Uno dei principali problemi della tecnologia nel mondo moderno è che non se ne riesce mai ad avere abbastanza, mentre in effetti, se ne ha subito abbastanza. Così la gioia di introdurre una qualsiasi cosa nuova nella propria vita, sia questa un frullatore, un cellulare, una stampante laser, è sempre irrimediabilmente mitigata dalla consapevolezza che a quel punto, per almeno un paio d’anni, sarà impossibile acquistare nuovamente QUELLA cosa, rivivere quel gusto e appagamento. Consapevoli di questo, le maggiori compagnie si affannano a proporci dei prodotti all’avanguardia, eccezionalmente utili in potenza…Nel compiere qualche…Missione. Droni, telescopi, orpelli filosofali, complesse macchine per far la pasta. Ed è particolarmente curioso notare in quel contesto come, tra gli oggetti del desiderio del pubblico, sia entrata recentemente la telecamerina anti-urto dotata di sistema di montaggio sul casco/zaino/tuta, concepita in origine per ambiti sportivi assai particolari. Tra una festa e un’altra, regalata da parenti, amici e genitori, gioiosamente scartata e messa sopra il comodino, in attesa della più fantastica occasione d’utilizzo. La quale, spesso, nel suo palesarsi è problematica: non tutti si lanciano con il paracadute, non tutti corrono in bici giù per la favela di São Paulo, non molti vanno sullo skateboard producendo perigliose acrobazie. In particolare il cosiddetto nerd, otaku o geek, nella sua velleità di appassionato di universi fantastici, tende a sviluppare un mondo dell’Estremo che non occupa gli spazi materiali, ma piuttosto si perpetra nella mente, tra i fumetti, in mezzo alle parole scritte o quelle pronunciate dagli attori di una qualche serie o telefilm. Eppure, o forse soprattutto per questo, è proprio un tale personaggio il migliore acquirente di apparecchiature tecnologiche al di fuori della sfera del necessario, ovvero colui che si procura dieci mouse, quattro tastiere, due monitor & così via. Ma come mai potrebbe, costui, trovar l’impiego per la sua GoPro?
Ci prova e ci riesce Martin Merkel, dalla Svezia, con questo suo video veramente singolare. In cui ci viene offerta l’occasione di sperimentare, da una coinvolgente angolazione “sul campo” l’esperienza della settima edizione del Krigshjärta (Cuore della Battaglia) un raduno di una significativa percentuale degli appassionati di LARPing del suo gran paese, dove in mezzo a tanti laghi, alti alberi e macigni millenari, sembra quasi si nascondano portali verso un altro mondo. Siamo nella località di Kopparbo, nella regione di Dalarba, sita un po’ più a Nord dell’asse che si trova le città di Stoccolma e Karlstad: già i fumogeni colorati, frutto simulato di una qualche mistica stregoneria, marcano i confini degli schieramenti. Se soltanto ci fosse la memoria istorica ad introdurci a un simile conflitto, come un Gandalf della Terza Era, pronto a scrivere le cronache dei regni! Mentre noi possiamo far riferimento solo ai manuali, proposti in una praticissima (per noi) lingua svedese, sul sito ufficiale dell’evento. Ma qui non c’è tempo da perdere, perché subito la situazione è chiara: l’erba si piega sotto l’incedere del gruppo principale dei nemici. Mentre la balestra ad alto grado di portabilità e con frecce tutt’altro che appuntite ben stretta nella mano destra, è un peso che riporta con la mente all’attimo corrente della verità. Lieve concessione, quest’ultima arma, alla coscienza mutualmente solidale dei partecipanti, più o meno informati, variabilmente coerenti nel vestiario e gli armamenti, che di contro sanno almeno una cosa: che non vorrebbero cavarsi gli occhi vicendevolmente.
Del resto non tutti i soldati, specie se del mondo antico, avevano una chiara idea della ragione per cui devono portare quella maschera di violenza, il vessillo e l’armatura, verso l’alba di un conflitto di catarsi, tra sangue (vero) oppur la semplice e di certo preferibile mimési della stessa cosa (comunque vera, pure quella). Ma talvolta ciò che conta è solamente esserci, fare la differenza. Avere il gusto e la presenza, quando colpiti “mortalmente” con spada, dardo o lancia, di non rialzarsi da terra, come niente fosse, rovinando l’illusione per tutti i presenti. E che c’è di meglio, per garantire il rispetto delle regole, che un certo numero di addetti con la telecamera sull’elmo, disseminati a caso nella mischia. In grado di produrre, successivamente, la prova innegabile di questa o quella malefatta…
Il LARP (Live Action Role-Playing) o GRV (Gioco di ruolo dal vivo) nella sua forma più pura è un’attività altamente codificata, che proprio in funzione della sua prassi funzionale riesce spesso ad attirare l’ironia dei non partecipanti. Veicolata sullo schermo tra l’altro, in almeno un paio di occasioni, attraverso satire cinematografiche come il tedesco Knights of Badassdom (2013) o l’imminente LARP: The Movie, che sembra prefigurarsi come un tipico prodotto dell’autoironia statunitense. Un gruppo di giocatori, abbigliati come i personaggi di una storia attentamente pianificata, si ritrovano in un luogo il più possibile isolato o comunque lontano dalle distrazioni contestuali della vita urbana, come automobili, palazzi, fastidiosi pali della luce. In mezzo a una distesa o una foresta che possa adeguatamente dirsi, dunque, “fuori dal tempo” mettono in atto un’attività che si colloca grossomodo a metà tra il teatro d’improvvisazione e una partita ai giochi da tavolo con dadi e miniature, sullo stile reso celebre da Gary Gygax e Dave Arneson negli anni ’70, grazie al primo seminale D&D (Dungeons & Dragons). E chiunque abbia mai conosciuto, anche soltanto da neofita o praticante occasionale, il mondo dei giochi di ruolo da tavolo, ben conosce il ritmo tutt’altro che fluido di questi ultimi, nei quali spesso ci si ferma nella simulazione, per determinare l’esito di azioni o combattimenti grazie al lancio di un’ampia serie di dadi dalle plurime sfaccettature, oppure con occasionali discussioni extra-personaggio con il proprio game master, un po’ narratore della storia, un po’ giudice e avversario della controparte. Procedura che appare tanto più bizzarra nel contesto quasi reale di un gruppo di partecipanti a una campagna realizzata con tutti i crismi del caso, ivi incluse spade ed alabarde, che magari non verranno mai vibrate, ma piuttosto poste a lato più e più volte, mentre si dirimono gli esiti grazie al rotolamento di questo o quell’icosaedro plasticoso. Questa originaria tipologia di GRV, tuttavia, può essere vista come una sorta di forma estrema, che sta subendo ormai da un paio di generazioni l’erosione della logica e di ciò che sia, oggettivamente, più gustoso, divertente.
E il Krigshjärta svedese può tranquillamente inserirsi in questa new wave del suo contesto, dove la coerenza funzionale risulta subordinata al bisogno oggettivo di portare assieme un significativo numero di persone, più o meno appassionate e/o rigorose nel loro equipaggiamento, a cozzare assieme in una sorta di scontro finale, dove la storia conta meno della fluidità, una sorta di realismo spontaneo e innegabilmente coinvolgente. Da una rapida scorsa del sito di sostegno all’associazione organizzatrice, effettuata con l’aiuto di Google Translate, si apprende come lo scenario di questo raduno non sia in effetti parte di alcun sistema pre-esistente, tipo GURPS o lo stesso D&D, ma piuttosto un prodotto, piuttosto curato nei dettagli, di uno o più organizzatori, costruito attraverso le edizioni successive. Vengono introdotte le diverse fazioni immaginifiche, tra cui lo stato isolato di Cordoven, vagamente basato sulla Russia sovietica, o la regione tribale di Jorgala, in cui vige la regola dell’anarchismo coscienzioso. Si parla inoltre di un progresso tecnologico che può essere collocato “tra il nostro Medioevo ed il Rinascimento” per permettere, a chi lo desideri, di impiegare armi da fuoco caricate a salve al posto delle balestrine. Naturalmente, a quel punto sarà ancor più difficile dimostrare l’uccisione di un avversario, almeno che il colpito non sia pronto a gettarsi a terra, diciamo, sulla fiducia della buona mira.
Ciò detto, lo sregolato evento svedese potrebbe essere collocato a metà tra il gioco di ruolo dei LARPers e l’effettiva rievocazione di una battaglia storica, analoga a quelle condotte dai tipici gruppi di archeologia sperimentale, per cui proprio l’Italia è celebre su scala internazionale. Mentre sensibilmente più avanzato nello spettro che si estende tra le due cose è quel particolare, nuovo sport, tipico dell’Est Europa, in cui un gruppo di atleti si veste di metallo per competere nella versione modernizzata di un vero e proprio torneo medievale. Ce ne sono diverse espressioni che si estendono da Varsavia a Mosca, alcune già trattate in questo blog, tra cui spicca sicuramente, per importanza e prestigio, questa dell’annuale Battle of the Nations. Evento dalla portata internazionale che si è tenuto, in passato, tra Slovacchia, Cecoslovacchia, Croazia e Francia, vede la messa in opera di mischie con fino a 21 partecipanti per squadra, ciascun membro scelto da un capitano veterano per rappresentare il proprio paese. È facile constatare osservando uno dei video realizzati nel corso della competizione, che tra l’altro viene anche trasmessa in streaming annualmente tra aprile e maggio, come la posta in gioco in questo caso non sia il semplice divertimento, bensì un vero e proprio pugno della proverbiale gloria, da contendersi con i rivali a grandi colpi sopra gli elmi e le armature. Proprio per questo, l’organizzazione che si occupa di gestire l’evento ha norme estremamente precise sulle caratteristiche di tutto l’equipaggiamento utilizzato, mentre qualsiasi infortunio intenzionalmente causato da un partecipante è un valido pretesto per un doppio cartellino giallo. Alla fine di ciascuna tenzone, il punteggio viene quindi calcolato sulla base del numero dei colpi vibrati o dei nemici gettati a terra, in uno strano parallelismo funzionale con un incontro di boxe o wrestling, dove l’obiettivo non dovrebbe mai essere fare del male, ma offrire uno spettacolo di grande spirito e sportività. Al Battle of the Nations, a partire dal 2014, partecipa anche una squadra italiana capitanata da Antonio de Zio, delle cui vittorie, ahimé, non mi è riuscito di trovar notizia. Di certo verrà l’occasione di distinguersi alle prossime edizioni!
Non vedremo invece mai, assai probabilmente, una GoPro sul campo di battaglia. A simili livelli professionistici, il primo colpo se la porterebbe via. E allora dove sarebbe il divertimento?