Alle origini stesse del termine “computer” c’è il verbo inglese “to compute” che a sua volta deriva dal latino “cum” (insieme) e “putare” (tagliare nettamente) in un’espressione idiomatica che letteralmente va tradotta con: confrontare per trarre una somma. Non per niente li chiamano talvolta, qui da noi in Italia, calcolatori! La più importante applicazione della scienza informatica, fin dalle sue remote origini storiche e gli sferraglianti cervelli meccanici dell’era pre-moderna, è stato ricevere un input e dare la soluzione; schierare letteralmente, l’uno dopo l’altro, un’intera fila di numeri disordinati, per far ordine tra loro e giungere a una qualche valida risoluzione. Mentre con il progredire di questa scienza tecnica e le aspettative della gente, tali numeri si sono fatti sempre più grandi e le operazioni maggiormente lunghe e complesse, tanto che, come filosofeggiava giocosamente l’autore inglese Douglas Adams in un celebre episodio della sua Guida Galattica, nessuno riusciva più a comprendere nemmeno le domande. Per questo, il passo successivo, non appena la miniaturizzazione elettronica e il conseguente potenziamento dei sistemi ce l’ha permesso, è stato il trovare un valido metodo per mettere in chiaro i dati: la visualizzazione senza falla e frutto dei numeri, una sorta di palese geometria. Torte, barre, linee simili, schematiche catene montuose: tutti metodi che rientrano, volendo usare un neologismo indubbiamente valido, nel campo dell’infografica applicata. Ma poiché le mani dei creativi non riescono a sostare due minuti, persino in questo campo della suprema oggettività si è giunti ad uno stile, accattivante e personalizzato, che oggi si sta diffondendo a macchia d’olio su Internet, con grandi schermate, talvolta interattive, in cui un unico stile continuativo si ritrova tra le immagini ed il testo, creando un tutt’uno straordinariamente funzionale. Non soltanto nel far comprendere o veicolare un’idea, ma soprattutto nello stimolare un grado d’approfondimento ulteriore, con conseguente arricchimento personale. Forse proprio per questo, simili artifici trovano l’ideale collocazione nello studio della storia.
In questa animazione caricata sul portale Vimeo dallo studio pubblicitario RAM, attivo nei campi del content development e design, lo stile tecnico dei loro grafici viene dimostrato grazie a una sequenza animata di poco più di 3 minuti, durante la quale una compunta voce fuori campo (con qualche problema nella pronuncia dei termini latini) spiega per filo e per segno la struttura di quello che viene definito “l’esercito romano” senza lo straccio di una data o quadro storico ulteriore. Ci sono delle imprecisioni, qualche punto non è estremamente chiaro, ma il lavoro nel suo complesso risulta ad ogni modo molto meritevole, soprattutto per la maniera in cui lo stile si adatta al tema scelto per la trattazione, oltre che ai suoi meriti visuali niente affatto trascurabili. L’effettivo soggetto della trattazione, ad ogni modo, può essere desunto: la legione romana di cui si parla è chiaramente quella della tarda Repubblica (a cavallo dell’Anno Domini) evolutasi a partire dalla serie di importanti riforme che vennero messe in atto dallo statista e generale Gaius Marius nel 107 a.C, comunemente definite, per l’appunto, Mariane. Si comincia con la distinzione tra due tipi di soldato: il legionario, per definizione un cittadino dello stato per nascita e il membro degli auxilia, ovvero tutti quegli uomini provenienti dalle sue province periferiche, che si occupavano di compiti altamente specifici o di supporto. Quindi viene fatta un’affermazione poco chiara, relativa al fatto che ciascuno di essi fosse tenuto a fornire le armi e l’armatura in fase di arruolamento. Il che era certamente vero prima dell’epoca di Gaius Marius, quando anche gli ufficiali venivano reclutati presso l’aristocrazia terriera e marciavano fino al fronte di battaglia con il proprio intero seguito di schiavi, armi e bagagli, ma non trovò alcun riscontro successivamente, quando ci si aspettava che i soldati praticassero la propria professione a tempo pieno ricevendo, soltanto all’età del pensionamento come veterani, un terreno presso cui trasferirsi con l’intera famiglia. Benché si possa dire, in effetti, che tutto l’equipaggiamento dei soldati fosse acquistato con una ritenuta fissa dai loro stipendi, quindi affermare che lo pagassero loro non è “tecnicamente” sbagliato. Però, di certo, non se lo sceglievano. Dopo di che, si entra nel vivo dell’infografica e le cose iniziano a farsi davvero interessanti.
La suddivisione più piccola di una legione è il contubernium, letteralmente: gruppo di una tenda. Ci si aspettava che questi otto uomini, spesso mantenuti assieme anche tra una campagna militare e l’altra, sviluppassero uno spirito di cameratismo e mutua assistenza valida come calce dell’intera struttura organizzativa, così solida fin dalle sue fondamenta. Dieci contubernia, quindi, formavano una centuria, che contrariamente alle aspettative lecite date dal nome, non vedeva la presenza di 100 bensì esattamente 80 combattenti. Questo perché veniva considerata, dal punto di vista logistico, la presenza di ulteriori 20 bocche da sfamare, appartenenti ad un ragionevole seguito di aiutanti, cuochi, facchini e così via, tutti coloro, insomma, che non erano riusciti a qualificarsi come appartenenti alla legione. Ma che inevitabilmente la seguivano per partecipare in qualche modo alle sue tribolazioni e trionfi, come sempre avvenne fino all’epoca degli eserciti moderni, troppo dinamici e disciplinati perché ciò avesse il modo di verificarsi. Ogni centuria era dotata del suo signifer, il vessillifero, un tesserarius (comandante della guardia) un optio (vice) e naturalmente, lui con l’elmo crestato, l’immancabile centurione. Sei centurie assieme, la suddivisione superiore a questa, formavano una coorte di 480 uomini, unità che poteva anche operare in modo autonomo, come presidio a fortificazioni o luoghi strategici della provincia sorvegliata. Ma in tempo di guerra, dieci coorti venivano radunate e formavano, con l’aggiunta dell’equites legionis (120 esploratori a cavallo) la più grande unità dell’epoca post-mariana, la legione (circa 5.000 uomini) guidata da un gruppo di 8 ufficiali: il praefectus castrorum, che curava la parte tecnica ed organizzativa, facendo anche da capo della prima coorte, generalmente più grande, nonché formata dai soldati con più esperienza comprovata. I cinque tribuns augusticlavii, appartenenti alla classe dirigente della loro epoca e il tribunus laticlavius, di un grado tecnicamente inferiore, che tuttavia fungeva da aiutante diretto del capo supremo dell’armata, il legatus legionis. Quest’ultimo, in tempo di pace, occupava un seggio presso il senato stesso di Roma.
È importante notare che da questa particolare struttura organizzativa, utilizzata per una fase relativamente breve ma estremamente significativa della storia romana, non potevano scaturire assolutamente le complesse tattiche della guerra cosiddetta manipolare, usata ad esempio al tempo della seconda guerra punica contro le schiere del temuto Annibale (epoca del conflitto: 218-201 a.C.). Niente prima fila dei lanciatori di pila quindi, i pericolosi giavellotti con la testa appesantita, che lasciavano il passo agli hastati (lancieri) e ai principes e triarii (fanteria pesante) mentre gli equites (cavalieri) tentavano di aggirare la formazione nemica. In questa configurazione, ciascun soldato era l’espressione perfetta ed univoca del concetto stesso di battaglia, sostanzialmente uguale a tutti quelli che contassero qualcosa nello schieramento. Il fatto che una soluzione tattica tanto semplificata potesse sconfiggere qualsiasi nemico dell’Urbe, era sostanzialmente il frutto di tre fattori: la superiorità tecnologica, la disciplina dei soldati, l’abilità di alcuni grandi generali. Legioni come queste, ad esempio, sottomisero la Gallia tra il 58 e il 50 a.C. Ma tale impresa viene attribuita soprattutto a lui…
Per comprendere l’efficacia di questa poderosa macchina da guerra, possiamo fare riferimento ad un altro grande produttore di infografiche internettiane, quel canale di YouTube che prende il nome di Historia Civilis e da qualche tempo mette su schermo, con una grafica un po’ più primitiva di quella dei RAM, l’iter preciso di numerose fondamentali battaglie dell’epoca romana. Tra cui questa combattuta nel 52 a.C. tra Giulio Cesare e il condottiero dei galli Vercingetorige, che in quell’occasione venne definitivamente sconfitto, spianando la strada verso il ritorno in Italia delle legioni, il varco del Rubicone e la successiva, epocale guerra civile con il suo terribile bagaglio di mutamenti e perdite di vite umane. Ma le Idi di Marzo, a quei tempi, apparivano più che mai lontane, mentre un diverso tipo di sconfitta, molto più prossima, pareva palesarsi dinnanzi alle aquile di quell’esercito fino ad allora ritenuto invincibile: il capo dei galli, infatti, si era presentato sul campo di battaglia con una superiorità numerica piuttosto netta, per poi ritirarsi con innegabile furbizia sopra un’alta collina presso Alesia, la capitale della sua nazione, oggi collocata dagli archeologi presso Chaux-des-Crotenay. Egli confidava, infatti, nell’arrivo imminente di ulteriori rinforzi, mentre sapeva per certo che Cesare non avrebbe mai potuto assalirlo direttamente in tale posizione preminente. Non sapeva, tuttavia, con chi effettivamente stesse per confrontarsi: le legioni romane infatti iniziarono subito a costruire un alto muro fortificato tutto attorno alla collina, incuranti delle incursioni e delle frecce nemiche, chiudendo di fatto Vercingetorige dentro alla sua stessa fortezza. Quindi, incredibilmente, ne costruirono un secondo attorno a quello, creando una zona sicura tra tra l’esercito di fronte a loro e quello dei rinforzi, che puntualmente giunse dopo qualche giorno a liberare il proprio capo in difficoltà. A quel punto, benché la superiorità numerica dei galli fosse schiacciante, questi non riuscirono a circondare i romani, che più e più volte li respinsero, sventando anche degli attacchi portati di concerto tra il dentro e il fuori. In uno di questi casi, secondo il De bello Gallico, fu proprio Marco Antonio a mettersi in evidenza, guadagnandosi l’onore di essere promosso ad aiutante dello stesso Cesare, ruolo che avrebbe ricoperto fedelmente fino all’assassinio di quest’ultimo, nel 44 a.C.
Al terzo giorno di reciproco assedio, successe quindi che tutto apparisse perduto per i romani: la superiore cavalleria gallica, infatti (la poca efficienza in questo ambito fu sempre un punto debole della legione mariana) riuscì a fare breccia da un lato, mentre i legionari, ormai stanchi e molto calati di numero, erano occupati a difendere un’altra sezione delle mura. Ma fu allora che lo stesso Cesare, secondo quanto lui stesso ci racconta, radunò gli ultimi cavalieri rimasti della sua legione, e facendoli girare attorno alla scena del disastro caricò il retro dei galli, impegnati nel momento delicato in cui scalavano la barricata. Allora, quanto sembra, questi furono colti subito dal panico, sconfitti e sbaragliati, dispersi ai quattro venti. A quel punto, ormai privo di risorse, Vercingetorige si arrese. Nella parte culminante dell’infografica, l’autore si lancia in lodi enfatiche sull’abilità strategica e la furbizia di Cesare, senza dare un eccessivo spazio all’altro lato della storia: se la legione impegnata in tale frangente non fosse stata composta quasi esclusivamente di fanteria pesante, se il loro ruolo negli ultimi anni di guerra non fosse stato votato ad attaccare ogni sorta di postazione e al saper rispondere alle cariche di cavalleria in campo aperto, oppure nel corso degli assedi…Se insomma ciascun singolo soldato romano non fosse stato una macchina da guerra versatile e completa, difficilmente si sarebbe posto quell’ulteriore mattone verso la nascita del futuro impero romano.
Nel finale dell’altra infografica, quella dei RAM, c’è un altro importante errore. Si parla dei famosi 25 anni di servizio, dopo i quali agli auxilia sarebbe stato concesso immancabilmente lo status di cittadino romano, ereditario verso i propri discendenti. Questa particolare usanza, a quanto ne sappiamo, ebbe origine soltanto con il quarto imperatore di Roma, Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, detto in breve Claudio (regno: 41-54 d.C.) Ed anche in epoca successiva, rimase un dono discrezionale del sovrano, che poteva essere revocato nei periodi di guerra molto intensa o quando mancavano le terre da donare ai veterani. Persino ai nostri tempi di relativa coscienza verso il futuro, tendiamo a sottovalutare l’importanza di una valida pensione. Pensate in quell’epoca remota, quando i leoni assaggiavano i cristiani dentro al colosseo!