L’uomo che ronzava sottovoce agli alveari

JPthebeeman

Video pregni, scene molto significative. Il ciclo dei momenti in cui la sapienza tecnica fa molta differenza, e solo aver sperimentato prima quella cosa, in cento e più occasioni, può permetterti di giungere a risoluzione del problema. Momenti che restano in piena evidenza, sopra il catalogo spropositato di YouTube, per essere citati a più riprese, ogniqualvolta l’argomento sembri significativo. Finché diventano leggenda. Ed a quel punto si dimentica, è uno strano paradosso, il nome di colui che fa l’impresa: chi è JP the Bee Man? Chi è che osa manipolare le api senza tuta, guanti o altre protezioni? Cosa fa muovere l’autore e protagonista di alcuni grandi classici del web, come “Sciame che infesta l’auto nel parcheggio” oppure, “L’alveare incastrato nel doppio muro di mattoni”? Sequenze famose non soltanto perché mostrano un qualcosa che non vedi certamente tutti i giorni (a meno che non sia tu stesso un apicultore) ma per la serie d’importanti informazioni elargite, con il suo consueto tono pacatamente entusiasta, del più celebre 50% del duomvirato dei Bickering Beekepers, formato da lui Jeff Armstrong “JP”, di Metairie Louisiana, e Bruce Scharwath detto Schawee, occasionale mano dietro la telecamera nonché socio in affari a partire dal 2010. Perché fare una cosa simile, portarsi via le api, non è dev’essere necessariamente traumatico, per il disinfestatore, per il proprietario, oppure per le api. Tutto ciò che serve è la conoscenza dell’approccio giusto, la non violenza che contagia addirittura loro, ospiti indesiderate ed altrettanto inconsapevoli di ciò che può accadere.
Come esempio del modus operandi di questo grande accaparratore di cose ronzanti, potrebbe tornare utile in modo particolare questo intervento del febbraio del 2014, in cui le condizioni d’illuminazione pressoché ideale, nonché la totale solitudine e il silenzio, permisero a JP di spiegare in modo particolarmente esaustivo ciascuno dei passaggi compiuti, offrendo la chiave per trovarli e comprenderli nei suoi numerosi video precedenti e successivi. Si trattava, tra l’altro, di un caso piuttosto atipico, in cui un’intero sciame in corso di migrazione, ben prima di aver trovato un punto in cui stabilirsi definitivamente, si era fermato a riposarsi temporaneamente in un grande copertone da camion, abbandonato in una zona forestale presso il fiume Mississipi. Qui dunque, lasciate a loro stesse, le api avevano iniziato ad apprezzare l’ombra e l’apparente tranquillità locale, iniziando a costruire il favo, in luogo troppo basso e alla portata di uccelli ed altri predatori. Finché qualcuno, forse un agricoltore locale, oppure un escursionista che passava di lì, non ha fatto girar la voce tra i locali, finché la presenza delle eterne impollinatrici non è giunta fino all’orecchio di chi aveva in loro un interesse, per così dire, particolare. Il prezzo di un alveare completo, o come potremmo definirlo noi esterni del settore: “la piccola fabbrica del miele” può infatti aggirarsi tra i 150-250 dollari, per non parlare della rendita difficilmente calcolabile che detta comunità potrà fornire al suo padrone nel corso di settimane, mesi ed anni. A differenza di qualsiasi altro animale che fa produzione, come galline, mucche o maiali, le api sono operative 24 ore su 24, non hanno il problema della gioventù o della vecchiaia, non richiedono le cure di un veterinario. Semplicemente lavorano in eterno, oppure, come purtroppo sta accadendo sempre più di frequente negli ultimi tempi, si ammalano tutte assieme e cessano di assolvere al fondamentale compito dell’impollinazione. Un motivo questo, se vogliamo, di essere ancor più veementi nella loro ricerca, e salvare quante più comunità possibili, perché un giorno potrebbero essere l’ultima speranza di sopravvivenza dell’intera biosfera terrestre.


Seguendo le semplici regole elencate da JP: a guardar lui, viene da pensare che persino un bambino potrebbe farlo. Nessun indumento protettivo, maniche corte, viso scoperto. Sono convinto che molti di noi, dovendo intervenire per rimuovere le api, non ci saremmo accontentati neanche di una tuta per le radiazioni. Mentre lui non solo siede allegramente sulla stessa ruota dove vive la colonia, ma gesticola ed indica, parla ad alta voce nel microfono che impiega a nostro beneficio. Quindi, prima di iniziare la parte più complessa dell’operazione, impugna lo strumento simbolo del suo mestiere, il bee smoker, che ha la forma di una sorta di teiera metallica, ma nasconde al suo interno un carburante ed una fiamma viva, più che sufficiente a generare un flusso continuo di fumo biancastro, facilmente direzionabile grazie al beccuccio che si stringe in punta. Si dice che l’attrezzo sia stato inventato dal famoso primo apicultore commerciale degli Stati Uniti, Moses Quinby, che nel 1975 aveva in qualche modo unito un mantice da forgia e un recipiente per la fusione dello stagno. Negli anni poi, naturalmente, il progetto originario è stato perfezionato, fino al raggiungimento dell’attuale strumento ad una mano, impiegato per calmare con sensibile efficacia gli insetti e scongiurare la prima puntura che potrebbe, per l’effetto dei feromoni, indurne innumerevoli altre. Chi fa questo, sostanzialmente gioca con il fuoco non una, bensì due volte in parallelo.

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Un episodio simile a quello dello pneumatico di camion, per tematica e procedura, si ritrova nel singolo video più guardato di JP, quello in cui interveniva per salvare un SUV indebitamente colonizzato.

Indotto questo stato di torpore, già noto dai tempi dei primi cacciatori-raccoglitori che scoprirono il sapore dell’amato miele, si passa quindi alla rimozione fisica delle abitanti del pertugio, tramite l’impiego di una classica arnia portatile, spruzzata di un qualche tipo di esca liquida odorosa. Le sostanze usate a questa finalità possono essere di vario tipo, sia artificiali che naturali. La più efficace, in particolare, è quella tratta in via diretta da una regina eccedente o “vergine”, prelevata da un alveare prima ancora che potesse accoppiarsi per la prima volta e fatta disciogliere in una soluzione d’alcol. L’odore di questa stregonesca mistura, lasciata a macerare per un tempo medio, pare che risulti estremamente desiderabile per i fuchi, e dove vanno loro, in genere, segue il resto dello sciame. In alternativa, gli operatori apiari meno intenzionati a ricorrere a simili mezzi macabri ma funzionali, hanno scoperto che un semplice miscuglio con due parti di citrale, uno di geraniolo (un alcol terpenico) e una goccia di limone ottengono un aroma molto simile, e quasi altrettanto valido nell’attrarre le possibili inquiline della casa in legno compensato. E non c’è molto da stupirsi in una tale strana associazione, quando si pensa che anche il feromone rilasciato da un’ape in fase d’aggressione, per chiamare le sue colleghe di rinforzo, assomigli in modo impressionante (dicono) all’aroma della banana. Quasi come se in natura esistessero soltanto un certo numero d’odori, il cui significato semantico è determinato dal contesto.
Così, grazie a un simile espediente, lentamente le molteplici creature iniziano a spostarsi. Ma tutta questa fatica non servirebbe in fondo a nulla, se tra le prime a spostarsi non ci fosse la vera ed unica membra fondamentale del gruppo, colei che ha il compito di far le uova per partenogenesi, che hanno la certezza di schiudersi e fornire nuove braccia all’alveare, con l’aiuto di un padre oppure no. E la regina stessa, inutile dirlo, non viene attratta dall’aroma di regina. L’apicultore deve dunque individuare la sovrana nel marasma, grazie alle sue dimensioni maggiorate, ed intervenire direttamente tramite l’impiego di un’apposita pinzetta, che JP ha l’abitudine di mettere quasi sempre in primo piano, dinnanzi all’occhio della telecamera, per mostrarci trionfale la sua ultima preda.

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Problemi di ape/i? Per aspirare le vostre ansie, si consiglia l’impiego di un aspirapolvere Beehoover. Soltanto Beehoover conserva intatto il Vs. miele™

C’è un idillio, quasi, la serenità che viene da una procedura collaudata e semplice, molto meno rischiosa di quanto potrebbe sembrare. Il prelievo di uno sciame, preso nel bel mezzo della sua migrazione, non consiste in altro che fornire a delle senza-tetto l’offerta irresistibile di una nuova casa, spronandole coi metodi citati, più che altro, perché altrimenti non comprenderebbero la loro fortuna. L’intervento dell’apicultore, in questi casi, è quasi sempre gratuito, perché portandosi via le api non soltanto fa un favore alla comunità, ma acquisisce una nuova risorsa su cui poter contare in futuro per un ottimo guadagno ricorrente. Le cose iniziano a farsi più complicate, invece, quando l’infestazione viene scoperta tardi, e le api hanno già costruito i loro favi. L’ape comune europea (Apis mellifera) non difende attivamente il nido in condizioni normali, come invece fanno le vespe o le sue cugine africanizzate, ma quando è chiamata a difendere le sue uova e i piccoli dell’alveare, difficilmente sceglie di tirarsi indietro. Il che è particolarmente sfortunato nel caso di una rimozione forzata, perché la pelle umana è abbastanza spessa, nella maggior parte dei casi, da intrappolare il pungiglione dell’ape che conseguentemente muore orribilmente. Inoltre c’è il piccolo problema della soglia delle 10 punture, dopo cui, anche una persona non allergica, generalmente inizia a risentire delle conseguenze del veleno. Per questo, anche un sapiente benevolo come JP, nel caso d’interventi presso colonie ben radicate deve ricorrere all’impiego della tuta protettiva e il comune aspirapolvere, uno strumento fondamentale di ogni disinfestatore specializzato in insetti sociali. L’unico vantaggio, in questi casi, sarà il poter disporre del favo stesso da impiegare al posto dell’esca, che una volta ripulito e spostato nell’arnia, attirerà con efficacia ancor maggiore le sue proprietarie, più che mai pronte a seguire le proprie preziosa uova fin dentro all’invitante trappola che conduce alla futura schiavitù.
Ma una schiavitù benevola, tutto considerato. Perché l’ape nella vita non vorrebbe fare altro, che lavorare, e lo stesso concetto d’individualità, così importante nella nostra società di mammiferi sapienti, per essa/e non ha alcun significato trascendente o significativo. L’ape esiste come parte inscindibile dell’aveare, e quest’ultimo, a sua volta, è l’ingranaggio di un sistema che coinvolge tutti noi. Al di sopra del quale, invece che un’imperatrice o super-ape, sussiste la suprema Via ronzante, impossibile da comprendere, misurare o interpretare. Tutto ciò che possiamo fare, è mettere i cartelli, verso il fiore.

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