Ecco un evento fuori dal contesto: l’acqua che è una zuppa, più che un lago, e lui che fluttua ricordando un tempo e un luogo differente. Certe situazioni sono tanto strane e incomprensibili che, senza un appiglio chiaro al mondo, potrebbero portarti fuori dal tuo placido e tranquillo vicinato. Laddove volano le aquile, se ami l’alpinismo, oppure in comparabile e diametrale opposizione, nel profondo di un sistema chiuso, in cui sussistono le condizioni per un’unica realtà…Tentacolare…Soltanto “lievemente” urticante…replicata all’infinito nell’impegno d’individui senza nome, né pensiero. Ce li fa conoscere con il suo video, realizzato nel corso di un’affascinante quanto costosa immersione, Mikeyk730, visitatore occasionale della nazione arcipelago di Palau. Ora, naturalmente qualsiasi paese isolano che si trovi a 500 Km dall’importante terra emersa più vicina (in questo caso, le Filippine) tenderà ad avere flora e fauna alquanto fuori dal comune. Questo dettano le leggi dell’evoluzione, che non soltanto si adattano a un contesto dell’ecologia, ma alla presenza, o incidentalmente anche l’assenza, di determinati concorrenti nella gara che conduce alla sopravvivenza. Ma non sempre fino a un tale punto, senza pari nell’intera storia della biologia: il Lago delle Meduse, il cui nome è già un programma, sarebbe questo specchio d’acqua marina della misura di 460×160 metri circa sito presso le coste dell’isola di Eil Malk, caratterizzato da diverse quanto significative eccezioni da quello che potrebbe definirsi il corso principale delle cose. Prima di tutto, perché presenta un marcato fenomeno di meromissi, ovvero la precisa divisione in strati dalla composizione chimica notevolmente differente, nel suo caso due, che riescono a mantenersi separati nel corso dell’intero ciclo stagionale. In tutto il mondo sono più di 200 i laghi che presentano questa caratteristica, quasi tutti d’acqua dolce, benché dall’alto contenuto salino. Mentre questo particolare luogo riesce essenzialmente a costituire un avamposto del vicino mare, visto come numerose fessurazioni e tunnel sotterranei, scavati dall’erosione sull’antico suolo d’arenaria, lo colleghino direttamente alle acque tiepide della laguna lì vicino. Tubi di collegamento, autostrade per i pesci, metropolitane che non nei secoli e millenni sono state viste con particolare diffidenza da praticamente tutte le creature, tranne due particolari specie, molto simili tra loro: le meduse scifozoe delle specie Mastigias papua e Aurelia aurita. Che simili sifoni li hanno già percorsi, con la ferma intenzione di raggiungere quel vuoto interessante. E farne, grazie alla riproduzione scriteriata, il proprio paradiso in Terra.
Palau, che fa parte del gruppo di isole che collettivamente compongono la vasta regione della Micronesia, è a sua volta suddiviso in due sezioni contrapposti: una parte a nord, dove si trovano gli aeroporti, tra cui quello internazionale, il porto e commerciale e i principali centri abitati, tra cui la capitale Koror. Nel meridione invece, sussiste un paesaggio di circa 300 isole rocciose e piccoli atolli da una superficie complessiva di 47 Km quadrati, virtualmente incontaminati dalla mano dell’uomo. Il nome di questo luogo prezioso, nominato dal 2012 patrimonio naturale dell’UNESCO, è Chelbacheb ma i turisti, per semplicità, sono stati abituati a definirle le Rock Islands. Questo soprattutto visto l’aspetto spigoloso e rigido del suolo, parte residua di una barriera corallina preistorica, che fu spinta verso l’alto per l’effetto di attività vulcaniche dimenticate. Ma non tutte queste isole sono dei piccoli scogli, abitati unicamente dagli uccelli e i pericolosi coccodrilli d’acqua salata, tra le specie animali più imponenti della regione. In particolare questa Eil Malk, che è anche la maggiore, presenta nel mezzo di una folta vegetazione numerose attrattive per i turisti, che annualmente la visitano in cerca di esperienze senza precedenti. E che c’è di meglio di una cosa simile? Chiunque sia stato mai punto da una medusa, abbia conosciuto quel bruciore simile all’estensione fuori controllo di una puntura di vespa, se non peggio, non potrà fare altro che rabbrividire, alla vista di questo coraggioso che s’inoltra in mezzo all’acqua nebulosa, spingendo lontano innumerevoli creature a fungo, ciascuna potenziale bomba d’insistente sofferenza. Soltanto che, gradualmente, ci si rende conto che l’atteso lampo di dolore non arriva; questo perché, eccezione tra le eccezioni, le meduse di Ongeim’l Tketau, nome in lingua Palau del lago delle… Che si sono adattate negli anni a sopravvivere senza alcun tipo di arma difensiva. L’assenza di particolari predatori, fatta eccezione per una specie guastafeste di anemone attestato nella parte nord del lago, unita ad una sostanziale sovrappopolazione dell’ambiente abitativo, ha portato attraverso le generazioni all’atrofizzazione dei loro cnitociti urticanti, organi che l’animale deve rigenerare dopo ciascun utilizzo, con notevole dispendio d’energia. Il risultato è che le meduse di Palau possono ancora, si, pungere, ma lo fanno in modo tanto delicato che il veleno neanche penetra la pelle degli umani, se non leggermente e in prossimità di zone molto delicate, come il volto e le labbra.
Naturalmente, a chi è ha presentato i sintomi di un’allergia verso punture precedenti si consiglia di prestare un certo grado di prudenza. Ma tutti gli altri sono gioiosamente invitati, dall’amministrazione turistica di questi luoghi a far del pozzo brulicante, come fosse la propria piscina personale. Unica regola del Jelly Club: niente bombole e respiratore, solo maschera e boccaglio. La prima ragione è che le bolle emesse dalla valvola potrebbero causare danni alle meduse, restando intrappolate sotto il loro fragile ombrello. La seconda è molto, molto più inquietante….
Il Lago delle Meduse, come dicevamo, presenta la divisione netta di un chemoclino, un taglio netto nel gradiente della sua composizione chimica. Le due specie di meduse, che migrano giornalmente in un continuo rimescolarsi circolare, vivono esclusivamente nell’ambiente superiore, che si estende dalla superficie fino ai 15 metri di profondità. Qui sussiste una condizione di acqua fortemente ossigenata e piuttosto torbida, con una visibilità molto limitata e un contenuto salmastro ridotto per i primi 3 metri dall’effetto delle piogge occasionali. È interessante notare come le appartenenti della specie più diffusa fra le due, dette volgarmente meduse d’oro (in realtà un adattamento specifico delle molto più comuni Mastigias papua puntinate) compiano regolari escursioni verso la superficie, allo scopo di ossigenare il sottile strato di alghe e micro organismi che le ricoprono, parte significativa del loro sostentamento alimentare. Mentre lo fanno ruotano in senso anti-orario, affinché ciascun lato riceva la stessa dose vivificatrice di energia solare. Mentre l’altra tipologia delle Aurelia, o meduse della luna, si limita a nutrirsi di plankton inglobato attraverso l’uso dei loro tentacoli specializzati, attività comunque non del tutto estranea alle più chiare controparti. È stato ipotizzato che entrambe le popolazioni fluttuanti compiano le loro peregrinazioni giornaliere spinte dall’istintivo bisogno di tenersi sotto la luce piena del Sole e quindi fuori dalle zone ombrose del lago, habitat preferito dell’anemone medusivoro, loro unico nemico.
Ma nessuno degli abitanti del lago Ongeim’l Tketau, fin da quando sono giunti in tale terra promessa, si è mai spinto oltre il quindicesimo metro di profondità, con la possibile eccezione di alcuni batteri, posti in corrispondenza del sottile chemoclino: questo perché al di sotto di quel punto l’acqua, per uno strano fenomeno geologico le cui cause restano dubbiose, presenta una componente estremamente significativa di acido solforico (o solfuro d’idrogeno) veleno immediatamente letale quando assorbito attraverso l’epidermide, anche per organismi relativamente resistenti come un corpo umano. Tale abisso, nascosto sotto i suoi guardiani ciechi e trasparenti, secondo gli studi effettuati dai naturalisti presenterebbe inoltre la caratteristica di essere totalmente limpida, con una visibilità di circa 30 metri, contro gli appena 5 dello strato sovrastante. I misteri che vi albergano, tuttavia, restano preclusi ai più: il regolamento che vieta l’impiego di sistemi di respirazione sommersa, infatti, oltre a preservare le meduse riesce ad impedire a chiunque, persino i più spericolati e/o preparati, d’esplorare una simile cattedrale silenziosa.
Le isole di Palau, come del resto una buona parte dei paesi isolati in mezzo agli oceani, hanno avuto una storia piuttosto travagliata. Colonizzate nel terzo o secondo millennio a.C, da genti provenienti dalle Filippine e l’Indonesia (in prevalenza pigmei e negritos) rimasero letteralmente sconosciute all’Occidente fino alle soglie del sedicesimo secolo, quando un galeone spagnolo di passaggio le avvistò da lontano, dandogli il nome di San Juan. Nell’intero secolo successivo, attraverso le alterne fortune di alcune missioni gesuite, le isole vennero evangelizzate e colonizzate, facendone uno scalo rilevante per i commerci nell’intera regione della Micronesia. Verso la fine del diciottesimo secolo, a seguito della guerra ispano-americana (1898) la Spagna vendette questi luoghi, assieme ad una buona parte delle odierne isole Caroline, ad una Germania già instradata verso il suo fugace sogno coloniale, che poi le perse puntualmente, contro il Giappone, nel corso della prima grande guerra. Soltanto in seguito, durante il sanguinoso conflitto del Pacifico, gli Stati Uniti se ne guadagnarono la giurisdizione a seguito della battaglia di Peleiu (1944) in cui perirono almeno 12.000 persone. Nel 1979 Palau votò con referendum per ottenere l’indipendenza, che gli venne subito concessa, diventando una repubblica costituzionale nel giro di appena tre anni. Nonostante questo, la lingua più parlata nelle isole è ancora l’inglese, e la moneta corrente il dollaro, benché simili decisioni vadano forse attribuite all’importanza del turismo per l’economia locale.
Le isole sono diventate, negli ultimi 10 anni, uno dei paesi maggiormente all’avanguardia nella conservazione del patrimonio faunistico e ambientale. In modo particolare nel 2005 fece notizia l’iniziativa dell’allora presidente Tommy E. Remengesau, Jr. di aver dato i natali al progetto della Micronesia Challenge, una sfida per i paesi coinvolti nel riuscire a conservare, fino al 2020, almeno il 30% delle aree costiere e il 20% delle foreste. Un’idea in grado di coinvolgere diverse realtà nazionali, tra cui le isole Marshall, Guam, gli Stati Uniti, e le isole delle Marianne Settentrionali, nazioni che costituiscono collettivamente almeno il 7% delle coste dell’intero Oceano Pacifico. Nel 2009, inoltre, Palau ha creato la prima riserva per gli squali al mondo, con un’estensione approssimativa pari all’intero paese della Francia.
Nonostante i reiterati sforzi, le particolari condizioni che permettono la sussistenza del Lago delle Meduse di Eil Malk l’hanno sottoposto a dei periodi di alterne sfortune, compresa quello del 1998, quando per l’aumento di temperatura dovuto all’influenza di El Niño gli organismi simbiotici di queste creature perirono in massa, con l’apparente estinzione nel giro di un paio d’anni. Finché nel 2000, quasi casualmente, non venne avvista la prima medusa d’oro dalla data del disastro. Stando a studi e censimenti risalenti al 2012, l’attuale popolazione del lago sarebbe ritornata a livelli pari o superiori a quelli originari. È stato infatti ipotizzato che nei periodi poco favorevoli, le meduse siano in grado d’interdire temporaneamente il processo di strobilazione, sopravvivendo nello stato immaturo di polipi scifozoi, ovvero piccole creature tentacolari attaccate agli scogli ed al fondale. Al ritorno di una temperatura ideale, una volta mature, le creature riprenderebbero a crescere nelle dimensioni e staccarsi dal segmento generativo, andando alla ricerca di cibarie e di uova lasciate in giro da una femmina, tramite cui trasmettere il loro prezioso patrimonio alla generazione successiva. Va tuttavia considerato che una medusa come queste vive, nella migliore delle ipotesi, appena un paio d’anni. E non è poi così impossibile immaginare un futuro in cui il progressivo mutamento climatico, portato dal riscaldamento globale, possa prolungare un’estate o due, portando al dissolvimento di un simile sogno della ragione. Una medusa, in fondo, si compone al 97% di acqua limpida e trasparente. È soltanto quel residuo 3%, a fare la differenza…