Un tetto aguzzo in mezzo alla campagna, con finestre alle mansarde ed un comignolo merlato. Se c’è un luogo che possa ricordare maggiormente il tipico ambiente di avventure spaventose, come il fantastico ed orribile viaggio del primo Resident Evil, o l’iconica bicocca degli Addams, non saprei descriverlo così, su due piedi. L’esplorazione urbana è quella pratica, ultimamente sempre più di moda, per cui si cerca su Internet o dalle conoscenze sul campo un luogo derelitto e in qualche modo decaduto. Edifici abbandonati, luoghi pubblici dismessi, abitazioni rovinate dall’effetto degli ambienti atmosferici o il semplice passar del tempo. Per poi varcare quella soglia, telecamera alla mano, e documentarne il contenuto a beneficio di…Chicchessia. Attività questa, talvolta pericolosa e quasi sempre abusiva, che conduce a un ricco ventaglio di scoperte, sul chi fossero i nostri antenati più recenti, come vivessero, qual’erano le loro preferenze in materia di tappezzeria. C’è ben poco che la muffa, o qualche morso di topo, possano nascondere a chi ha voglia di creare un corpus documentaristico sulle risorse storiche di un luogo. O a tutti gli altri che, come parrebbe qui configurarsi l’opera del noto filmmaker Dan Bell, desiderano più che altro dare il proprio contributo a un’aura di leggenda latente, che permea tali e tante trasandate mura. Già, metterci paura. Una missione non facile, considerato il modo in cui veniamo bombardati quotidianamente da racconti horror nei formati più diversi, oltre al taglio dei moderni reality ed altri programmi, inclusi taluni telegiornali. Preoccupati che “non cogliessimo le implicazioni del messaggio” i produttori mediatici più diversi hanno ormai sviluppato metodi per trasferire i sentimenti lungo le onde elettromagnetiche, inducendoci all’immedesimazione in personaggi che dovrebbero rappresentare le nostre pulsioni maggiormente basiche, scevre di cognizioni precedentemente apprese. Così, il terrore che si riceve a distanza, che sia reale o meno, non è mai silenzioso né interiorizzato, ma fatto di una cascata di descrizioni, parole enfatiche, improbabili montature. È andato perso il gusto della sobrietà.
Ed è in ciò che colpisce, soprattutto, il nuovo video di questo YouTuber da quasi 20.000 sottoscrizioni in continua crescita, che pur scegliendo la strada del sensazionalismo e qualche forzato espediente narrativo, riesce a creare 15 minuti di scoperte preoccupanti, nel contesto di un viaggio esplorativo tra i residui di un’epoca ormai (per fortuna?) trascorsa. Di sicuro, molto del fascino della sequenza deriva dalla location scelta per l’operazione, lasciata rigorosamente segreta, come si confà nell’opera di chi, come lui, s’introduce in luoghi non propriamente aperti al pubblico. La grande casa, perché di ciò si tratta in questo caso, viene descritta dal protagonista/cameraman come “Un ex-manicomio per bambini affittato ad una qualche altra organizzazione negli anni ’90, poi abbandonato almeno a partire dal 2000”. E inevitabilmente viene posta l’enfasi su quel primo capitolo della sua storia, descritta unicamente in questi sommi capi, benché nel corso dell’intero sopralluogo non vengano mostrati altri oggetti o suppellettili rimasti da quel triste impiego, tranne che una singola sedia con cinghie arancioni. Mentre la qualità delle rifiniture architettoniche, la grande scala in legno, i camini decorati con maioliche e le variopinte vetrate fanno piuttosto pensare ad un luogo molto amato, come la seconda casa di una famiglia dalle alte disponibilità economiche, soltanto poi adibita a un qualche tipo di uso pubblico, capitolo comunque dimostrato dalla presenza di segnaletica di divieto e indicazioni varie a parete. La scritta sopra la porta d’ingresso principale, in particolare, che recita in lettere dallo stile latino: “God’s Providence Is Mine Inheritance” (La Divina Provvidenza è la mia eredità) era la firma dell’architetto londinese Ewan Christian (1814–95) che non fu mai operativo negli Stati Uniti, ma la cui residenza personale di Hampstead, costruita nel 1882 e nota con il nome di Thwaitehead, presentava più di un punto di contatto con la misteriosa villa qui rappresentata. L’architettura Vittoriana, dopo tutto, ancora prima che uno stile attentamente definita fu una moda, portata in auge dalla crescente disponibilità ed economia di certi materiali e metodi, un tempo appannaggio esclusivo di chi avesse pure 20 o 30 servitori. Nel Nuovo Continente, in particolare, se ne diffuse tra il 1870 e il 1910 una versione più pragmatica, definita Folk Victorian, in cui le torrette erano meno pronunciate, gli abbaìni non del tutto esuberanti e il complessivo equilibrio delle forme, concepito per assomigliare meno ad un mini-castello o cattedrale. Ciononostante, qui permangono determinati elementi che avvicinano la struttura alla variante più estrema dello stile Queen Anne, influenzato dal Barocco rivisitato dell’architetto Richard Norman Shaw (1837–1901). Ma quanti luoghi magnifici da conoscere, si nascondono dietro una facciata di altre epoche, sporca e cadente? E allo stesso modo, innumerevoli sono i video che vanno perduti sul web, per la mancanza di un titolo o uno stile dialettico in grado di suscitare l’interesse collettivo. Ritorniamo, dunque, alla questione delle strane presenze…
Dan Bell, lo si capisce quasi subito, è uno che conosce bene il suo mestiere. Nella fase di avvicinamento alla villa, il suo montaggio prevede un vecchio pezzo musicale, allegro e spensierato, fatto ascoltare attraverso l’audio tutt’altro che perfetto di un qualche grammofono piuttosto scalcagnato. Quindi, varcata la mistica soglia, costui si dirige subito nella cantina, dove in sincronia con la dissolvenza della colonna sonora ci viene offerta l’occasione di notare quanto, effettivamente, il tempo abbia consumato quei pertugi. Nel buio che avanza, s’intravedono dei muri spettacolarmente scrostati, con il vecchio intonaco color pastello che si tramuta in foglie secche, accumulate agli angoli di ciascuna stanza. Un mucchio di decorazione natalizie giacciono dimenticate in mezzo al punto di passaggio, come se gli allora utilizzatori della casa le avessero abbandonate all’improvviso, senza il tempo di preparare il luogo ad un eventuale ritorno successivo. Oppure, qualcuno avrà frugato in mezzo a queste cose? Il dubbio viene suscitato non a caso proprio in quel momento, quando la pacata voce fuori campo dell’autore annuncia, non senza una punta d’entusiasmo, che a secondo lui “qualcuno” vive al piano superiore, probabilmente un ex-paziente dell’istituzione (come poteva essere diversamente?) Il genio registico, quindi, ritorna preponderante al minuto 7:05, quando s’intravede un’ombra sulla porta bianca di una stanza, chiaro segno che i suoi movimenti sono sorvegliati. Da esseri viventi o sovrannaturali? Dall’uomo delle bibite? Da un suo amico, chiamiamolo “Steve”? Difficile da giudicare. Lui, saggiamente, evita di notare la presenza nel commento audio, come se non l’avesse neppure notata, lasciando a noi la non facile mansione d’interpretarla e trarre conclusioni. Un siparietto divertente si verifica quasi immediatamente dopo, quando al salire delle scale si ode il suono di un’improvvisa esplosione, molto vicina al microfono: si tratta niente meno che della batteria di riserva delle telecamera, che in qualche modo non ha retto alla pressione ectoplasmica di questi luoghi. Rischi del mestiere. Le meraviglie inquietanti del primo piano, quindi, includono un davanzale sul quale qualcuno ha disposto ordinatamente un alto numero di ciottoli, un recipiente con pillole per il raffreddore (o la repressione licantropica) lasciate sopra un tavolo da pranzo, un pavimento sporco di una misteriosa sostanza rossa (sicuramente sangue, non può essere altro) e molta, moltissima spazzatura. Non perdetevi assolutamente il momento, al minuto 9:14, lo spioncino che si chiude all’improvviso, in una porta all’altro lato della stanza. Eh, si. Sarà stato certamente “il vento”.
Nei commenti al video, alcuni si offrono di accompagnare questo grande creativo nella prossima uscita, per proteggerlo dal male e dagli sguardi del maligno con la loro benevola presenza. Lo spettatore, dinnanzi a un simile ricco catalogo di spunti preoccupanti, viene infine chiamato a continuare con la sua giornata. Ma ben pochi, tra i più suggestionabili, possono restare indifferenti innanzi a tutto ciò. Che un luogo originariamente così ben curato, certamente costoso ed un tempo sito di riunioni tra persone in qualche modo affascinanti, possa essere giunto fino a un tale stato di abbandono, con i muri imbrattati, la muffa che avanza…È un chiaro ricordo della nostra impermanenza in questo mondo. Non c’è nulla, nei fatti, che possa garantire la sopravvivenza di una cosa inanimata, per quanto questa sia grande ed attraente, persino magnifica, a suo modo. Ed è questa, soprattutto, l’utilità dell’esplorazione urbana, un hobby certamente non adatto a tutti, spesso pericoloso e/o maleodorante, che può condurre a problematici incontri con le uniche entità che ancora battono quei luoghi. Dan Bell, ad esempio, vanta come suo video più guardato l’escursione presso il Rolling Acres Mall di Akron, in Ohio, occasione in cui la polizia locale, richiamata forse da un abitante dei dintorni che aveva notato l’automobile usata per raggiungere la scena, lo ha scortato (più o meno) cortesemente al di fuori dalla zona proibita.
Ma non si può fare terra bruciata sul passato, e ciò che era, vive ancora. Nella mente e nei ricordi di coloro che assistono, anche se non hanno i dati ben disposti innanzi a se. Quale manicomio per bambini? Da che anno esiste questa casa? Quanti angeli servono per fare il peso di un fantasma? La verità è uno spillo perso in mezzo ad un fienile. E se vuoi cercarla, stai sicuro di una cosa: prima o poi ti pungerai la mano.