Gli ondeggianti ponti della Svizzera sospesa

Carasc Bridge

Si può giungere alla stessa teoria in maniera indipendente, ma in determinati casi, una soluzione può essere talmente inaspettata nella sua semplicità, nonché ansiogena per chi la sperimenta per la prima volta, che non sono in molti a scegliere di dargli una forma materiale. E non a caso esistono, nell’intera storia dell’umanità montanara, soltanto due civilizzazioni che abbiano costruito questo tipo di ponte nei loro territori, per lo meno prima che la globalizzazione facesse di noi tutti un grande, operoso melting pot: i popoli andini dell’America precolombiana da una parte (XVI sec. ca.) il Tibet coévo alla dinastia cinese degli Han (220 a.C.) dall’altra. Entrambi mondi che ricorsero al ponte sospeso, soprattutto, per un’esigenza imprescindibile. Perché spostarsi non è facile, ma non può esserci davvero aggregazione, un senso di fondamentale appartenenza, a meno le strade non s’irradino a partire da una capitale, come il mozzo della ruota che fa muovere il passaggio del progresso. Anche se i suoi raggi sono morbidi ed oscillano nel vento; anche se una persona con le braccia allargate per reggersi alle funi di sostegno, lo sguardo dritto innanzi a sé, non può che percepire il vuoto, sotto la sua mano destra, ed il vuoto, sotto quella sinistra. Mentre gli uccelli sfrecciano in quell’ambito del tutto vuoto, inconsapevoli degli uomini che ne hanno fatto una sgradita circostanza. Il ponte Carasc, che unisce con una sottile striscia lunga 270 metri i due comuni di Carasso e Sementina, è una visione che può far venire le vertigini, e non soltanto per l’aspettativa che già cresce al pensiero di percorrerlo da un lato all’altro. Pur trattandosi di un elemento architettonico moderno e quindi per definizione universale, è impossibile mancare di considerarlo in qualche modo, concettuale se non pratico, la manifestazione massima di un oggetto fuori dal contesto. Due soli punti di sostegno, a limitare drasticamente l’impatto ambientale, da cui partono 6 cavi di metallo, dal diametro di 36 mm, i cui due inferiori, perfettamente paralleli, trasformati in una lunga piattaforma dalla disposizione concatenata di ben 728 assi di larice, un legno particolarmente resistente e spesso usato per costruire case di montagna. Nell’intera storia d’Europa, prima del suo completamento, nulla di paragonabile era mai esistito fuori dalla Svizzera, e anche lì, non prima del 2004, con la costruzione del primo dei due Triftbrücke (ponti del ghiacciaio del Trift) lungo “appena” 101 metri. Questo perché lo stesso concetto di trovarsi a camminare, sospesi nel vuoto a 70-130 metri, come discendenti dell’antica Roma non ci appartiene e non ci apparterrà mai. Il che determina dal punto di vista filosofico la funzione di questo edificio, fatto di spazi vuoti ancor prima che materiali: affascinare l’occhio degli spettatori, colpire la mente di chi ne apprende l’esistenza. Facendo nascere in lui, idealmente, un bisogno irresistibile di fare l’esperienza di attraversamento. Sperimentare il flusso dell’adrenalina, almeno per una volta, grazie all’impiego di un sistema che non solo appare relativamente accessibile, ma è ancor più sicuro che guidare lungo i tornanti che permettono di avvicinarsi all’obiettivo, ovvero la chiesa medievale di San Barnárd, con affreschi databili al remoto 1400. Dal nuovo all’antico quindi, con lo scopo di abbreviare un ripido percorso, conducendo chi lo voglia fino ai luoghi dell’antico paese sul monte, storicamente inaccessibili assieme ad un simile importante monumento. Così, è indubbio che il ponte sia principalmente un’attrazione per turisti, ma rappresenta anche una parte della nuova Svizzera, che all’improvviso ha rilevato la ricchezza duratura di quei luoghi, in cui un tempo i minatori trascorrevano dure giornate, e che dopo l’esaurimento del carbone del Ticino furono lasciati nell’incuria, fino al degradarsi dei vecchi metodi di accesso, sentieri riconquistati dalla furia dell’inarrestabile vegetazione.

Finché nel 1998, una nuova speranza: nasce con significativi stanziamenti pubblici, ma anche finanziamenti di prestigiose realtà locali, la Fondazione Curzùtt, finalizzata al recupero e rinnovamento dell’intera regione denominata la Collina Alta, storico collegamento di quest’area verso il panorama dei castelli di Bellinzona, con la chiesa di San Defendente e le propaggini dell’antica Via del Vino, una lunga, lunga camminata che conduce fino alla Bassa Atesina e Salorno. Quale miglior modo, quindi, d’investire il primo quinto dei 5,7 milioni di franchi ricevuti, che costruire un qualcosa di valido ad entrare nell’immaginario collettivo degli amanti dell’ingegneria? Il ponte è stato inaugurato nella primavera del 2015, dopo soltanto sei mesi di lavoro. E tutto a seguito di un’idea venuta personalmente al presidente della fondazione stessa ma come dicevamo, non del tutto nuova, anche senza dover risalire fino alle origini remote dei paesi all’altro lato del globo:

Trift Bridge

Ecco dunque il citato Triftbrücke, nella sua seconda versione del 2009 comunque precedente a quello della Sementina, benché molto meno lunga e sofisticata. Ricostruito perché il primo tentativo di 101 metri, basato sul modello dei ponti tibetani a tre funi, si era rivelato fin troppo inaccessibile ai più, ed al contempo non del tutto in linea con le moderne esigenze in materia di solidità strutturale (il che, in un certo senso, lo rende tutt’ora più attraente per un certo tipo di turismo avventuroso). Entrambi i passaggi sospesi si estendono sopra il lago Triftsee, vicino Gadmen nel canton Berna, dove le lingue parlate sono il tedesco e il francese, collocazione che gli permette di offrire una vista notevole sull’intero ghiacciaio antistante, fin verso le Alpi italiane. E non è certo un caso se la fenomenale location riesce ad attrarre una media di 20.000 turisti l’anno, nonostante sia decisamente meno accessibile rispetto al Carasso, con una funivia da prendere presso il paese di Meiringen, seguita da un’ora e mezza circa di camminata fino alle pareti rocciose a strapiombo sopra le chiare, dolci e fresche acque di montagna.
Per lungo tempo il secondo dei Triftbrücke, in particolare, è stato il ponte sospeso più lungo della Svizzera, con i suoi 170 metri d’estensione e le 340 assi di larice, prima di essere praticamente raddoppiato dalla costruzione del Canton Ticino. Del resto nessuno, tentando di creare un’attrazione nazionale, è insensibile al fascino dei record, e indubbiamente l’opportunità di guadagnarsi un simile primato deve aver fatto molto per spronare i finanziatori della Fondazione. Un altro dato interessante, nella comparazione tra i diversi ponti, è il costo complessivo che fu riportato ufficialmente per un certo periodo, almeno stando a Wikipedia, sul sito ufficiale del Trift (oggi non più operativo): appena 350.000 franchi svizzeri, contro il milione e 600.000 del Carasc. Ma mentre per quest’ultimo disponiamo dell’affascinante, vagamente futuristico video d’apertura, della costruzione del suo antecedente non ci è dato di vedere nulla, e dunque l’opportunità di comprendere l’origine del risparmio ci rimane preclusa. Mentre un altro mistero, quello di che tipo d’ingegnere, effettivamente, possa scegliere di dedicarsi a tali imprese, ci viene chiarito da un altro video di approfondimento, realizzato questa volta a beneficio di quello che è tutt’ora il ponte sospeso più alto della Svizzera, il camminamento di Titlis:

Titlis Cliff Walk

In questo spezzone tratto dalla Tv tedesca Euromaxx ci vine dato di conoscere brevemente Roger Waser, progettista presso una delle compagnie che si occupano di realizzare, in giro per la Svizzera, un vasto ventaglio di queste attrazioni che sostengono il turismo. Viene ad esempio citata, ad un certo punto del video, l’improbabile funivia ad alta quota dello Stanserhorn-Bahn, fornita di un terrazzamento aperto analogo a quello degli autobus per i turisti romani. Oltre a una lunga serie di ponti panoramici, tunnel e altre incredibili invenzioni… Ma lui, ci spiega con orgoglio, è rimasto soprattutto legato a questa sua creazione completata, in occasione del centenario della teleferica dell’Engelberg–Gerschnialp del 1913, tra i versanti delle prossime Alpi Urane. Siamo tornati, dunque, in prossimità dell’Italia, e non così lontano dalla celebre città di Lucerna. Qui, a 3000 metri d’altitudine, si trova un tradizionale percorso di montagna, recentemente esteso significativamente con l’aggiunta di questo ponte sospeso di 98 metri, costruito con metodologie apparentemente molto diverse dagli altri due citati. Siamo, del resto, in condizioni assai più estreme, con venti previsti di fino a 190 Km/h, oltre ad un frequente accumulo di neve. Lo stesso ingegnere, durante l’intervista, si fa vedere mentre aiuta a spalare una parte dell’accumulo di quest’ultima, benché la sua creazione sia certificata per sostenerne fino a 450 tonnellate + il peso della gente che dovesse comunque scegliere di passar di lì. C’è aneddoto è  particolarmente significativo nella storia di questo ponte, legato al giorno della sua inaugurazione il 7 settembre del 2012, quando i dignitari di 15 paesi, giunti per assistere all’evento, si trovarono nel mezzo di una tempesta di neve, senza quindi la possibilità di osservare il celebrato panorama locale. Il fatto stesso che però sul ponte ci siano saliti, attraversando probabilmente anche più di una volta la sua lunga passerella larga appena un metro, fa molto per riconfermare la fiducia che l’uomo dei nostri giorni ha nella tecnologia applicata all’architettura, quell’attenta pianificazione che permette ad un qualcosa di così pesante e duraturo di oscillare, senza mai usurarsi o perdere la presa sulle due remote estremità.
È così una strana relazione, quella che unisce le Ande, il Tibet e la Svizzera, tre paesi comparabilmente ricchi di rilievi, tra i quali, due scelsero la stessa soluzione. Mentre l’altro, assieme al resto del vertiginoso mondo, si limitò invece a ricavare dei camminamenti nelle valli, in mezzo agli alberi ombrosi. Certo, si potrebbe affermare che le proporzioni, la profondità e la vastità dei dirupi fossero in qualche maniera meno scoraggianti, ma è pur vero che nelle condizioni ideali della modernità, anche qui da noi in Europa si è giunti ad apprezzare infine l’utilità tecnica di un ponte con due soli punti di appoggio. Che può essere ultimato a pochi mesi dal finanziamento ricevuto. Che non rovina ma piuttosto arricchisce il paesaggio. Che sembra instabile, ma non lo è.

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