Nel mare a largo della grande città sudcoreana di Busan (oltre tre milioni di abitanti) c’è un arcipelago di isole, tra cui la più grande ha nome di Geoje. Disseminato lungo gli spazi affioranti a disposizione, in una serie di insediamenti relativamente indipendenti, si sviluppa l’omonimo centro abitato, ricco di attrattive turistiche e beni storici attentamente preservati, tra cui diverse fortezze delle vecchie dinastie Silla e Joseon. Nonostante questo, nella mente di chi ha conosciuto tali luoghi, niente li caratterizza maggiormente che una singola ed enorme impresa dell’industria moderna: la costruzione di natanti. Perché qui hanno sede le Samsung Heavy Industries, di proprietà del più grande conglomerato coreano, che noi conosciamo pressoché soltanto per l’elettronica di consumo, ma il quale ha in realtà il potere economico, e la capacità produttiva, di una piccola nazione. Doti certamente necessarie, all’apparenza, per l’impresa di creare una spropositata città galleggiante, su progetto della multinazionale olandese Shell, ma con rilevanti partecipazioni dei gruppi INPEX, (17,5%) CPC (5%) e KOGAS (10%). Il suo nome è FLNG Prelude, e dall’ormai distante 2012 in cui ha preso il via la sua effettiva messa in opera, sta sfidando l’immaginazione. Con una lunghezza di 488 metri, supera di molto quella delle portaerei statunitensi di classe Nimitz (331) e addirittura si estende oltre l’altezza degli iconici grattacieli gemelli delle Petronas Towers di Kuala Lumpur (451). Il suo peso a pieno carico inoltre potrà raggiungere le 600.000 tonnellate, circa sei volte quello della portaerei. Questo perché sopra il suo scafo a doppio compartimento, largo 74 metri, troveranno collocazione l’intera serie di macchinari di un impianto per la liquefazione dei gas naturali, utile a comprimerne l’ingombro per il trasporto su scala globale. Un tipo di struttura che normalmente comporta un impatto ambientale assolutamente impossibile da trascurare, mentre questa soluzione offre flessibilità, riduce le possibili tensioni socio-politiche, permette il reimpiego dei macchinari a seguito dell’esaurirsi di un particolare giacimento. Ma soprattutto, è perfetta per essere spostata in quei luoghi ricchi di risorse chimiche a largo delle terre emerse, che ci sono noti ormai da tempo, ma i quali risultavano troppo lontani e quindi impossibili da sfruttare con i metodi convenzionali. In questo, la nave in questione costituisce l’espressione chiara e lampante dell’imminente esaurimento di tutto ciò che abbiamo sfruttato fino ad ora, con l’industria di settore che deve ricorrere a nuovi metodi per irrorare il mercato. È dunque pur sempre possibile che si palesi, nel corso delle prossime generazioni, il classico quanto temuto scenario che vede l’immediata cessazione dell’attuale stato di grazia, in cui tutti si spostano con mezzi di trasporto personali, le città possono permettersi d’illuminarsi per tutta la notte. Ma non tanto presto, non prima dell’esaurimento delle riserve nascoste sotto al bacino di Browse, a 200 Km dalla costa dell’Australia. In tale luogo dovrà essere posizionato, infatti, questo impressionante gigante dei mari, a partire dal giorno del suo imminente completamento, per andare a risucchiarne il prezioso contenuto per un tempo stimato di 20-25 anni.
Il come si recherà e sposterà lì, è una storia di per se piuttosto interessante: perché la Prelude, allo stato tecnologico attuale, ha una massa talmente significativa che lo sviluppo di un metodo per farla spostare sulle proprie forze non sarebbe stato economicamente vantaggioso, soprattutto considerato come nella realtà non dovrà muoversi a distanza di parecchio tempo. Per questo, i suoi tre motori direzionabili da 6.700 cavalli ciascuno saranno assistiti nella navigazione da una serie di rimorchiatori, la cui quantità e tipologia non è stata ancora rivelata. Una volta raggiunta la posizione, la nave impiegherà quindi il suo particolare sistema di ancoraggio a torretta, costruito nei cantieri di Dubai, dotato di una vera e propria ragnatela di cavi e catene, ciascuno con un’ancora a suzione all’estremità, in grado di aggrapparsi saldamente al fondale. Il colossale dispositivo, alto quanto la Statua della Libertà, troverà collocazione in corrispondenza dello spazio vuoto di forma circolare sito alla prua della nave, chiamato in gergo moon pool: il pozzo della luna. Proprio da questo punto, il più stabile dell’intera struttura galleggiante, si estenderà la trivella principale usata per raggiungere il giacimento sommerso. Ed è stato stimato che neanche un ciclone di classe 5 possa essere in grado di mandare la Prelude alla deriva, benché al suo eventuale sopraggiungere (tutt’altro che inaspettato a quella latitudine) il personale di bordo dovrà essere evacuato grazie all’impiego di un particolare squadrone di elicotteri ad alte prestazioni della Shell, già in servizio per una buona parte dell’industria petrolifera d’Oceania. Anche a questo, l’efficiente reparto marketing della compagnia ha dedicato un esauriente video di presentazione. Ma restano maggiormente impressionanti le scene in cui ci viene data l’occasione di renderci conto delle proporzioni assolutamente massive di una simile struttura:
Almeno sette potenti pilotine, di quelle che da sole abilitano l’approdo di una comunque gigantesca nave da trasporto, che si affollano operose attorno allo scafo titanico della Prelude. Una scena risalente al momento fatidico in cui, assemblati i diversi componenti di quest’ultimo, si raggiungeva finalmente uno stato di sicuro galleggiamento, e l’intero mostro marino veniva lanciato dal bacino di carenaggio di Geoje verso il molo di approdo antistante, dove ancora si trova assicurato con oltre 20 cavi d’approdo rinforzati. Da allora, per ogni giorno che trascorre, vi lavorano una media di almeno 5.000 persone, e questo senza contare i molti cantieri siti in giro per il mondo da cui provengono i diversi moduli in corso d’installazione. Alcuni vengono mostrati orgogliosamente dai rispettivi responsabili nel video d’apertura: uno dei giganteschi serbatoi (ce ne saranno 6) destinato al contenimento del gas liquefatto. La foresta di MLA (Marine Loading Arms) che si occuperanno di trasferire detto fluido alle navi più piccole, incaricate di portarlo fino a destinazione. E naturalmente viene dato un certo spazio nell’esposizione anche ai 450 Km di cavi e i circa 3.000 collegamenti tra tubi necessari a far funzionare correttamente l’intero impianto, in realtà molto più compresso, e sofisticato, della sua versione equivalente on-shore. Un costoso investimento dunque, nel complesso più che giustificato dai guadagni stimati successivi: si ritiene che la Prelude riuscirà ad estrarre all’incirca 5,3 milioni di tonnellate annue di carburante, tra gas naturale liquefatto, propano e petrolio, con un costo operativo di 3 miliardi e mezzo di dollari per ciascun milione di tonnellate prodotto. A cui vanno aggiunti i 10-12 miliardi necessari per la sua costruzione. Non è difficile quindi, per inferenza, immaginare il potenziale dei guadagni.
Succederà molto presto, quindi. Che l’inconcepibile città galleggiante, vasta quasi quanto un’isola, raggiunga il punto deputato, immergendo la sua testa di trivellazione come la proboscide di una zanzara. La lunga asta, incapsulata in un tubo metallico per evitare che gli strati soffici del fondale possano franare nel buco, continuerà a spingere e penetrare, mentre un getto continuo di fango dalla composizione argillosa la seguirà là sotto, contribuendo con la sua pressione a far risalire nell’intercapedine le rocce ed il terreno frantumato. Si aggiungerà quindi una colata di cemento, per solidificare la realizzazione. E poi giù di nuovo, sempre più in profondità. Finché ad un certo punto, eureka! Ecco il gas. Sui confini della sacca del materiale ad alto potenziale energetico tanto duramente ricercata, la testa rotante dovrà temporaneamente fermarsi, mentre squadre altamente qualificate si occuperanno d’installare una valvola di sicurezza (blowup preventor) sul fondale marino, onde evitare anti-economiche quanto disastrose fughe di sostanze altamente inquinanti. A tal punto, risalendo grazie alla pressione del fango la lunga quanto estesa colonna cava fino alla nave, il gas verrà immesso negli impianti di raffreddamento in grado di depurarlo e portarlo a -162 gradi celsius, in vista del successivo immagazzinamento.
I mercati principali verso cui verrà inviata tale preziosa fonte di elettricità e movimento motorizzato (praticamente pronta all’uso) saranno, allo stato attuale delle cose, soprattutto i paesi nascenti del gruppo asiatico. Ma 25 anni sono lunghi e chissà cosa potrà riservarci il domani. L’importanza strategica di una, o più, di queste gigantesche navi dislocate in prossimità degli ultimi giacimenti raggiungibili da trivelle umane potrebbe diventare, nel giro di un paio di generazioni, l’ultimo puntello a disposizione per nostra ormai instabile globalizzazione tecnologica, e di conseguenza, dell’intera società civile moderna. Sotto l’assoluto controllo di appena cinque o sei compagnie private…