Qui nella compagnia produttrice di alcuni dei più diffusi robot industriali per catene di montaggio, ci ripetiamo spesso lo slogan “Più umano dell’umano” e chi potesse essere tentato di attribuire tale abitudine a una visione di troppo del film Blade Runner, o alla scelta particolarmente azzeccata del suo romanzo di origine da discutere dell’ora culturale in sala mensa, purtroppo in tale somma istituzione non ci ha mai mangiato. Così per esclamare “Make me a sandwich, Mememaru” all’accendersi del corpo soprastante: occhi in gradi di focalizzarsi su uno spazio di pochi decimi di centimetro, servomeccanismi agili senza l’impiego di un singolo mitocondrio. Un cuore gelido quanto le fiamme del vulcano plutoniano, astronavi in fiamme sui bastioni della luna Tethis… E tutto questo, nonostante tutto, impiegato quietamente per servire il pranzo giorno dopo giorno, dopo un anno o due dall’emersione delle lacrime piovose. Di un sistema, nuovo. Con strumentazione ed articolazione, superiore. Non un solo braccio definisce infatti un tale chef delle molteplici occasioni, come avveniva per i precedenti schiavi controllati da noi soliti meatbags ma ben due, in un’espressione di bilaterale compiacenza che è alla base di un’alchemica trasformazione. Dal più assoluto nulla: il panino all’uovo. Davvero, viviamo nell’epoca di un secondo Rinascimento alimentare!
Le precise circostanze di una simile visione degna di uno scrittore retro-futurista degli anni ’60-70 non sono, a dire il vero, estremamente chiare: ben conosciamo il modello del robot in questione, un CSDA10F MOTOMAN della Yaskawa Electric, multinazionale giapponese da oltre 10.000 dipendenti, con sede a Kitakyushu, nella prefettura di Fukuoka. E ci è nota la ragione sociale di coloro che si sono applicati nella specifica programmazione di un simile susseguirsi di prosaiche ma complesse movenze culinarie: trattasi della compagnia partner RS TECH, LLC, con sede negli Stati Uniti. Mentre ci è difficile risalire alle precise circostanze di una simile dimostrazione, che dal silenzio e il telo nero sul fondale non parrebbe effettuata nel contesto della solita fiera di settore, assomigliando piuttosto al tipo di video che viene in genere girato per YouTube da tutti quelli che ricevono per posta un nuovo giocattolo tecnologico, tremendamente ansiosi di mostrarlo al mondo. Ma le apparenze possono trarre in inganno. Qui la vera star della situazione non è tanto il versatile dispositivo con 7 assi di movimento x2, più l’elevazione del corpo centrale, comunque in grado di ispirare un senso di assoluta meraviglia, quanto il magistrale lavoro effettuato nella fase di programmazione, che permette all’intera sequenza d’ispirare un senso d’immediata insicurezza a tutti quei giovani che, forti delle lauree faticosamente guadagnate nelle discipline più diverse, di questi tempi pieni d’ottimismo speravano in una brillante carriera nella preparazione di pietanze a basso costo. Non più, non oggi, di sicuro non dopodomani: va detto, ancora il processo potrebbe trovare qualche margine di perfezionamento. È indubbio come ad un preparatore umano, che dovesse impiegare ben quattro minuti per preparare il semplicissimo panino oggetto della messa-in-scena, si ricorderebbe con cupezza l’imminente scadere del suo contratto a termine. Ma come era solito dire Henry Ford delle automobili, con il suo consueto brutalismo sociologico: “Se avessi ascoltato i miei clienti, gli avrei fornito solamente degli equini più veloci.” E già sembra quasi di sentirli, tutti quei cavalli, l’incedere maestoso del progresso, hamburger cucinati subito dietro l’ippodromo, con robotica efficienza, per l’insensibile sollazzo dei posteri affamati. Un domani, killer-bot ribelli svilupperanno l’intelligenza artificiale ribaltando clamorosamente l’equilibrio dei poteri? Può essere, chi lo sa davvero… Ma assai più probabilmente, ben prima di questo, le macchine giungeranno a dominarci con la loro onnipresenza. In un certo senso, è già avvenuto. Quale mai sarebbe la produzione industriale dell’impressionante moderno consorzio umano, senza corrente elettrica, computer, tutti gli altri frutti dell’ingegneria applicata. Siamo quello che mangiamo, però anche ciò che ci permette di spingerci innanzi verso le regioni del domani; prolungando in certi speciali casi, addirittura la durata della nostra vita…
Uno squillo tenue, eppure roboante nelle implicazioni. Che risuona per il corridodio del Florida Hospital Celebration Health in Kissimmee, dalla tasca di quell’uomo che rende possibile il cosiddetto miracolo, ogni volta che si approccia al tavolo del suo sublimo per gli organismi che sviluppano il pensiero. Possiamo davvero biasimarlo se si sente Dio, quando è proprio il senso comune che attribuisce senza falla a un tale Ente i suoi successi quotidiani? Tutto è pronto. Tempo, dunque, di operare. Eppure, costui non si dirige subito al suo briefing, indossando i guanti e la cuffia simbolo del suo mestiere. Ma piuttosto si rinchiude, assieme ad alcuni dei suoi insigni colleghi, in una sala segreta dell’istituzione sanitaria, posta ben lontana dall’occhio insistente dei visitatori. In un angolo di questa, dinnanzi ad un divano consumato, campeggia un vecchio televisore a tubo catodico, con collegata una console per videogiochi. Si tratta, neanche a dirlo, di un Gamecube, all’interno del quale risiede, ormai da anni, un disco con l’immagine di una banana: è Super Monkey Ball. O almeno così venne dichiarato nel 2013 all’Orlando Sentinel, in una delle più bizzarre interviste nella storia della medicina, dal Dr. James Rosser, accreditato laparoscopista che prima di ogni performance, generalmente, effettua assieme alla sua equipe una sessione di 7-8 minuti di quella vecchia gloria arcade, consistente nel far scivolare una scimmietta chiusa dentro ad una sfera trasparente fino alla distante linea del traguardo. In un percorso che noi avremmo concepito unicamente come pista a ostacoli per biglie, ma che nella mente del guaritore diventava arterie, nervi, organi da proteggere sapientemente con la sua delicatezza e precisione. Potreste a questo punto chiedervi, PERCHÈ un uomo che ha bisogno di manualità diretta dovrebbe mai esercitarsi nel manovrare un mero joystick analogico da una manciata di pulsanti? Semplicissimo: perché lui salva vite, usando un mero joystick analogico da una manciata di pulsanti.
Ah, Da Vinci! Senza ombra di dubbio, l’italiano più famoso della storia. Scienziato prima della scienza, filosofo, inventore, studioso dell’anatomia umana ed artista esperto nell’impiego di strumenti di ogni tipo. Ed oggi, anche colui che dona il nome ad uno degli strumenti medici più avanzati in assoluto, questo sistema teleguidato che permette di interagire con l’interno del corpo umano, senza aprirlo in alcun modo. Da tre fori effettuati nella pelle, oltre la membrana cellulare protettiva, gli strumenti penetrano fino alle radici dell’ernia, all’escrescenza tumorale, all’enfietà maligna da recidere e gettare via. Approfonditi studi di settore, naturalmente finanziati dalla stessa compagnia produttrice di quello che viene definito comunemente un robot (benché non abbia nessun grado di autonomia) hanno dimostrato il minor numero di complicazioni per l’oltre un milione e mezzo di interventi ad oggi effettuati con questo sistema, oltre a dei tempi di recupero sensibilmente abbreviati. Un chirurgo che operi in laparoscopia con metodi tradizionali, infatti, deve alternarsi a guardare ciò che sta facendo e il monitor con il feed della telecamera all’interno del paziente, aumentando sensibilmente le possibilità di distrazione. Inoltre, gli strumenti impugnati a mano per questo tipo di interventi sono diritti come un fuso e richiedono dunque incisioni piuttosto significative per raggiungere la parte malata. Mentre il macchinario Da Vinci, dotato di fino a quattro braccia comandate a distanza, può contare per ciascuna di esse sull’impiego di un vero e proprio “polso” in grado di raggiungere un arco di 360° attorno al punto raggiunto dall’asticella principale. Permettendo, almeno in linea di principio, l’ottima riuscita di qualsivoglia complesso intervento.
Incluso questo, terribilmente delicato, della ricucitura del chicco d’uva! Di certo, l’impiego di un macchinario da due milioni di dollari per rimettere assieme il semplice frutto della vite potrebbe sembrare un passatempo lievemente irrispettoso… Ma guarda: se il dottore riesce a fare qualcosa di tanto arduo all’apparenza, senza neanche detergere il sudore dalla propria fronte, pensi davvero che potrebbe trovarsi in difficoltà tra le ben più grossolane parti del tuo organismo di mammifero dalla massa rilevante? Ci vuole sempre un equilibrio, tra la serietà del proprio compito e l’ubriacatura di un minuto o due di svago. Ricucire un panino o prepararsi un bicchierino, tra un salto scimmiesco e l’altro. Rubare per crescere, donando molto in cambio. Altrimenti che differenza rimarrebbe, tra noi e tutti questi splendidi robot…