Punto primo: IL VIAGGIO. Il suono di piedi palmati sulla pavimentazione, un delicato starnazzare. L’ombra che compare ai lati del campo visivo. Chi disturba il pomeriggio del guerriero? Essa è giunta, sia l’essa o in pentola, pregunta. Perché viviamo in un mondo dove, nonostante le apparenze e i presupposti d’industrializzazione, ancora ci può capitar l’incontro con creature fuori dal controllo degli umani. Gli animali, selvatici persino. Certamente sarà capitato di recente a voi lettori, guardando casualmente fuori la finestra, di trovarvi quello spazio all’improvviso non più vuoto, ma occupato da…Qualcosa. Qualcuno/a, il passero, piccione, addirittura un grosso corvide con l’occhio nero. Per non parlare poi dei ragni, le zanzare, i curculionidi nel tuo giardino. Ma tutto questo non è nulla, neanche un picco d’encefalogramma, al confronto del colloquio capitato al ranger Andre Bachman, mentre guidava il suo pickup lungo una strada di campagna nell’Alberta, tra Edmonton e il lago Shining Bank: quasi cinque chili di volatile col collo lungo, la livrea graziosamente bicolore, il becco che si apre per mostrare un dentro rosa e carico d’aspettativa. Forse voleva da mangiare. Forse. Oppure, molto più semplicemente, si era persa l’oca canadese.
La Branta canadensis è una creatura dal notevole successo ecologico, che nella maggior parte dei casi non ha certo alcun bisogno dell’aiuto di noialtri. Normalmente vista, tra settembre e novembre, mentre disegna grandi V nei cieli, assieme a un certo numero di sue compagne, divorando miglia e miglia verso l’obiettivo della migrazione e poi di nuovo in primavera, di ritorno verso il nido della nascita distante. Non c’è quasi limite, ai percorsi che può compiere quest’oca, in grado di spaziare fino al Nord Europa, transitando per le terre artiche che uniscono i remoti continenti. E questo senza nemmeno prendere in considerazione come proprio noi, colpiti dall’ottimo potenziale in qualità di bestia d’allevamento o bersaglio per la caccia ai pennuti, abbiamo fatto in modo d’introdurla in Bretagna, Sud America e addirittura la remota Nuova Zelanda, tutti luoghi in cui l’animale si è moltiplicato a dismisura. Riunite in uno stormo, all’altezza media di 1 Km (ma possono raggiungere occasionalmente la cifra spropositata di 9.000 metri) le oche volano, dandosi il cambio per non faticare troppo, visto come l’apripista della formazione, il “vertice” per così dire, sia il soggetto dello sforzo maggiormente significativo. Nel frattempo, un particolare processo biologico causa l’ingrossamento della loro tiroide, con un conseguente aumento degli ormoni che le aiutano a superare la fatica, velocizzano il metabolismo e riscaldano quello che è sotto il variegato manto delle loro piume. Non puoi davvero fermare, un’oca in volo. Ma il problema è che quando si ferma, per un motivo qualsiasi, restando sfortunatamente indietro, difficilmente sarà in grado di raggiungere le sue compagne.
Così questo esemplare, dalle dimensioni probabilmente una femmina, giaceva a lato della strada, spaesato e solitario, in dubbio sul suo passo successivo. Per gli animali che scelgono la vita del gregario, perdere la leadership, e con essa la bussola del richiamo, può rivelarsi estremamente grave. Ed è qui, che può entrare in gioco la preziosa compassione. Fermare il veicolo, scendere dall’auto, scambiarci due parole. Forse fargli una carezza. Magari dargli da mangiare (no, non è il nostro caso). E soprattutto, offrire al volatile una nuova forma da seguire, ma stavolta con quattro pneumatici, la targa e il parabrezza. Che scena! Mr. Bachman che prosegue lungo il suo percorso, eppure questa volta, non più solo. L’oca, prima incespicando sull’asfalto, poi alzandosi letteralmente in volo, si piazza bene al centro dello specchietto retrovisore, inscenando la perfetta equivalenza a bassa quota del suo naturale volo in formazione. Così per l’uomo non è affatto difficile, né sgradito, comprendere il passo successivo dell’operazione. Con piglio certo e mano salda sul volante, si dirige verso il più vicino specchio d’acqua, dove la sua nuova amica possa soggiornare e riposarsi, prima di decidere che fare.
È un viaggio straordinario nella terra del possibile, una sequenza quasi mistica d’incontro tra natura e tecnologia. La strada si trasforma nel sentiero di una strana migrazione, mentre autista, metallo e waterfowl percorrono lo spazio designato, fino al raggiungimento di una meta che è il momento di salvezza, per lo meno, temporanea ed apparente. Va certamente encomiata, in modo particolare, la qualità delle riprese realizzate per noi spettatori, in alta risoluzione, stabilizzate in post-produzione, sempre con il cellulare in orizzontale. Nel finale, che è anche un po’ un inizio, loro si separano. Il ranger torna nella sua foresta, l’oca bruca quietamente un po’ l’erbetta circostante, pensosa. Qualcuno, a distanza di spazio e tempo significativi, finirà per chiedersi con fare vagamente preoccupato: lo sa sai davvero, Mr. Bachman, che cos’hai creato?
Il che ci porta al punto secondo: CONQUISTA (del territorio). L’oca canadese media, a differenza del simpatico e smarrito animaletto incontrato nel corso della surreale escursione suddetta, è una creatura estremamente scostante ed aggressiva. Vittima naturale predestinata, fin dalla giovanissima età, di coyotes, lupi grigi, volpi artiche, gufi e corvi, crescendo acquisisce quella stazza, e capacità combattiva, che può permettergli di difendere se stessa ed i suoi piccoli da tali predatori. È una visione che non si dimentica troppo facilmente. Il bipede alato che si erge alla sua massima estensione, allunga il collo fino ad un’altezza di un metro e venti, spalancando le sue ali ad un’estensione di fino a 185 cm. Per lanciare un grido battagliero e quindi, spesse volte, caricare. Si dice che il pollo comune sia il diretto discendente del tirannosauro, ridimensionato col passaggio dei millenni e trasformato in mero cibo da cortile. Ma se così fosse, l’oca allora è figlia del dragone. E di quello, nonostante tutto, ha mantenuto il piglio e l’intenzione. La cultura popolare del continente americano è letteralmente piena di storie aneddotiche o vicende improbabili in cui una, o più oche canadesi si sono stabilite in prossimità di un sentiero trafficato, attaccando selvaggiamente chiunque avesse l’ardimento di passar di lì. Indicativa è ad esempio questa vicenda, resa popolare da YouTube, in cui un pescatore e il suo cane si trovano alle prese con una rappresentante della nazione volatrice, che per qualche astrusa natura ha deciso che una barca a remi diventasse la sua casa. La furia e l’intento aggressivo del pennuto sarebbero già sufficienti a indurre un senso d’ansia se si trattasse di un caso isolato, mentre considerate addirittura questo: la popolazione dell’oca canadese propriamente detta, nel solo Nord America, è stimata sui 4-5 milioni d’esemplari. Tutti egualmente agguerriti ed affamati, con un concetto estremamente vago della proprietà privata. Contro quella che sta diventando una vera e propria infestazione, ogni mezzo è lecito. Ogni arma giustificata.
Punto terzo: SOPRAVVIVENZA. Che l’uomo abbia, volente o nolente, un impatto significativo sul mondo naturale è un fatto largamente noto. Le sue strutture, i suoi scarti, l’inquinamento e lo sfruttamento sconsiderato delle risorse a disposizione, nei secoli, hanno portato all’estinzione più di una splendida genìa, resa obsoleta in tempi di gran lunga troppo brevi rispetto a quelli pre-codificati nella spazio cosmico immanente. Permane, tuttavia, una particolare occupazione del mondo cosiddetto artificiale, che assolve a un compito ecologico di primo piano. Ed è proprio questo, il mestiere del cacciatore. Certo, nella civilizzata epoca corrente non sono davvero molte le persone, che trovandosi di fronte a un animale estremamente grazioso come questo, mantengono l’istinto di sparargli e cucinarselo in padella. Ma considerate questo: molte colonie d’oche canadesi, trovando il loro luogo ideale nell’erba ben curata delle installazioni umani, come i campi da golf, i giardini pubblici, i complessi residenziali, cessano le loro migrazioni. Moltiplicandosi in maniera incontrollata, causano danni anche significativi, sporcano ovunque e in determinate condizioni, addirittura, causano incidenti mortali. Sto parlando, ovviamente, del problema degli aerei che a più riprese, nel corso della storia recente, hanno risucchiato nei motori uno o più di questi uccelli, finendo per precipitare in fase di decollo o di atterraggio.
Le contromisure per un simile sovraffollamento sono molteplici: si va dalla registrazione del richiamo predatorio fatto risuonare da un altoparlante (intensità uno) allo sguinzagliamento dei cani, che infastidiscono e scacciano via le oche (intesità due). In casi estremi, si passa alla distruzione o lo spostamento delle uova (intensità tre) o l’uccisione sistematica degli esemplari adulti (quattro). Attività, quest’ultima, che il più delle volte viene formalizzata con una semplice estensione della stagione di caccia, ma cosa fare nel caso in cui le oche, nostro malgrado, si siano stabilite in una zona densamente abitata o un luogo improprio per sparare? Molto semplice, si torna alla falconeria. È un video epico, terribile e meraviglioso al tempo stesso. Il cui triste ma inevitabile epilogo, nonostante tutto, fa ben poco per ridurre il fascino della sequenza. Si tratta dello scontro tra un girfalco addomesticato (Falco rusticus) e l’oca in questione, a seguito di una decisione non pienamente condivisibile del proprietario del primo, che l’ha scagliato contro una preda dalla stazza certamente eccessivo, benché elencata tra le prede naturali del suo beniamino. Diciamo che nella maggior parte dei casi, questi uccelli vengono catturati tramite l’impiego di una ben più grande aquila. Ciò che risulta da una tale attività inusuale, è la chiara dimostrazione di come la naturale ostilità delle oche e dei falchi verso la nostra presenza sia largamente giustificata, almeno quanto quella che abbiamo noi per loro. La convivenza tra specie differenti può essere gradevole, dare notevoli soddisfazioni. Ma ciò richiede la permanenza determinate circostanze. E se le cose fossero andate diversamente, oggi sarebbero i volatili, ad aver addomesticato i cani.
VIAGGIO, CONQUISTA e SOPRAVVIVENZA. Problemi condivisibili, persino universali. Nella narrazione della vita dei singoli uccelli, possiamo impiegare gli stessi strumenti storiografici al servizio della vasta civiltà degli uomini, che di esse si nutrono da immemori generazioni. Sul gusto delle oche canadesi, esistono opinioni contrastanti: la rivista Atlantic ne descrive le carni come “Magre e deliziosi, simile a un taglio di bistecca prelibata.” Mentre l’Ente Ornitologico Statunitense è pronto a giurare che siano, probabilmente: “I meno commestibili tra gli uccelli.” Direi che a questo punto, ci resta un’unica cosa da fare. Provare.