Entusiasmo e sregolatezza, apprezzamento per il genio smisurato ed il coraggio dei piloti: tutto questo, molto altro, scaturisce con orologistica e immancabile veemenza dall’annuale gara del Tourist Trophy; di concerto è innegabile che alla fine, con la gara dei Senior che tradizionalmente chiude l’evento, molti tirino un sospiro di sollievo. Perché di nuovo si è conclusa, in modo straordinariamente roboante, la singola competizione motoristica più rischiosa del presente, passato e forse anche futuro prossimo, liberando dal consueto e funesto senso d’aspettativa le strade di quel verde luogo sito in mezzo al Mar d’Irlanda. E guarda, nonostante tutto…Poteva andare peggio! Si tratta, come in molte altre cose, di una questione di valori contrapposti: da una parte le 141 morti e il numero incalcolabile di feriti anche piuttosto gravi, inseriti nell’albo nero della tradizionale gara fin dall’epoca della sua istituzione, nell’ormai remoto 1907, dall’altro il senso puro ed assoluto di uno Sport che si trasforma in stile e senso della vita, ben oltre il concetto di semplice competizione. Se anche fosse un singolo praticante, come avviene per i paracadutisti o gli spericolati delle discipline in tuta alare, a compiere un moderno giro della Snaefell Mountain Course (60,720 Km) a velocità che superano facilmente i 330 Km/h, già si potrebbe intavolare un lungo e pregno discorso sull’impegno transumano suggerito da una tale impresa, il modo in cui qualsiasi cosa, per quanto impossibile, rimanga raggiungibile alla mente di chi ha voglia di precorrere il progresso. Ma qui stiamo parlando, nei limpidi e fenomenali fatti, di una vera e propria sotto-cultura, che si perpetra da oltre un secolo nell’auto abnegazione e nella voglia di rischiare se stessi, la propria incolumità, ogni altra cosa, in nome di una verità che il popolo non iniziato assai difficilmente può capire. I piloti del TT, allo sventolare della prima bandiera di gara, girando la fatale manopola, non sono più dei semplici sportivi, nel senso maggiormente tipico del termine. Ma parti inscindibili di un processo che trasporta, per quei giorni rumorosi, una parte del Valhalla sulla Terra, evocato dai centauri per definizio. Che quando scompare tra le nebbie, immmancabilmente, ne trascina via qualcuno assieme a se.
Questo video non è che l’ennesimo ottimo tributo, tra i molti reperibili su YouTube, a questo concatenarsi d’improbabili eventi, realizzato dall’utente di quei luoghi Lockk9, in occasione dell’edizione 2015 della serie di gare, conclusasi giusto lo scorso 12 giugno (l’altro ieri). Un’edizione, questa, con almeno due gravi imprevisti: il tragico decesso del motociclista e meccanico francese Franck Petricola, che ha colpito un muro presso l’incrocio di Sulby il 3 giugno, durante la sessione di qualifiche e l’incidente nell’ultima gara, fortunatamente dalle conseguenze non letali, subito dall’irlandese Jamie Hamilton, che ha colpito un albero lungo uno dei rettilinei più veloci della pista stradale “disintegrando letteralmente” nelle parole di un testimone “la propria moto in una palla di fuoco.” Il fatto che una simile contingenza, costata al pilota un ricovero d’urgenza tramite eliambulanza, non abbia rallentato eccessivamente l’intervento dei commissari di gara, con conseguente riavvio della competizione, fa molto per dimostrare l’abitudine alla pericolosità di tutte le parti coinvolte in una tale cerimonia dei motori, dedita al pericolo e al più puro senso dell’estremo. Che ha permesso, quest’anno, di illuminare nuovamente l’ineccepibile abilità del britannico Ian Hutchinson detto “Hutchy”, pilota ufficiale Yamaha che nel 2010 aveva già trionfato in cinque delle gare del TT dell’Isola (ovvero tutte, tranne quella in coppia dei sidecar) soltanto per subire, più tardi nel corso della stessa stagione, un grave incidente presso il circuito di Silverstone. Sfortuna che richiese ben 30 interventi chirurgici ad una gamba. Calvario brillantemente superato, sia nel fisico che nella mente, alla pura e semplice evidenza dei fatti. Tanto che lo ritroviamo oggi, nell’anno del suo ritorno, trionfare nuovamente in tre delle più prestigiose nonché sconvolgenti gare a Man, le due Monster Energy Supersport TT e la RL360° Superstock TT, seguito in quest’ultima da un altro grande favorito, quel Michael Dunlop che è anche il nipote di William Joseph “Joey”, ritenuto il singolo personaggio più importante nella storia motoristica dell’isola ed uno dei piloti più grandi di tutti i tempi.
Parlare del Tourist Trophy dell’Isola di Man significa, immancabilmente, almeno nominare alcuni dei suoi più grandi concorrenti storici, tra cui l’eccezionale pilota di Ballymoney, nel nord dell’Irlanda, che perì nel 2000 durante un’altra gara stradale in Estonia. Ma non prima di aver vinto ben 26 gare del TT, ricevendo il raro onore di una statua in bronzo presso la sua cittadina natìa, oltre a una seconda, in sella alla sua iconica Honda, sopra la curva del circuito un tempo nota come Bungalow Bend, ma che porta ormai da più di dieci anni il suo nome. E chissà che avrebbe detto, con la sua personalità umile e paricolarmente riservata, questo personaggio proveniente dalla working class rurale, così trasformato in un simbolo e un eroe multi-generazionale. Rivaleggiato, nel numero delle vittore conseguite presso Snaefell, soltanto da John McGuinness, già concorrente del motomondiale e della classe Supersport, attualmente detentore di 23 vittorie su una tale folle, folle distesa di asfalto ruggente, ricoperta di tombini, punteggiata dai lampioni, gli alberi ed i ruvidi muretti del paesino di Ramsey, sito presso la parte nord dell’isola e parte inscindibile del tracciato, cani, gatti ed abitanti permettendo.
E c’è anche una significativa parte d’Italia, nella storia di questa competizione impareggiabile, nella persona del nostro Giacomo Agostini, il pilota detentore di ben 15 titoli mondiali, un altro di quei motociclisti che nel corso della sua carriera hanno saputo cambiare il concetto di ciò che sia “possibile” o “ragionevole” aspettarsi da un grande sportivo. Che fu famoso a partire dagli anni ’70, quando incredibilmente, la pista del TT dell’Isola di Man faceva ancora parte del motomondiale della FIM, costituendo una tappa obbligata per chiunque avesse le capacità, e l’intenzione, di competere ai massimi livelli. Fu in un simile contesto che conseguì ben 10 vittorie sulla pista, un record che lo pose, a pari merito con altri grandi nomi del motociclismo, al sesto posto per il numero massimo di trionfi. Finché non fu proprio lui, a seguito del decesso dell’amico Gilberto Parlotti durante la sessione del ’72, a rifiutarsi per primo di correre in un simile pericoloso susseguirsi d’ostacoli potenzialmente letali, aprendo la discussione sulla possibilità di escludere lo Snaefell dalle gare di più alto prestigio a favore del Gran Premio d’Inghilterra, provvedimento che venne preso dalla FIM soltanto cinque anni dopo, sotto la pressione delle nuove aspettative del pubblico in materia di sicurezza.
Ed è in effetti innegabile, guardando simili brevi video-racconti: le gare dell’Isola di Man costituiscono un totale anacronismo, l’espressione di un concetto che trascende ciò che appare lecito, a noi moderni, logico e sensato. In grado di sopravvivere soltanto in un luogo così letteralmente, oltre che politicamente isolato, in effetti una dipendenza della Corona Britannica e neppure parte dell’UE. Resta dunque sconvolgente vedere alcuni dei migliori praticanti dello sport delle due ruote correre a velocità da pista su stradine tanto strette, in mezzo a case, oltre ripidi dirupi e tra chicane che sono, nei fatti, delimitate da vie rapide di accesso all’altro mondo. Le quali puntualmente, un anno dopo l’altro, mietono le loro vittime predestinate. La stessa istituzione del TT, agli inizi del secolo scorso, prendeva forse origine da un mondo totalmente differente, in cui le moto da corsa difficilmente superavano i 100 Km/h, quando persino una strada tanto clamorosamente imperfetta poteva costituire, grazie allo splendore degli scenari circostanti, il teatro di una prassi sportiva dotata di un ragionevole rapporto rischio/ragionevolezza.
Ma i tempi cambiano e con essi la tecnologia. Sono soltanto le tradizioni, a resistere con quello spontaneo senso del bisogno di unire ciò che è stato, con le aspettative di un futuro degno di essere vissuto. Beato colui che si accontenta di osservare da lontano, senza mai sperimentare i limiti della realtà…