Il carro armato che può spegnere gli incendi

Big Wind Tank

C’erano teorie, all’epoca, sul fatto che sarebbe stata la catastrofe ecologica più grave nella storia del nostro pianeta. 17 Gennaio del 1991, l’inferno sulla Terra: le forze armate della coalizione internazionale formata per insabbiare i sogni espansionisti di Saddam Hussein inizia l’attacco aereo sistematico dei bersagli strategici in Iraq e Kuwait, tra cui artiglieria, infrastrutture di comunicazione e fabbriche di armi. Verranno effettuate, nel corso dell’intera operazione Desert Storm, oltre 100.000 sortite, scaricando un totale di 88.500 tonnellate di bombe, con danni non indifferenti ai centri urbani e la popolazione locale; ma ciò non fu quasi nulla, in confronto alla risposta dell’esercito nemico. Rendendosi subito conto come mantenere lo schieramento su di un fronte così ampio fosse letteralmente impossibile, prima di ritirarsi i comandanti iracheni ordinano l’esecuzione di un piano di rappresaglia del tutto senza precedenti: far saltare in aria, con delle cariche posizionate ad-hoc, una percentuale significativa dei pozzi petroliferi del Kuwait. Tra i 605 ed i 732 impianti di trivellazione vengono immediatamente scoperchiati, dando luogo ad una nebulizzazione fosca e velenosa. Le colonne di fumo convergono naturalmente in una sola grande cappa, che giunge ad assorbire il 75-80% delle radiazioni del Sole. Il petrolio di ciascun pozzo, senza macchinari che ne dosino l’enorme pressione, fuoriesce con una potenza tale che non ha nemmeno il tempo di bruciare completamente. Così, attorno a ciascun luogo del disastro si formano dei veri e propri laghi incandescenti, che filtrando gradualmente tra le sabbie, vedono la trasformazione spontanea di 40 milioni di tonnellate di suolo in un’ibrido fra catrame e cemento, denominato tarcrete. Lo scienziato Paul Crutzen, con uno studio pubblicato sulla rivista Nature, dichiarò che ci trovassimo sulle soglia di un vero e proprio inverno nucleare, che avrebbe portato all’abbassamento repentino della temperatura del pianeta di 5-10 gradi, con conseguenze ecologiche del tutto deleterie. Il celebre divulgatore televisivo Carl Sagan paragona l’evento all’esplosione del vulcano Tambora del 1815, che secondo le cronache coéve privò il mondo dell’estate immediatamente successiva; ma in effetti nessuno, davvero, sapeva.
L’intervento è pressoché immediato: assieme alle truppe di terra, che iniziano la contro-invasione del Kuwait il 24 Febbraio di quell’anno, vengono spediti sul luogo i tecnici di 27 compagnie specializzate nel controllo degli incendi petroliferi, tra cui le statunitensi Red Adair, la Wild Well Control e i Boots and Coots, che cooperando con le maestranze di quei luoghi avrebbero fatto il possibile per contenere la devastazione. Anche gli interessi economici, inutile dirlo, erano preponderanti. Come ben sapevano i vertici dell’Iraq Ba’athista, le preziose risorse chimiche da loro incendiate avrebbero continuato ad ardere per un tempo variabile tra i 2 ed i 5 anni, mettendo in ginocchio non soltanto l’economia del proprio vicino geografico, ma anche quella di una buona parte dei paesi occidentali. Per queste ed altre ragioni, la battaglia fu pregna e ardente nelle retrovie, almeno quanto apparve a noi quella narrata dai telegiornali, con i continui aggiornamenti e i feed video provenienti dalle telecamera dei veicoli da guerra, in un nuovo stile dell’informazione che a posteriori sarebbe stato definito della “guerra videogioco”. Prima ed ultima? Chissà. Ma è innegabile il fatto che un veicolo come l’ungherese Big Wind, colloquialmente noto come Windy (il Ventoso) paia uscire direttamente da un RTS strategico dei primi anni 2000. È anzi probabilmente l’ispirazione diretta per l’estetica dei tank incendiari della serie Command & Conquer, benché presenti una significativa differenza: piuttosto che incoraggiare le fiamme, le combatte alacremente, in un’inversione di quello che era stato il paradosso del romanzo Fahrenheit 451 (1953) di Ray Bradbury, sempre attuale grido di allarme contro i mali del progresso disumanizzante. Si trattava, essenzialmente, della riconversione di un carro armato russo T-34 della seconda guerra mondiale, temutissimo dalla Wehrmacht hitleriana per lo spessore della sua corazza, con la torretta sostituita da una piattaforma speciale, progettata e costruita presso i laboratori della MB Drilling, divisione del gruppo MB dell’Oman. Sopra di essa campeggiavano, oltre a sei pompe ad alto potenziale, due turbine per aerei MiG a reazione, in grado di sviluppare una spinta equivalente a quella di un soffio dei Titani. L’effetto sul fuoco non è difficile da immaginare, nevvero?

L’impegno collettivo per lo spegnimento degli incendi in Kuwait portò a uno sforzo ingegneristico assolutamente degno di nota. In poche settimane, nelle sabbie del deserto furono scavati degli enormi serbatoi, le cui pareti ricoperte di plastica potevano ospitare enormi quantità d’acqua. Gli oleodotti, costruiti in precedenza per trasportare il petrolio fino agli stabilimenti del Golfo Persiano, vennero riparati e il loro flusso invertito, affinché l’acqua del mare potesse trovare applicazione, anch’essa, nella guerra parallela contro il fuoco. Avvicinarsi a uno dei pozzi in fiamme, tuttavia, non era certamente semplice. Oltre al problema delle altissime temperature, infatti, ne permaneva un altro decisamente più sinistro: i campi minati disposti dalle truppe irachene prima del ritiro, con lo scopo specifico di rendere rischiosa qualsivoglia operazione di recupero. Fu quindi preferito, fin dall’inizio dell’operazione, l’intervento di piccole squadre armate di tecnologia o metodi sperimentali, piuttosto che l’intero gruppo di una squadra d’intervento, soggetto a rischi molto superiori. In questo, gli ungheresi della MB furono maestri incontrastati: tramite l’impiego del Big Wind, un pozzo poteva essere spento da un totale di tre soli uomini.

Big Wind Tank 3
Questo segmento del canale Discovery Ungheria, tratto dal programma Attraktor, mostra per esteso il funzionamento del secondo prototipo Big Wind. Successivamente all’impiego nel Golfo, il veicolo fu ricostruito a partire da un più moderno carro armato T-55, tra i più affidabili e diffusi della storia.

I cui nomi sono citati da un interessante articolo dell’epoca della rivista Car and Driver, tutt’ora disponibile sul web. Si trattava: Tamas Debreczeni, pilota, Istvan Seres l’addetto alla piattaforma anti-incendio e Nandor Somlai, capo e supervisore delle operazioni. Con un’età media di 50 anni, questi tecnici da soli riuscirono a spegnere 9 pozzi petroliferi in 43 giorni, superando il risultato ottenuto da squadre ben più numerose ed attrezzate. La loro metodologia viene mostrata, assieme a quelle applicate dai colleghi, nel premiato documentario del 1992 Fires of Kuwait, che racconta questo capitolo relativamente meno noto della principale guerra della nostra epoca contemporanea. Molte sequenze dell’opera, al momento in cui scrivo, sono reperibili tra vari canali di YouTube. Ed è tremendamente affascinante, osservare gli approcci differenti impiegati dalle varie compagnie coinvolte, tra cui quello più diffuso pare essere l’impiego di esplosivi: una generosa dose di C4, piazzata presso una di queste bocche infernali, poteva infatti privare d’aria il fuoco per qualche fatale momento, sufficiente affinché il fuoco si spegnesse. Seguiva quindi la complessa e laboriosa opera di riposizionamento delle attrezzature di trivellazione, sotto una pioggia cupa e pericolosamente pronta ad incendiarsi nuovamente. Tuttavia, nelle parole dello stesso Somlai, interrogato in merito a quale fosse il metodo migliore tra i due: “Chi mai vorrebbe camminare fino ad una fiamma da 2000 gradi di temperatura, attraverso il calore ed il petrolio, trasportando con se un carico di esplosivi ad alto potenziale?” Ed era proprio questa la ragione d’esistenza del Big Wind, creato come evoluzione ulteriore di alcuni esperimenti sovietici effettuati sul finire della seconda guerra mondiale, che consistevano nell’impiego di un camion fornito di singola turbina per spegnere gli incendi chimici, con risultati alquanto interessanti. Ma dove uno funziona “abbastanza”, invece due…

Big Wind Tank 2
Nonostante i successi ottenuti, il carro armato spara-acqua non venne mai costruito in serie. Con i suoi 3 milioni di dollari per unità, era troppo costoso rispetto ai vantaggi concessi nel corso di un utilizzo convenzionale.

Le prestazioni di questo incredibile veicolo possono lasciare in un primo momento interdetti: con un peso di oltre 40 tonnellate, il carro armato poteva muoversi alla velocità di appena 3 miglia orarie, onde evitare danni alla complessa piattaforma superiore. Tutte le marce superiore alla prima erano letteralmente inutilizzabili. Inoltre i due motori d’aereo potevano operare solamente ad una frazione della loro potenza complessiva, pena l’immediato surriscaldamento in mancanza dell’aria rarefatta d’alta quota, per non parlare delle difficili condizioni d’utilizzo presso i pozzi del Kuwait. Nonostante questo, a pieno regime, l’intero apparato poteva espellere fino a 800 litri d’acqua al secondo, prelevata tramite l’impiego di un tubo proveniente da un vicino serbatoio con una pompa da 1381 cavalli. Liquido che, sottoposto alla spinta impressionante di 12 tonnellate, veniva praticamente atomizzato, poi direzionato contro la base delle fiamme, prestando attenzione a non arrecare ulteriori danni alle strutture dell’impianto di trivellazione. I due operatori sul veicolo, Debreczeni e Seres, erano protetti da uno speciale scudo anti-calore e tute tanto spesse che, in effetti, non potevano vedere cosa stessero facendo. Per questo Somlai, posizionato a distanza di sicurezza, usava uno speciale telecomando per fornirgli istruzioni sul pannello di controllo del veicolo, che poteva mostrare un ampio ventaglio di segnali operativi. Viene da chiedersi se, con la tecnologia di oggi, un mezzo come questo possa in teoria essere reso completamente automatico, eliminando del tutto il rischio per gli umani. Dopo tutto, sarebbe meglio non scoprirlo mai.
Qualsiasi arma o implemento bellico, almeno in linea di principio, è una mera applicazione di soluzioni tecnologiche, né buone né cattive per definizione. Non è del tutto sbagliato dire, come si ama fare in certi circoli statunitensi che: “Le pistole non uccidono le persone. Sono i malviventi a farlo.” Un mezzo efficace come il Big Wind, inerentemente concepito in risposta a una grave situazione d’emergenza, non sarebbe stato possibile senza il complesso apparato di conoscenze, competenze tecniche ed approcci ingegneristici delle infinite guerre precedenti. Certo, senza un simile passato, assai probabilmente non sarebbe neanche mai servito. Ma non si può cambiare la natura umana…

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