L’eleganza del guerriero che permane in ogni luogo, persino tra le mura derelitte di un castello popolato dai non-morti, sopra i picchi più distanti della terra di Lordran. Era la giustapposizione a fondamento dell’intera atmosfera del gioco, questo improbabile contrasto tra il degrado delle anime perdute, dei loro luoghi e delle loro cose consumate dall’incedere del tempo, contro l’affascinante perfezione di certi personaggi, buoni o malevoli, in qualche modo lasciati integri dalla catastrofe narrata nell’introduzione. Dei, draghi, signori del Profondo che combattono tra loro, e poco dopo una simile catarsi il tipico inizio in medias res di questo genere di storie: tu nelle segrete, solo e disarmato sotto la botola distante, mentre una sagoma si staglia contro il cielo più che mai distante. Fieramente, per gettarti giù la chiave della cella. L’inizio di una fantastica avventura, oppure… Chi fosse effettivamente questo salvatore in abito d’acciaio, all’epoca dell’ormai storico Dark Souls del 2012, restò ignoto per parecchio tempo. Finché qualcuno molto tempo dopo, analizzando i file del gioco, non estrasse abusivamente un nome di lavoro: Oscar, cavaliere di Astora. Destinato purtroppo a soccombere fuori dall’inquadratura, nelle prime battute della fuga, combattendo contro il primo dei mostri di fine-livello, per poi cederti la chiave e la fiaschetta magica che ti avrebbe poi tenuto in vita. Ma soprattutto all’inizio non sapevamo, da principianti di un tale tour de force, che la sua essenza poteva essere salvata, in un certo senso. Perché in quel gioco, come in diversi altri giapponesi, vigeva la regola del “fare finta” – ovvero, senza un protagonista in alcun modo caratterizzato, il giocatore poteva proiettare se stesso al centro dell’azione, o se lo preferiva, uno qualsiasi dei diversi agenti di contorno. Incluso il primo degli NPC, successivamente alla sua morte; come? Ritrovandone l’armatura misteriosamente dislocata, nelle profondità del Bosco Nero, oltre la torre del possente Havel, correndo fra le schegge lanciate dei golem di ghiaccio. Per poi correre tra fuoco e fiamme, andando a salvare il mondo (di Lord Gwyn).
Così non c’è davvero un migliore soggetto, nell’opera di chi si veste per giocare a fare il personaggio dei VG, che assumere l’aspetto di un eroe possibile ma mai esistito, già nell’epica d’origine soltanto usato come impronta per lo stile di una sorta di cosplay. L’aspetto della cosiddetta “Armatura del cavaliere di elite” di Oscar era ispirato vagamente a quello di una tenuta in piastre e maglia di metallo per la mischia di un torneo medievale, con il blasone in bella vista, leggera e ben articolata. Ma l’elmo a visiera sempre rigorosamente chiuso, affinché il volto ignoto dell’eroe restasse valido alla proiezione di cui sopra. E il merito di una tale scelta dei designer originari, questo fabbro amatoriale che ha il suggestivo nome di nanonanonano, deve comprenderlo parecchio bene, visto come non si mostri mai dinnanzi all’obiettivo, identificando se stesso unicamente con la dicitura di: “Uno studente di liceo che fa cose.” Cose letteralmente mai viste prima. Nel corso di un video di una decina di minuta che riprende suggestivamente l’impostazione di alcune sequenze di gioco, con tanto d’interfaccia usata per mostrare gli strumenti in uso, costui costruisce l’abito a partire da una serie di oggetti d’uso comune. Inizia ribattendo a freddo un paio di ciotole per la cucina di metallo, ottenendo in qualche modo la forma tondeggiante di un perfetto casco bellico, per poi segare a partire da quello che lui chiama “un cilindro di metallo” (potrebbe trattarsi di un cestino azzurro per la spazzatura) un elemento piatto e curvo, quindi perforato e limato fino all’ottenimento del visore traforato. I due elementi sono dunque uniti e dipinti, nella foggia estremamente fedele dell’elmo desiderato. Da lì, le cose non possono che farsi ancora più interessanti.
A seguire viene dedicato un ampio spazio alle polsiere, ricavate dallo stesso materiale della visiera dell’elmo, ma ulteriormente impreziosite con delle strisce di metallo a rilievo e una finta rivettatura. Come meccanismo di chiusura, nanonanonano impiega una cerniera non dissimile da quella di una finestra, dal peso certamente non indifferente. Quindi si passa ai paramani, un altro capolavoro dell’ingegneria del fai da te: su dei comuni guanti da lavoro, il creativo incolla alcune sottili lastre di metallo sovrapposte, esteriormente indistinguibili dal soggetto di partenza. La lavorazione del corpetto blasonato, infine, è un vero capolavoro. Perché al contrario di quanto aveva fatto per i suoi costumi precedenti, largamente documentati presso il suo canale di nicovideo, qui l’autore non si accontenta di creare un’approssimazione soltanto visuale della maglia di ferro da indossare sotto le piastre ribattute, ma giunge all’estremo di procurarsi alcune grosse molle, poi tagliarle in un gran numero di anellini. Questi ultimi, quindi, vengono congiunti assieme, creando un qualcosa che se pure non avrebbe fermato un vero colpo di spada, in effetti poco ci manca. Ma tale meraviglia dovrà essere, ovviamente, almeno in parte coperta, dal gilè che vi indossava sopra il cavaliere ispiratore. Neanche in questo c’è risparmio di sapienza produttiva: un drago viene ritagliato e ricoperto di polvere dorata, quindi cucito direttamente sulla stoffa dell’indumento. Con tecniche probabilmente analoghe, prendono forma le molte altre decorazioni e ghirigori della casata di Astora. Per i gambali e le protezioni da spalla, purtroppo, ci viene mostrato solamente qualche flash e il risultato finale, pregevole e realistico quanto quello degli elementi già creati.
Nel glorioso finale, l’aspirante guerriero accenna le pose delle diverse emotes usate per comunicare con gli altri all’interno del videogame, mentre a lato compaiono le principali statistiche del suo lavoro: 8 mesi d’impegno per ben 20 Kg di peso, che costui dovrebbe stare trascinando faticosamente proprio in questi giorni di estate calda ed umida, per la semestrale grande fiera del Comiket di Tokyo. Un luogo caotico e spietato, dove stuoli di individui assatanati si combattono per ottenere i pochi esemplari di un particolare fumetto, una statuina, altri oggetti del potere o desiderio. Proprio come le pericolose lande ove si svolgeva la vicenda di Dark Souls, popolati dagli zombies di un’intera generazione. Ma per farsi guerrieri validi a una tale sfida, c’è una speranza alternativa? Una via d’accesso, per così dire, alla portata di chi non conosce il segreto arcano dell’opera dello stagnino? Eccome, se c’è…
Questo fenomenale cosplay è una delle creazioni dell’anno scorso di “Lightning” alias Laura Jansen, ragazza tedesca dalle doti costruttive veramente straordinarie, nonché una personalità di spicco di questo ambito artistico relativamente nuovo, soprattutto qui da noi in Occidente. Il soggetto della sua opera, in questo caso, era una delle armature indossate dalla classe del personaggio “barbaro/a” di Diablo III, combattente delle terre selvagge armato di due spade, asce o grosse mazze contundenti. L’approccio, in questo caso, è totalmente diverso da quello dell’armiere giapponese, benché il fatto stesso che si tratti di un video altrettanto dettagliato e specifico sui metodi di costruzione del costume tenda, in qualche maniera, ad accomunare le due sequenze. La maggior parte dei cosplayer di spicco del resto sa molto bene come, diffondendo i propri segreti, possa correre il rischio di trovarsi alla prossima convention tra dei cloni dei suoi trascorsi successi. E anche se l’imitazione è il miglior complimento, in tali campi del gusto personale applicato all’industria del divertimento, conta soprattutto l’originalità.
Ma considerate questo: quante persone mai potrebbero, anche disponendo degli stessi materiali, replicare la qualità di un simile costume? Lightning ne realizza la parte principale impiegando un particolare materiale, che potrebbe essere styrene o wonderflex, venduto in modo specifico per la realizzazione di sculture o elementi decorativi fatti in casa. La plastica in questione, riscaldata con delle pistole a caldo, diventa malleabile, e può essere modellata sulla base del bisogno. Si tratta di un’alternativa più moderna alla vecchia cartapesta, ma molto più solida, per lo meno una volta che si è indurita, e in grado di resistere a più di un’uscita tra le maschere di una qualsivoglia convention, per quanto belligerante o affollata.
È interessante notare come lo stesso meccanismo creativo, così basato su dei materiali e metodi costruttivi che non potrebbero mai offrire alcun proposito di protezione, si adatti perfettamente al character design del personaggio di partenza, tipica espressione della fantasy ludica di stampo statunitense: spalline gigantesche, punte ovunque, molta pelle scoperta e vulnerabile all’attacco del nemico, mirabolanti volti demoniaci ovunque permanesse lo spazio per posizionarli. È un approccio che nasce dall’epoca delle illustrazioni su carta per i giochi di ruolo come D&D, ma che trovò il suo massimo sviluppo nel campo delle miniature per i giochi di guerra della serie Warhammer, dove era importante che le figurine tridimensionali risultassero immediatamente riconoscibili anche se viste da sopra e da lontano. Una condizione che si ritrova, niente affatto casualmente, anche nel gioco di action-rpg ispiratore del costume qui mostrato, quel Diablo dello sviluppatore Blizzard, ormai diventato quasi un sinonimo di questo stile esagerato e certamente accattivante, proprio nel suo essere un po’ kitsch. In particolare, questa autrice non manca mai di partecipare all’annuale Blizzcon, e di recente a molti degli eventi in cui vengono presentati i loro giochi, dove riceve spesso premi per i suoi lavori. Ma che differenza, con il gelido realismo del cavaliere di Astora!
L’arte di vestirsi o truccarsi alla maniera dei personaggi di fantasia, come quelli dei videogiochi o dei fumetti, può essere utile ad identificare la direzione verso cui si sta spostando una cultura sempre più omni-comprensiva. Basta osservare come i migliori di questo campo sempre più emergente del cosplay, dal Giappone all’Europa, scelgano di apprendere delle complesse tecniche derivanti dal mondo del teatro, o addirittura della metallurgia popolare, per comprendere come la cosiddetta “arte del perdere tempo” sia in realtà una via d’accesso a innumerevoli propositi di crescita, anche professionale. Chi disegna, chi scolpisce, chi fa musica tra un libro e l’altro. La creatività chiama se stessa e difficilmente, coloro che scelgono di vivere nel solo mondo materiale, poi acquisiscono le vere doti di un artista. Ed è proprio nell’attuale difficile situazione economica, che la cultura potrebbe ritornare a contare qualcosa…