vengono allevati, proprio a un tale “strano” scopo. Certi spettacoli, visti da lontano, possono ragiolmente indurre a un moto di avversione. Ma è pur vero che nello schema generale delle cose, contribuiscono alla sopravvivenza di una specie. Avete mai visto qualcuno salire in groppa a un dodo? Appunto.