In mezzo alla foresta pluviale che costituisce una parte significativa dello stato australiano del Queensland, si aggira un uomo in calzoncini che di questo luogo ha fatto il suo cortile. Il suo nome è…Primitive Technology…Beh, per lo meno quello che dichiara al mondo tramite l’omonimo canale di YouTube. Del resto, come si chiama non è (davvero) importante, almeno non quanto ciò che riesce a dimostrare: che persino un appartenente alla società moderna, un prodotto di tre millenni di civiltà, può ancora ritrovarsi, per puro caso o un hobby stravagante, in mezzo all’assoluto nulla, solitario, privo di risorse e/o di strumenti. Riuscendo, nonostante tutto, a realizzare un qualche cosa che va molto oltre la pura e semplice sopravvivenza. È una casa vera questa, non un semplice rifugio. Grossomodo cubica, larga due metri, con tetto spiovente per proteggersi dagli elementi, mura spesse ed isolanti fino a un metro d’altezza, un letto sollevato da terra, uno spazio per accendere il fuoco e, nelle battute finali del processo progressivo di miglioramento, addirittura un ottimo camino, che permette di chiudere completamente un lato della costruzione, dando adito ad un lato riscaldato in modo più efficiente. Non riesce così difficile immaginare uno scenario in cui una simile abitazione o la sua versione più grande, nel corso del tardo Paleolitico superiore (circa 10.000 anni fa) si rivelasse un bene prezioso per un’intera famiglia dei nuovi popoli stanziali, i primi che iniziavano a dimostrare il vero potere della mente sopra la natura. In via di trasformazione quest’ultima, da risorsa nebulosa e sfruttabile soltanto attraverso la caccia e la raccolta, a un vero spazio in cui la tecnica può dare un senso al legno, la pietra e l’argilla, gli amici di chi ha il metodo e lo studio per apprenderne i segreti. Ma soprattutto importante, a quell’epoca, non era tanto il semplice possesso: ancor più che adesso, nulla durava per un tempo lungo, ed ogni cosa andava sottoposta a continui interventi di manutenzione, portando in primo piano i meriti di chi sapeva far le cose, come costui.
Il video inizia in modo semplice, con l’ingegnere che ci mostra la sua ultima creazione: una rozza ascia litica, creata a partire da una pietra oblunga di quello che dovrebbe essere basalto, piuttosto che l’ideale selce, probabilmente non disponibile in quel singolo contesto. Viene mimato quindi il gesto di modellazione, tramite un sassetto che lui impiega per colpirla in prossimità del bordo, per accentuare un filo tagliente che nei fatti è già perfettamente pronto all’uso. Del resto, la sequenza ha lo scopo di contestualizzare ciò che viene dopo, ovvero l’abbattimento e il disfacimento di alcuni piccoli alberi, attraverso colpi ben vibrati del pesante arnese. E benché sia chiaro come l’efficienza del processo si configuri in modo tutt’altro che ideale, nel giro di un tempo imprecisato gli riesce di crearsi una catasta di legna lunga e flessibile, cui abbina alcune radici e liane raccolte in giro, perfetti ausili alla costituzione di legame tra le parti. Perché P.T, nei fatti, sta per impiegare la tecnica relativamente sofisticata del torchis, il primo sistema strutturale nella storia dell’uomo. L’abbinamento di uno scheletro in legno intrecciato o fibre vegetali a una copertura plastica, come l’argilla. Sostanza, quest’ultima, che in apparenza abbonda in questi luoghi, al punto che nelle battute successive la userà anche per costruire l’intera serie delle ciotole e i bicchieri, perfetto corredo di qualsiasi ottima bicocca. Ma non prima di occuparsi della cosa più importante, il tetto. Quella cosa che, per ottime ragioni, viene spesso usata in senso allusivo per riferirsi ad un’intera abitazione, ad ulteriore riconferma della sua importanza al culmine di qualsiasi processo che possa davvero dirsi, per l’appunto, archi-tettonico. Qui lui compie un significativo errore, largamente trattato nella descrizione scientifica a margine di questo interessante esperimento archeologico. Si tratta della scelta di una soluzione d’impermeabilizzazione basata sull’impiego di una serie di grandi foglie, infilate una per una lungo l’asse di alcuni lunghi bastoni, poi sovrapposti l’uno sopra l’altro, a mo’ di tegole. Nell’ottenimento di un prodotto esteticamente affascinante ed, almeno nei primi tempi, anche funzionale, se non che dopo alcune piogge, forse prevedibilmente, detta materia vegetale ha iniziato a marcire. Così lui, al ritorno sul luogo dell’operazione (nonostante le apparenze, dubito che ci abbia trascorso più di qualche notte) ha dovuto smontare il tutto e ricoprire nuovamente la casa, questa volta, grazie all’impiego della sottile corteccia degli alberi di Melaleuca, le myrtacee d’Oceania a volte dette paperbark. La cui scorza sottile e flessibile, nei fatti, si sta dimostrando molto più valida nel resistere all’insistenza delle precipitazioni locali. Quindi, affinché si possa definire veramente una casa, P.T. si preoccupa di fornire alle sue quattro mura un altro servizio assolutamente irrinunciabile, ciò che distingue, soprattutto, i semplici animali dalla forma di vita (non microscopica) di maggior successo sulla Terra: il focolare.
E anche qui, si procede per gradi. Nella prima versione, l’eccentrico creativo si limita ad accendere, tramite il brevettato metodo degli scout, un falò nel centro della casa, ben lontano dalle combustibili pareti. Quindi compie il passo successivo, praticando una buca per terra, entro cui deporre il carburante e sopra cui cuocere, a seconda del bisogno…La coscia del pollo? L’equivalente locale del cinghiale di Asterix e gli altri Galli? Difficile a capirsi. Mentre appare evidente ad un secondo pensiero, come questo metodo di giungere alla soluzione per gradi, attraverso il tentativo di approcci successivi dalla complessità crescente, sia in effetti realistico in una teorica situazione di sopravvivenza. Come nel videogioco Minecraft (ebbene si, non posso fare a meno di citarlo) in cui la prima notte occorre costruire una piccola capanna, appena sufficiente per superare la notte infestata dai mostri, mentre successivamente ci si occupa per gradi di creare la propria reggia o castello, sfruttando a pieno le ore diurne, certi del rifugio preventivo pronto da sfruttare al sopraggiungere del vespro. Finché alla fine, un cubo dopo l’altro… La versione migliore del sistema di riscaldamento et cottura della casa di P.T. si presenta come un vero e proprio comignolo costruito in argilla, da lui integrato in modo permanente nell’abitazione grazie a un foro praticato nel torchis pre-esistente. La struttura si presenta come più alta del tetto stesso, affinché il fumo venga aspirato via con efficienza, e al tempo stesso per proteggere dall’accidentale combustione la corteccia secca usata come copertura. Manca un cappuccio sovrapposto per fermare la pioggia, come suggerito da alcuni commentatori su YouTube, che poteva essere per esempio fatto con una pietra piatta sollevata grazie all’uso di alcuni bastoni. Si, beh….Facile a dirsi. Valla a trovare! La casa, ad ogni modo, è pronta: nell’assoluta penombra arde un fuoco invitante, mentre la foresta pare diradarsi dallo spazio che oramai appartiene all’uomo. Steso senza il solo accenno di un guanciale, già il grande costruttore pensava ad altri modi di stupirci:
Nell’ultimo video del canale, il titolare ci dimostra un altra utile tecnica per sopravvivere nel Queensland, la prassi che permette di mangiare, senza eccessivi rischi, le castagne normalmente non commestibili dell’albero di Moreton Bay (Castanospermum australe) tramite una tecnica già nota agli aborigeni del popolo degli Yidinji, che abitavano queste foreste da migliaia di anni fa. Sullo sfondo di un’altra sua fantastica capanna, questa volta in forma conica e ricoperta con foglie di palma, P.T. scava una buca usando il fido e semplice bastone, quindi vi depone sassi, rametti e accende un fuoco. Quindi, come primo passo del processo, cuoce una corposa manciata delle castagne precedentemente raccolte dagli alberi in questione, che in condizioni ideali possono anche raggiungere i 40 metri di altezza. Il loro frutto, chiamato talvolta anche fagiolo nero, è piuttosto affascinante: cresce infatti all’intero di grossi baccelli, lunghi fino a 20 cm e larghi 6, che possono contenere dai 3 ai 5 semi del peso di 30 grammi ca. ciascuno. Questi ultimi, normalmente, sono tossici sia per l’uomo che per gli animali, e non basta usare il fuoco per purificarli. In effetti basta un mezzo seme non preparato, a quanto ci racconta, per subire problemi digestivi abbastanza gravi da finire all’ospedale. Occorre quindi sottoporre ciascuno di essi al processo della lisciviazione chimica mediante un flusso d’acqua corrente per diverse ore, che a quanto pare risulta sufficiente per estrarre i fluidi maligni e farne un pasto nutriente, se non proprio dal sapore delizioso (lui li descrive come amari e “fangosi”, bleah!) Ciò che risulta particolarmente interessante è il metodo usato per quest’ultimo passaggio, che consta di una cesta in fibre intrecciate ma con molte intercapedini residue, affinché a seguito dell’immersione nel vicino ruscello l’acqua possa fluire liberamente al suo interno. Il recipiente usato nello strano rituale, a quanto ci racconta, è costruito sulla base degli effettivi ritrovamenti archeologici della regione.
Tra i canali emergenti del nuovo artigianato digitale, questo Primitive Technology occupa certamente uno scalino superiore. Le tematiche dimostrate, ma soprattutto lo stile non-dialettico usato dal protagonista, in cui mancano fastidiosi commenti audio, colonne sonore fuori luogo o montaggi esageratamente artefatti, permettono di acquisire con facilità nozioni antichissime, che a posteriori sembrano davvero ovvie. Eppure non credo che fossimo in molti, tra i suoi spettatori, a sapere come costruire una casa in mezzo alla foresta partendo dal nulla, oppure assemblare un’ascia primitiva. Quando si ha già tutto, manca l’anelito ad apprendere come produrre nuove cose. Il che, del resto, nei tempi recenti appare inutile nel quotidiano. Ma la società è una macchina davvero delicata e un dopodomani, chissà?!