Centottantanni e non sentirli, masticando l’insalata che ti portano gli umani, gli svelti, effimeri esseri bipedi che si susseguono nella spaziosa Plantation House. Residenza estiva del governatore in quest’isola dedicata alla santa di Costantinopoli, mutevole inquilino fin da quando venne posta la prima pietra angolare della casa, nel 1791, ad opera degli ufficiali della Compagnia delle Indie Orientali. La villa venne poi ampliata in modo significativo, a seguito della nomina di una tale remota terra emersa al prestigioso, eppur meno che invidiabile, status di Colonia della Corona Britannica. Supervisionata in modo diretto dall’imperitura Alexandrina, lady a tutti nota come Queen Victoria, colei sopra il cui corpus non era mai completamente giorno, né poteva tramontare il sole. Esattamente come i precedenti territori dell’Impero Ottomano, da cui l’onomastica latente, erano stati il sangue e il fluido del sultano di turno, a partire dai potenti porti sopra il Corno d’Oro. Eppure nessun impero della storia, per quanto esteso e duraturo, potrà mai rivaleggiare la presenza stolida di appena quattro, cinque tartarughe giganti e i loro discendenti, dinosauri virtualmente immutati attraverso i secoli di orribili tribolazioni… Se non altro per il semplice fatto che cent’anni, per loro, altro non sono che una semplice generazione. Oppure neanche quella, vedi l’esempio di questo singolo animale, ormai sdentato. Che forse non è saggio, né potrebbe scrivere la propria biografia, ma i cui occhi hanno già visto molte, addirittura troppe cose. E chissà quanti ricordi, sotto il guscio a cupola di quel gigante… Dal giorno del suo fato rovesciato, collocato attorno al 1882, quando, secondo le cronache, lui venne caricato su una nave in visita presso l’arcipelago delle Seychelles. All’altro lato del vasto continente africano, nell’Oceano portatore di un diverso nome ed un profumo ricco di misteri. Laddove la grande India, col suo pantheon mitologico e le antiche leggende, talvolta nominava Kurma, tartaruga eterna che sostiene il mondo e forse non soltanto si basava sul semplice sogno di un profeta, ma su casi e cose già verificate all’esperienza degli avventurosi naviganti.
C’era stata infatti un’epoca, o così si dice, in cui simili esseri venivano onorati dal destino. Il rettile senza tempo, simbolo di ciò che sopravvive al regno dei ricordi, libero di deporre le proprie proprie poche uova cuoiose senza nessun tipo di disturbo, più e più volte attraverso il corso della propria vita duratura, privo di un qualsivoglia predatore naturale. Quindi venne il portatore di una fiamma sfortunata, preannunciato dalle bianche vele o dal vapore: era terribile, spietato. Del resto era l’uomo, costui. Si sa per certo che tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, nessuna carne fosse maggiormente gradita al palato dei bucanieri e gli altri naviganti del Pacifico del Sud, che quella delle silenziose camminatrici erbivore dalle corazze bitorzolute, mansuete ed incapaci di difendersi, poiché mai prima d’allora, ne avevano avuto la necessità. E soprattutto pratiche da gestire, in quanto l’evoluzione le aveva fornite della capacità di giacere immobili dentro una stiva, per settimane o mesi, senza bere né mangiare. Chiuse nel buio di casse silenziose, senza più conoscere il colore ed il sapore della loro erba primordiale. In attesa del crudele, forse ormai benvenuto, colpo della mannaia del cuoco di bordo. Era questa una pratica particolarmente diffusa, sia in questi luoghi circostanti l’Africa che nelle distanti Galpagos, dove risiedeva l’unica altra specie comparabile di tartarughe sul pianeta. Si stima che una singola baleniera inglese, di passaggio presso quell’altro arcipelago, potesse nei fatti rapire anche 500-600 esemplari nel corso della sua carriera, destinati a far le veci di un moderno, enorme frigorifero di carne. E fu forse simile, nelle prime battute, l’esperienza più terribile della sua vita: Jonathan, con allora almeno un mezzo secolo d’età (era insomma, già cresciuto alla sua stazza attuale) che viene condotto via dal territorio dei suoi avi, pungolato forse dolcemente, o magari con un certo grado d’impazienza fino al molo, quindi oltre le murate in legno del vascello incatramato. Chissà che avrà pensato, in quell’epoca precedente addirittura alla nostra rivoluzione industriale, camminando sopra gli assi che dovevano aver conosciuto tanti suoi predecessori. Se si rendeva conto della gravità del suo futuro.
È una storia preoccupante, che pare tuttavia fregiarsi di un sincero lieto fine. Uno stereotipico, davvero bene accolto: “Visse serenamente per i molti, moltissimi anni a venire…” Interminabili, persino. Perché dopo qualche giorno di suspense, per ragioni che in effetti oggi non ci sono note, Jonathan fu risparmiato dalla fame dei navigatori. E scaricato, assieme ad un numero imprecisato di altri suoi simili, proprio qui sull’Isola di Sant’Elena, affinché brucasse l’erba tanto cara a Sua Maestà, nel giardino stesso del governatore inglese. Ora, non è naturalmente facile, al colpo d’occhio, distinguere un animale tanto inusuale dai suoi consimili e vicini. Spesso capita, per luoghi di rappresentanza come questo, che sussista la presenza di un’intramontabile mascotte vivente: il pavone, il cigno, il segugio. Creatura che apparentemente non cambia, per ciascun luogo, neppure a molti anni di distanza. Che ci vuoi fare: gli inglesi amano le tradizioni! Al punto da sostituire l’animale rilevante con un’altro simile, ogni qual volta ciò si renda necessario. Ma avvenne nel 2008, senza soluzione alcuna di continuità, che il giornale inglese Daily Mail riuscisse a procurarsi e pubblicare questa foto in bianco e nero, risalente al 1900 spaccato, in cui un prigioniero della guerra dei Boeri veniva messo in posa con la tartaruga preferita del governatore. Seguìta, nell’impaginazione odierna, da un primo piano del gigante Jonathan, vecchio e ponderoso esempio di animale persistenza. Includendo come didascalia, la dicitura: “Non sembra anche a voi che sia esattamente la stessa tartaruga?” E cosa strana, così era. Esattamente la stessa, identica tartaruga.
Esistono almeno altri due casi parzialmente documentati di testuggini di terra quasi pluri-centenarie: l’esemplare noto come Tui Manila di Tonga, che morì nel 1965 a 189 anni di età. E Adwaita, una Aldabrachelys gigantea, sopravvissuta fino al 2006, che secondo i suoi guardiani aveva in quell’epoca appena raggiunto i venerandi 255 anni di presenza a questo mondo. Una cifra difficile da calcolare, eppure non impossibile, nei fatti. Soprattutto guardando in faccia questo suo cugino di Sant’Elena, ancora così vivace dopo tanti anni di sagaci scorribande. Jonathan, nel suo attimo di fama, venne definito in modo generico come un’appartenente all’insieme scientifico delle Testudinipae cryptodira, mentre sulla sua effettiva specie d’appartenenza, ad oggi, esistono divergenze d’opinione. Secondo alcuni, sarebbe il tipico rappresentante delle tartarughe dell’isola di Aldabra (A. Gigantea) esattamente come la citata Adwaita, mentre per altri potrebbe trattarsi del singolo esemplare ancora in vita delle A. g. hololissa, tartarughe geneticamente simili, ma originarie dell’isola di Silhouette, nel nord-est dell’arcipelago delle Seychelles. Simili creature, benché tutt’altro che scattanti, sono dotate di una certa agilità. Il loro collo lungo, che gli permette di brucare le foglie più basse degli alberi, risulta rapido e guizzante come il corpo di un serpente. E non è raro il caso d’osservarle mentre si alzano, incredibilmente, su due zampe, per raggiungere un boccone particolarmente gustoso, rischiando coraggiosamente un rovinoso e letale cappottamento. Va poi considerato che la loro lunga vita, oltre che semplice conseguenza del gigantismo isolano, ha uno scopo evolutivo ben preciso: accoppiarsi fino a tarda età.
Ha fatto molto parlare, il mese scorso, questo buffo video pubblicato per il National Geographic dal naturalista dell’organizzazione Pristine Seas, Paul Rose, presso l’isola di Assumption, sede di una popolosa comunità distaccata delle tartarughe di Aldabra. Con lui che si avvicina per il suono ruggente di un accoppiamento tra le veterane, nel compiersi del quale il maschio emetterebbe, secondo alcune descrizoni: “Un muggito simile a quello del toro, udibile a quasi un chilometro di distanza.” L’annunciazione di un evento da non perdere, soprattutto quando si ha il seguito di tanto prestigiose telecamere, benché i rischi siano difficili da trascurare. Ed infatti, puntualmente, il rettile piccato lascia il suo impegno di giornata, per iniziare ad inseguire l’uomo alquanto minacciosamente. Non è difficile tenersi a distanza di sicurezza da un’essere che pesa due tonnellate e mezzo, benché il suo becco, nei fatti, potrebbe recare un danno significativo. E questo non è che un esempio, di quello che possono fare certi animali quando credono con forza nel bisogno dell’amore.
Perciò, benché vecchio e irrigidito, Jonathan il vagabondo ha ancora una possibilità di riprodursi. Un articolo con video abbinato del Daily Telegraph dello scorso febbraio raccontava del modo in cui il venerando gigante amasse la compagnia delle persone e dei suoi simili, recandosi spesso vicino ai campi da tennis della Plantation House, per osservare quietamente il movimento degli umani. Ma soprattutto, ancor più frequentemente tentasse di andare a meta con il giovane esemplare di femmina-con-guscio introdotta nel suo territorio, probabilmente appartenente ad un differente ceppo genetico della stessa tipologia scagliosa. Ma in fondo chi sa distinguere una tartaruga da un’altra? Forse è proprio questa, la maggiore forza della loro intramontabile genìa.