Rutilante, rumoroso decespugliatore. L’invenzione spaventevole, risalente al 1970, del texano George Ballas, che lo chiamava il “Mangiatore d’Erba”. Costruito in origine, con ingegno campagnolo, attaccando a un lungo attrezzo per solcare il suolo un motorino di recupero, poi su quello un corto filo per la pesca d’altura e una lattina vuota alla sua estremità, onde far da contrappeso alla centrifuga questione. Affinché l’arnese, roteando vorticosamente, facesse un cumulo della vegetazione inopportuna, dalle erbacce, ai rami che tentavano di primeggiare, fin’anche allo stesso placido manto verde della sua tenuta, sempre troppo pronto a uscire dalle righe. Nulla è statico, tranne ciò che è connotato dall’intento artificiale. Per questo si tenta costantemente di spostare il duro impegno quotidiano a quello del tavolo dell’ingegnere, l’inventore, il creativo delle soluzioni. Perché sia rinconfermata, ancora una volte, l’auspicabile questione della “mente” che sconfigge “il corpo”. Perché mai si dovrebbe faticare, alla ricerca del domani, mulinando l’unico attrezzo dalla lama sfavillante? Risalente all’epoca del bronzo, quanto meno, il cui peso è pari alla radice quadrata dell’inverso della voglia di sudare…Solamente se si è privi di un sentiero alternativo, ci si riduce a spendere le calorie acquisite tanto faticosamente, nel perpetrarsi della più terribile metafora, alludente a Quella col cappuccio nero, triste Morte che livella tutte le creature. Altrimenti, qui da noi ci si sveglia, si fa colazione. Poi si preme un comodo pulsante sull’impugnatura. Il resto fa la macchina, ciarliera compagna di una lunga passeggiata. Ma il prato è grande è pieno di sorprese…
Peggio dell’imprevisto, più terribile dell’emergenza. Ciò che annienta e disillude le precoci aspettative, portando l’entusiasmo a spengersi come la fiamma di un falò, sotto la pioggia fredda di un Settembre prossimo venturo: giorno dopo giorno, all’ora predeterminata, fare quella Cosa, quindi l’altra, poi mangiare, poi dormire, è la routine. Quando hai tolto il tempo necessario per andare a scuola, oppure lavorare, poi fare la spesa, cucinare, persino compiere faccende che occupano poco tempo (lavare, stirare, far di conto) cosa resta, della tua giornata? Giusto il tempo per pensare ad un domani, in cui di nuovo la Cosa, seguita da…E in questo siamo pure, dopo tutto, fortunati. Gli Eletti, ad opera perpetuamente rinnovata, di un metodo semplificato, in cui le persone trovano gli orari attentamente connotati dalla ruota fisica di un orologio. Per cui 6-7, ti prepari, 9-18 lavori, 19-21 è il tempo dello svago, etc, etc. Mentre il contadino in senso classico, quell’uomo lì! Non ha respiro… Prova tu a ritrovarti, senza mai vacanze né momenti per l’introspezione, con galline che hanno uova da raccogliere, mucche da mungere, il terreno pronto per la mietitura. Che poi è lontano, quell’insistente suolo vivificatore, e incapace di fermare la sua stolida rinascita e il rigoglio. Totalmente sordo e cieco alle questioni soggettive del bisogno di fermarsi a riposare.
È tutta una questione di contastare la fatica, il rischio, oppure il tempo necessario. Un triangolo dai vertici ben distinti. Soltanto nel regno delle pure idee, coesistono le tre diverse cose: giacché quello che è semplice, in questioni basilari come l’addomesticazione della crescita, spesso si palesa pure più veloce. Pensiamo ad esempio ai nostri antenati Etruschi, che per farsi la barba usavano un rasoio dalla lama curva simile a una mezzaluna. Un tale oggetto lungo all’incirca 15-20 cm, certamente curato nell’affilatura, poteva sfoltire un volto nel giro di due, tre, quattro passaggi. Il problema è che sbagliando, ti tagliavi il naso? Anche, volendo. Ma vuoi mettere! Un singolo strumento come questo, mantenuto adeguatamente, poteva essere tramandato di padre in figlio, diventare un bene familiare. Mentre adesso, una lametta dura dall’oggi al domani, se sei fortunato. È soltanto la falce che resiste, incontrastata…
Ergo, nel condurre le questioni della vita, cos’è davvero meglio? Finire prima e fare un buon lavoro. Ritornare presto alle questioni davvero importanti, come stendersi a dormire sul divano. E pensa a tutti gli artifici, frutto di tanti secoli e progressi attentamente calibrati, concepiti per avvicinare quel momento: le macchine, i dispositivi. Costrutti automatici per fare a meno della mano umana, quando possibile, riducendo i movimenti necessari o i potenziali errori. Il che può essere considerato davvero saggio, quando si stanno affrontando dei problemi grandi, edificando palazzi, deviando il corso delle inondazioni. Ovvero in tutti quei casi in cui, nel triangolo ipotetico citato, entra in gioco la questione del pericolo, reale e tangibile, con conseguenze deleterie.
Ma se tutto quel che serve è un’ora di pratica, per comprendere le regole del gioco, meglio sarebbe fare presto, nonché bene. Diventando gli unici registi di quel gesto del tagliare, l’erba come il giorno, l’ora ed il minuto. Vedi, per esempio, la competizione annuale delle falci di Somerset, in Inghilterra. Vedi il campione nazionale, qui alle prese con difficili rivali armati della più avveniristica tecnologia agreste. Stando agli annali del portale The Scythe Shop.uk e alla data del video (Luglio del 2010) dovrebbe trattarsi nello specifico di Simon Damant, rappresentante della contea del Cambridgeshire. La sua lama è un fulmine che sfata le illusioni.
La falce a due mani (in inglese scythe) è uno strumento ben distinto dal falcetto per tagliare il grano (sickle) ma non per questo sfrutta dei princìpi differenti. Si tratta essenzialmente di fare leva verso di se, sfruttando il filo di duro metallo per dividere le fragili molecole della vegetazione, sia questa del prezioso grano, oppure un semplice prato da ridurre a termini più ragionevoli, minore ingombro verticale. Naturalmente, tutta un’altra questione è la roncola per le canne e i rami (billhook) che va rigorosamente manovrata verso l’esterno, vista la forza più considerevole che richiede, pena il rischio di sgradevoli incidenti. Proprio questa apparente semplicità del gesto rispetto alla fatica necessaria, negli anni, ha portato alla ricerca di soluzioni alternative, scorciatoie di ogni tipo. I due avversari annientati da Damant, sotto lo sguardo appassionato del pubblico dei/delle fans, non sono che un piccolo esempio delle alternative: trattorini, tagliaerbe a filo, con motori elettrici o a combustione, chi più ne ha…Potremmo passare una decina di minuti ad elencarli, ma nel frattempo lui, con pacifica insistenza, avrebbe già finito di tagliare il prato. Senza drammi né rumori, tranne un lieve risuonar di passi ed un fruscio diffuso. E poi, TUK! Il manico che tocca terra, mentre da vincitor si ferma e osserva, l’altro che manovra laboriosamente un grosso macchinario. Per capire chi sia il vero vincitore della situazione, bisognerebbe prima definire cosa sia il concetto di fatica. Una sfida assai difficile da sopravvalutare.
Chi ha penato di meno, alla valutazione delle cose? Colui che sfrutta la sapienza tecnologica, acquisita dai suoi colleghi contemporanei, per nullificare lo sforzo individuale? Oppure quell’altro che, contando soprattutto su se stesso, mette a frutto la praticità di uno strumento millenario? Da una parte, il dispendio d’energia non è neppure comparabile. Per non parlare della forma fisica necessaria per condurre a compimento l’impresa con la falce, né di quanto impegno sia costato l’apprendimento di un tale metodo più antico e impegnativo. Ma niente affato, mai e poi mai, superiore per complessità. C’è in effetti una sottile forma d’eleganza, nel far scontrare una singola lama con l’incedere dell’entropia vegetativa (perché si, persino la crescita eccessiva, quando vista in modo razionale, costituisce una passiva forma di autodistruzione). Per tutti quegli agricoltori che confidano nella propria capacità di astrazione, sarebbe un errore non lasciare almeno un prato fuori dal passaggio del trattore. Per estrarre dal capanno, diciamo una volta alla settimana, il simbolo più antico di un’intera classe sociale. E poi alla fine, per una volta almeno, la giornata è ancora giovane e grondante d’opportunità! Chi l’avrebbe mai detto…